Azerbaijan

Cosa non aspettarsi dalle elezioni parlamentari in Azerbaijan

Oggi in Azerbaijan si vota per rinnovare l’assemblea nazionale. Inizialmente previsto per novembre, l’appuntamento elettorale è stato anticipato dopo che il presidente azero Ilham Aliyev ha sciolto il parlamento lo scorso 28 giugno. Sono 6,4 milioni gli elettori registrati che dovranno scegliere i 900 candidati provenienti da 25 partiti politici. 

Corteggiato da tutti per le ingenti risorse energetiche di cui dispone e sempre più al centro dell’agenda politica mondiale grazie alla sua posizione strategica in una zona calda del mondo a ridosso di due continenti, l’Azerbaijan si appresta a rinnovare la Milli Məclis, l’assemblea nazionale unicamerale.  Inizialmente previsto per novembre dopo lo scioglimento del parlamento nel giugno 2024,  l’appuntamento elettorale che eleggerà i 125 deputati per i prossimi cinque anni, è stato anticipato al 1° settembre.

La decisione di andare a elezioni anticipate era stata proposta dai parlamentari della maggioranza e approvata dalla Corte Costituzionale il 27 giugno, tra  le obiezioni dei partiti di opposizione. Ciò ha consentito al presidente presidente Ilham Aliyev di sciogliere ufficialmente l’assemblea legislativa riponendo, almeno ufficialmente, la decisione finale nelle mani del voto popolare, nella pragmatica consapevolezza che la fiducia della comunità internazionale verso Baku passa anche dal rispetto delle procedure democratiche.

Ma la scelta della nuova data per il voto risponde anche a un bisogno “più alto”, legato alle aspirazioni che Baku intende coltivare nel consesso della politica mondiale. Per evitare che l’appuntamento elettorale si sovrapponesse con  la 29° Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici (COP 29) in programma il prossimo novembre, il presidente azero ha deciso di anticipare le elezioni parlamentari straordinarie, con la speranza di riuscire a evitare possibili incidenti di percorso durante la vetrina mondiale che riunirà i leader di tutti i paesi per concordare come intensificare l’azione globale al fine di risolvere la crisi climatica.

Le nuove elezioni straordinarie seguono le parlamentari del 2020, dove il partito al governo Nuovo Azerbaijan (YAP) ha ottenuto una maggioranza significativa (70 seggi). E oggi, a distanza di quattro anni, nulla sembra essere cambiato.  Attualmente, il partito guidato da Aliyev e spalleggiato da una falange di altre formazioni fedeli alla linea governativa continua a non avere rivali potendo  contare su 69 dei 125 seggi dell’assemblea uscente. Grazie alla sistematica operazione di impoverimento del dibattito politico che prevede, tra le altre cose,  l’estromissione delle opposizioni dalla dialettica democratica, il leader azero, al potere dal 2003, resta il  mattatore indiscusso e l’unico padre spirituale della scena politica dopo aver vinto le elezioni presidenziali di febbraio.

Una corsa sleale 

Tra i paesi emersi nella regione del Caucaso meridionale dopo il tracollo dell’Unione sovietica, l’Azerbaigian si è sempre distinto per aver conservato con maggiore rigidità e nostalgia un paradigma politico all’insegna  di un forte centralismo dai tratti autoritari. La ricaduta della crisi delle ideologie post-sovietiche nelle lotte intestine dei primi anni ’90 ha reso la depoliticizzazione della società azera in un fenomeno endemico. L’impoverimento del dibattito interno e la precaria situazione economica hanno fatto il resto spianando la strada al radicarsi di atteggiamenti populistici e alimentando la retorica di un uomo forte al comando.

elezioni presidenziali Azerbaijan
Il Presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev al World Economic Forum a Davos nel 2018.

La legge sui media approvata nel 2022 e una delle tante legge liberticide sui partiti politici adottata l’anno successivo per imbrigliare definitivamente le poche voci indipendenti confermano la china presa dal piccolo stato del Caucaso meridionale in materia di protezione dei diritti civili e politici. In questo panorama di repressione e censura generalizzata, le ondate di arresti di giornalisti indipendenti e di esponenti dell’opposizione non rappresentano affatto una cruenta novità, ma una triste consuetudine.

Basti pensare che alle ultime parlamentari la presenza record di 65.000 osservatori locali non ha impedito al potere centrale di ostacolare il lavoro dei gruppi che vigilano sul corretto svolgimento  della prassi elettorale. Mammad Mammadzadeh, coordinatore dell’Alleanza per l’osservazione elettorale, un osservatorio azero, ha raccontato le pressioni alle quali sono stati sottoposti gli osservatori sottolineando che “Solo le organizzazioni non governative filogovernative possono registrarsi” per il monitoraggio.

Il governo ha autorizzato la registrazione di osservatori stranieri provenienti da più di 40 paesi e da circa 30 organizzazioni internazionali per monitorare le imminenti elezioni parlamentari,  ma la decisione di anticipare la data per il rinnovamento dell’assemblea nazionale non rappresenta una garanzia di trasparenza da parte delle autorità. Al contrario, l’obiettivo del governo è piuttosto quello di smorzare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’appuntamento elettorale ricorrendo all’evento della COP29 per mettere a segno una capillare operazione di distrazione di massa.

Guerra e politica nel Caucaso

Un altro aspetto importante delle prossime elezioni parlamentari in Azerbaijan è che, per la prima volta, a più di 30 anni dall’indipendenza, si vota in tutti i territori del paese finalmente “riunificato”, compresi quelli dell’ormai ex repubblica del Nagorno Karabakh. A partire dal 1° gennaio 2024 Baku ha ufficialmente sciolto l’entità separatista dell’Artsakh dopo una breve guerra contro l’Armenia e adesso sta incentivando lo spostamento degli azeri in quei territori. Collocata formalmente entro i confini dell’Azerbaijan ma governata de facto in maniera indipendente, la piccola regione era abitata principalmente da persone di etnia armena costrette ora all’esodo di massa verso la propria madrepatria in quella che è stata definita come un’operazione di pulizia etnica.

Dal canto suo, il presidente azero può vantare di aver giocato un ruolo da protagonista nella fulminea operazione in Nagorno Karabakh che ha di fatto posto fine a una contesa trentennale tra Yerevan e Baku. Nel contesto delle imminenti elezioni parlamentari, lo YAP conta di intestarsi indirettamente i meriti e i successi del suo leader, assurto a garante dell’ordine costituzionale, nonché a uomo politico di spicco adoperatosi nel rendere l’Azerbaijan l’ago della bilancia negli equilibri di pace della turbolenta regione del Caucaso meridionale.

In questo modo a trionfare non sarebbe soltanto lo YAP attraverso il quale Aliyev mantiene il controllo sulla Milli Məclis, ma l’intero modello d’”ibrido democratico” da anni in voga nello stato azero. E la speranza di impiantare un sistema autenticamente democratico e pluralistico, che se operativo potrebbe consentire davvero a un certo numero di candidati dell’opposizione, non eterodiretti da nessuno, di espugnare il parlamento, verrebbe rimandata alla prossima elezione.

La possibilità che dalle urne venga fuori un risultato simile è molto più che una suggestione. Del resto, ciò sarebbe  la naturale conferma che l’attuale status quo gode di ottima salute. Mentre resta obiettivamente difficile sperare in un risultato in grado di destabilizzare dalle fondamenta la politica azera. Se non altro perché continuano a mancare quei presupposti di trasparenza necessari affinché un tale cambiamento possa verificarsi in tempi brevi. 

Chi è Tommaso Di Caprio

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