Al lido è la giornata di Adrien Brody e Brady Corbet con The Brutalist, film di co-produzione ungherese su un architetto immaginario emigrato in america negli anni '40.

CINEMA: Venezia, l’epopea di The Brutalist

Al lido è la giornata di Adrien Brody e Brady Corbet con The Brutalist, film di co-produzione ungherese su un architetto immaginario emigrato in america negli anni ’40.

Sembra un film uscito da un’altra epoca, il gigantesco affresco su celluloide 70mm del cineasta britannico Brady Corbet dalla durata epocale di tre ore e mezza, con overture ed intervallo, secondo i canoni del cinema classico hollywoodiano alla Lean. Eppure, la scena iniziale di The Brutalist è di un’atmosfera e sensibilità completamente diversi, con una potenza senza precedenti. E la prima lingua che si sente è l’ungherese: di questa nazionalità è il protagonista, un architetto di nome László Tóth, interpretato da Adrien Brody, per metà ungherese da parte della madre Sylvia Plachy, che fuggì negli Stati Uniti a seguito del ’56.

Il nome del protagonista allude in realtà a un personaggio infelice: Tóth László si chiamava il vandalo che prese a picconate nel 1972 la Pietà di Michelangelo. Il collegamento al personaggio è piuttosto metaforico: l’architetto protagonista del film, che apprendiamo essere stato un frequentatore del Bauhaus, il collettivo tedesco di avanguardia artistica, trova la propria voce nella forma architettonica del brutalismo, per certi versi esteticamente agli antipodi rispetto al Rinascimento italiano. Non a caso, in una scena László visita le cave di marmo a Carrara, dove Michelangelo trovava i materiali delle sue statue.

Il terzo lungometraggio di Brady Corbet, pur presentandosi sotto la guisa del “roadshow” – tipo particolare di opera cinematografica presentata in pellicola 70mm, dalla durata e dimensione ampia, come per esempio Ben Hur o Lawrence d’Arabia, è un film che coniuga la sua vasta scala con un approccio più intimo, e che racconta attraverso László tutta una generazione di emigrati ungheresi ed est europei che si ritrovarono in un’America tanto allettante quanto ostile. L’identità ebraica del protagonista svolge un ruolo molto importante, ma come László stesso afferma in una scena, da “loro” (gli statunitensi) si sente escluso in quanto straniero, non in quanto ebreo.

Tra gli svariati aspetti di forza dell’opera è lo studio attento sulle pronunce e gli accenti: Adrien Brody e Felicity Jones recitano moltissime scene in lingua ungherese con una pronuncia impeccabile, e di contro adottano in inglese con maestria una dizione magiara molto accurata. L’italoamericano Alessandro Nivola, che interpreta un immigrato ungherese che vive negli Stati Uniti da anni, parla in ungherese con un accento intenzionalmente anglofono, che spesso emerge in emigrati che non usano la lingua da decenni. Uno studio approfondito, come mai è successo per un film di questo genere.

Una scelta infelice del film è l’epilogo, che rovina il senso poetico-epico che assume il film per i 210 minuti precedenti con un’esposizione ridondante, ma l’impressione che resta di The Brutalist è di un film sofisticato, gigantesco, anacronistico quasi, e ambizioso quanto ipnotico. Pur essendo la Mostra del Cinema di Venezia solo a metà del proprio percorso, l’opera già meriterebbe il Leone d’Oro.

Il film è stato girato principalmente a Budapest, con una presenza massiccia di ungheresi nella troupe, incluso il reparto montaggio (Dávid Jancsó, montatore abituale dei film di Kornél Mundruczó) e il suono (Szabolcs Gáspár, che ha già curato il suono di Corpo ed Anima di Ildikó Enyedi). Attualmente non si hanno notizie sulla distribuzione.

Chi è Viktor Toth

Cinefilo focalizzato in particolare sul cinema dell'est, di cui scrive per East Journal, prima testata a cui collabora, aspirante regista. Recentemente laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università di Trieste, ha inoltre curato le riprese ed il montaggio per alcuni servizi dal confine ungherese-ucraino per il Telefriuli ed il TG Regionale RAI del Friuli-Venezia Giulia.

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