Sono in corso i preparativi per un nuovo scavo nel sud-ovest della Serbia che potrebbe portare alla luce una fossa comune delle vittime della guerra in Kosovo. Dopo venticinque anni e tante promesse, la ricerca dei dispersi procede faticosamente.
Le operazioni di scavo
Un nuovo scavo dovrebbe aver inizio a metà settembre nel sud-ovest della Serbia, presso la discarica di Golo Brdo, vicino al villaggio di Kožlje, alla ricerca di una fossa comune. La notizia è stata confermata da Kushtrim Gara, membro della Commissione governativa del Kosovo per le persone scomparse. Le autorità kosovare ipotizzano infatti che il sito potrebbe contenere i resti di civili albanesi assassinati dai serbi durante il conflitto e dispersi da oltre vent’anni.
Alla luce di tali ipotesi, Pristina ha chiesto l’avvio di un ciclo di operazioni di ricerca in una ventina di siti nella zona di Novi Pazar, sospettati di contenere fosse comuni o tombe singole. Il 26 agosto sono iniziati i preparativi per la pulizia del sito e la realizzazione della strada di accesso alla discarica, alla presenza delle commissioni per i dispersi serba e kosovara e di un rappresentante della missione europea Eulex, incaricata dal 2008 di promuovere la Stato di diritto in Kosovo.
Scavare nel fango della politica: le promesse disattese
Nonostante Pristina e Belgrado abbiano garantito a più riprese di voler far luce sui crimini commessi in Kosovo e in Serbia, le indagini proseguono a rilento. I due paesi infatti si accusano a vicenda di ostacolare le richieste dell’altro sul proprio territorio, in un meccanismo conflittuale che si protrae da oltre vent’anni e che vede rinnovare ciclicamente le tensioni tra le parti non solo a livello politico, ma anche etnico-sociale.
Sulla carta Kosovo e Serbia si sono impegnati a garantire pieno accesso alle informazioni, comprese quelle con status riservato, nella “Dichiarazione sulle persone scomparse”, concordata nel maggio 2023, nell’ambito del faticoso processo per la normalizzazione delle relazioni negoziato dall’Unione europea. Ma secondo il portavoce dell’UE Peter Stano, il testo, approvato dal primo ministro kosovaro Albin Kurti e dal presidente serbo Aleksandar Vučić, non è ancora entrato in vigore.
Nel maggio 2024 si è tenuto un vertice tra i leader di Serbia e Kosovo, frutto di precedenti negoziati, per proseguire la stipula dell’accordo per questa normalizzazione; accordo che però non è stato firmato, a causa della persistenza di troppi punti critici che alimentano la distanza tra le due parti.
Infine, nell’ambito delle imminenti operazioni di scavo, Pristina chiede la sostituzione del capo della delegazione serba della commissione dei dispersi, Veljko Odalović accusato di essere coinvolto nelle strutture responsabili della guerra e nella persecuzione degli albanesi in Kosovo, essendo stato prefetto in Kosovo dal 1997 al 2001. Odalović, membro del Partito Socialista Serbo dell’ex-presidente Slobodan Milošević, gode della protezione di Belgrado, che respinge le accuse.
I numeri della guerra in Kosovo
Il 10 giugno 1999 entrava in vigore l’accordo di Kumanovo tra la NATO e la Repubblica Federale di Jugoslavia, concludendo così ufficialmente la guerra del Kosovo. L’accordo poneva fine a 78 giorni di bombardamenti delle forze NATO su Serbia e Kosovo e sanciva il ritiro delle forze jugoslave dal Kosovo, sostituite da una missione internazionale, come regolato nella Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Due giorni dopo, il 12 giugno, le truppe della NATO entravano in Kosovo, accolte come liberatori da una popolazione stremata da anni di violenze.
Durante la guerra in Kosovo sono stati uccisi oltre 10.000 civili, per lo più albanesi, e altre migliaia risultano scomparsi. Negli scorsi anni, la scoperta di nuovi resti aveva riacceso i riflettori sul dramma di centinaia di famiglie, che da più di vent’anni attendono risposte sulla scomparsa dei propri cari. Dall’inizio degli anni 2000 in Serbia sono state scoperte cinque fosse comuni che hanno restituito quasi mille corpi. L’ultimo ritrovamento nello stato balcanico risale al dicembre 2020, nella miniera a cielo aperto di Kizevak, nei pressi della città di Raška, a una decina di chilometri dal confine con il Kosovo, dove nel 2013 furono già riesumati 53 corpi.
Secondo la Croce Rossa, le persone ancora disperse durante la guerra sono 1.612, in gran parte albanesi, ma anche serbi e membri di altri gruppi etnici. Centinaia di famiglie, parenti e amici delle vittime rinnovano il loro dolore giorno dopo giorno, nel limbo straziante dell’attesa di un corpo su cui piangere, e da cui poter ricominciare. Alla luce di un simile fardello, è fondamentale che le istituzioni di ambo le parti imbocchino la strada della collaborazione in nome della verità, così da ricollocare vittime e persecutori nelle rispettive posizioni della Storia, e concedere a chi è sopravvissuto alla falce della guerra la possibilità di mettere fine al proprio lutto.
Foto: courrierdesbalkan.fr