In Serbia negli ultimi anni sono aumentate esponenzialmente le videocamere posizionate in luoghi pubblici, e secondo molti esperti, queste avrebbero la possibilità di riconoscere volti, oggetti e in generale ogni movimento umano. La questione, che riguardo la privacy e la gestione dei dati sensibili, è poi arrivata a Bruxelles, che sul tema impone regolamenti severi. Sullo sfondo il rapporto sempre più stretto tra Belgrado e Pechino.
Nel 2021 la Share Foundation, organizzazione non governativa che promuove la libertà su internet, lanciava l’allarme in Serbia riguardo l’utilizzo indiscriminato di tecnologie di videosorveglianza di ultima generazione, quasi sempre di fabbricazione cinese, in grado di filmare ben oltre il loro raggio d’azione e soprattutto dotate di tecnologie per il riconoscimento facciale.
Oggi nella sola Belgrado sono presenti oltre 1200 telecamere e in tutto il paese ne sono stimate più di 8000. Il Ministero degli Interni ha anche provato a legalizzare l’utilizzo della sorveglianza biometrica e sebbene il tentativo non abbia avuto successo, la polizia e le varie amministrazioni locali hanno continuato ad installare telecamere.
La possibilità di ruotare di 360 gradi permette a queste videocamere, fornite in gran parte dal colosso cinese Huawei, di sorvegliare uno spazio molto più ampio attorno a se e inoltre sono in grado di riconoscere volti, oggetti e in generale ogni movimento umano che accade nei dintorni. A ciò si aggiunga la possibilità per chi riceve i dati raccolti di elaborarli, analizzarli e confrontarli con altri dati e informazioni già disposizione.
L’utilizzo dei dati biometrici a scopo politico
Un controllo sulla vita quotidiana delle persone che va ben oltre i normali standard delle altre città europee e secondo un rapporto pubblicato da BIRN negli anni le autorità serbe avrebbero utilizzato pratiche di sorveglianza invasive tra cui il riconoscimento facciale per monitorare oppositori politici, attivisti civici e giornalisti critici.
Occorre ricordare che nelle ultime elezioni tenutesi in Serbia nel 2023, politici di opposizione e giornalisti critici sono stati bersaglio di significative minacce digitali o campagne diffamatorie che ad esempio hanno costretto al ritiro Djordje Miketic, esponente della coalizione “Serbia contro la violenza”. Il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici aumenterebbe esponenzialmente la possibilità di commettere tali atti violenti e intimidatori.
A Belgrado tra smentite e poca chiarezza
Il governo di Belgrado ha sempre negato l’utilizzo di videocamere con tecnologie di questo tipo, ma il Commissario per la protezione dei dati personali Milan Marinović, a cui lo stesso governo ha dato importanti rassicurazioni, ha ammesso che sull’argomento c’è stata poca trasparenza da parte delle istituzioni e ciò senza un motivo chiaro. “Ai cittadini mancano le informazioni. Sono preoccupati per la quantità di telecamere che stanno venendo installate. Vogliono conoscere il numero di spazi pubblici con le telecamere e vogliono sapere se i loro dati personali vengano poi elaborati.”
A riguardo Nevena Ružić, di Open Society Foundation Serbia che si occupa di proprio di difesa delle libertà civili, commenta: “Stiamo parlando della libertà di movimento, di espressione e di riunione. Si tratta di diritti previsti dalla nostra Costituzione, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti umani”.
L’installazione di tante videocamere in luoghi pubblici è inserita all’interno di vari progetti di sicurezza pubblica e stradale denominati “Safe City” e “Safe Society”. Per la realizzazione di questi progetti, cinque anni fa il Ministero dell’Interno serbo e l’azienda cinese Huawei hanno anche stipulato un contratto di cui non sono noti i costi complessivi, ma che secondo gli attivisti avrebbe un valore di circa dieci milioni di euro. Secondo molti esperti tuttavia, i dati riguardo la sicurezza a Belgrado non sono cosi allarmanti da richiedere un tale livello di controllo.
Già nel 2019 la Serbia riteneva le informazioni a riguardo “riservate”, ma era anche già noto che le aziende erano tenute, ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale cinese, a trasmettere tutti i dati in loro possesso ai servizi segreti di Pechino. Il tema è poi ben presto arrivato anche a Bruxelles essendo la Serbia candidata per l’adesione all’Unione Europea, che ha importanti e stringenti regolamenti sull’argomento.
Ad esempio, in UE il trattamento dei dati biometrici al solo scopo di identificazione personale è vietato e già nell’interrogazione parlamentare dell’ottobre 2019 venne chiesto alla Commissione Europea di chiarire la questione con il governo serbo, accertarsi che per tali progetti non venissero utilizzati fondi europei e soprattutto prendere atto del fatto che la Cina aveva in quel modo accesso ai dati sensibili di cittadini europei.
I rapporti tra Belgrado e Pechino
La questione dunque riguarda i rapporti diplomatici, commerciali e anche militari tra Serbia e Cina che negli ultimi anni, e in particolare dal 2022, hanno subito un notevole incremento. Un rapporto che va dal reciproco sostegno riguardo le questioni di Taiwan e Kosovo, fino al libero scambio commerciale. Pechino negli ultimi anni ha investito in Serbia miliardi di dollari soprattutto nei settori minerario e manifatturiero, ma anche in quello tecnologico e militare con droni intelligenti e sistemi di difesa aerea come i missili terra-aria.
Anche in tema di sicurezza informatica e gestione dei dati sensibili la Serbia del presidente Aleksandar Vučić sembra voler seguire Pechino invece di Bruxelles, il che rischia non solo di allontanare ulteriormente Belgrado dall’adesione all’UE, ma soprattutto mette in serio pericolo libertà civili e politiche.
Foto: Global Voices