Com’è possibile che la morte di 84 mercenari russi della Wagner in Mali abbia portato alla rottura dei rapporti diplomatici fra Mali e Ucraina? Un’analisi…
Il 26 luglio scorso, presso Tinzaouatene, al confine tra Mali e Algeria, un gruppo di guerriglieri tuareg ha teso un’imboscata alle unità delle Forze Armate Maliane (FAMA) e ai mercenari russi della Wagner.Nella battaglia ha perso la vita anche un comandante delle forze russe, Sergei Shevchenko, insieme ad altri 84 mercenari e 47 soldati maliani. I separatisti tuareg, da tempo in conflitto con in governo di Bamako, hanno potuto godere del supporto dell’intelligence ucraina. La giunta militare che governa il Mali dal colpo di Stato del 2020, e da allora isolata a livello internazionale con la pressoché unica eccezione della Russia, ha così rotto ogni relazione con il governo di Kiev. Il conflitto russo-ucraino si globalizza mentre i governi del Burkina Faso e del Niger, anch’essi nati dopo colpi di Stato appoggiati o favoriti da Mosca, si dicono pronti a combattere.
Il gruppo Wagner e l’Africa – Genesi e Apocalisse
Se è vero che i mercenari ci sono da secoli, le Compagnie Private Militari e di Sicurezza (PMSC), invece, si considerano un fenomeno più strettamente legato al periodo post-Guerra Fredda. In un sistema internazionale che cambiava velocemente, molti Paesi si ritrovarono di colpo privati dell’assistenza militare di cui avevano goduto fino a quel momento nel contesto della competizione fra URSS e USA, i quali, in cambio, speravano di aumentare la loro influenza e presenza negli stati non allineati. Tuttavia, le minacce contro cui lottavano questi Paesi non si ritirarono con la stessa velocità e il disimpegno americano e sovietico lasciò dietro di sé un vuoto che ha portato alla nascita di un nuovo ‘mercato della forza‘ di cui queste PMSC avrebbero soddisfatto la domanda. Fra queste, i predecessori dello stesso Gruppo Wagner, come gli Slavonic Corps e il Moran Security Group, ma anche altri più o meno celebri, tra cui i Blackwater, i Military Professional Resources Incorporated (MPRI); i Sandline International o i South African PMC Executive Outcomes (EO) che si ritroveranno schierati al fianco degli eserciti regolari degli ex Stati-clienti in scenari come la guerra civile in Sierra Leone o la Guerra d’indipendenza croata.
In questo senso, il continente africano è emblematico. Con il crollo dell’URSS, la neonata Russia si disimpegna dal continente con la chiusura di almeno nove ambasciate, in quella che qualcuno ha definito la ‘Crisi d’identità diplomatica russa” e lasciando gli ex Stati-clienti in balia di un progressivo degradamento dello stato di diritto e dell’ordine pubblico. All’aumentare del disordine pubblico, aumentava parallelamente il bisogno di supporto militare e, in diversi casi, rispetto alle opzioni americane, francesi, o comunque, occidentali, molti Stati preferiscono rivolgersi proprio alle PMSC russe, non avendo avuto un passato coloniale nel continente, ma anzi considerandole eredi delle istanze anti-colonialiste di cui si era fatta promotrice la politica sovietica.
In seguito, la Russia deciderà di prendere in mano le redini delle PMSC, già largamente distribuite in giro per il mondo, che diventeranno uno dei più controversi strumenti della politica estera russa, i cui legami diretti con Mosca rimangono indefiniti, così come la legittimità della loro attività oltre che la legalità delle loro pratiche, rimanendo sempre in una zona grigia, fatto di più ombre che luci. In particolare, il gruppo Wagner avrebbe fatto la sua ufficiale apparizione negli scenari internazionali, prima in Ucraina e poi in Siria fra il 2014 e il 2015. Ad oggi, però, il continente africano è sicuramente lo scenario in cui è più visibile la sua presenza, attivo in almeno 18 stati africani dal 2016, fra cui, a partire dal 2021, proprio il Mali.
Quello che rimane da comprendere è perché ancora oggi questi mercenari russi continuino ad essere chiamati ‘wagneristi’ o ‘gruppo Wagner’, quando sarebbe lecito pensare che tali appellativi fossero morti insieme al capo dello stesso gruppo, Prigozhin, in seguito alla fallita marcia su Mosca del 2023. Ufficialmente, infatti, gli ex(?) wagneristi, in seguito alla morte di Prigozhin, sono ancora operativi in diverse zone dell’Africa, dopo aver firmato contratti con il Ministero della Difesa russo per arruolarsi nell’Africa Corps, un gruppo militare attivo, oltre al Mali, in Burkina Faso, Libia e Niger che sarebbe supervisionata dal viceministro della Difesa Yunus-Bek Evkurov per stabilire «un nuovo modello di cooperazione con i Paesi africani in cui il sostegno militare e politico veniva precedentemente fornito attraverso compagnie militari private».
Quanto di nuovo ci sia rispetto alle ‘precedenti compagnie private’ (alias il gruppo Wagner) è da capire. Quello che è chiaro è che, come qualcuno suggerisce, si può parlare del gruppo come di una vera e propria ‘idra paramilitare’ a cui più gli si taglia la testa, più si moltiplicano, facendo solo perdere le tracce sulle sue attività e sui legami col Cremlino, sempre più ambigui.
Il caso – i wagneristi e l’imboscata in Mali
Fra gli stati africani in cui il gruppo è stato più attivo negli ultimi anni, c’è sicuramente il Mali. Nel 2021 la giunta militare, che ancora oggi è al governo, ha preso il potere con il golpe del 24 maggio dello stesso anno, e dopo aver cacciato i militari francesi e quelli delle missioni ONU e UE, si è rivolta ai miliziani della Wagner per ottenere supporto logistico e operativo nella lotta ai ribelli e ai terroristi.
Infatti, il caso del Mali è particolarmente indicativo del caos in cui si inserisce quello che rimane dei Wagneristi nel Sahel e in Africa. Nel Paese si possono individuare almeno 3 attori, la cui competizione è causa della sua instabilità: le forze armate del Mali (FAMA – Forces Armées Maliennes); le milizie arabe e tuareg che lottano per ottenere l’indipendenza dal Mali per ri-fondare lo stato dell’Azawad nel nord del Paese (MNLA – Mouvement national de libération de l’Azawad ); e le organizzazioni terroristiche che non fanno che aggravare la situazione di instabilità della regione (la fazione JNIM di Al-Qaeda, in particolare).
Fra i primi due si è consumato lo scontro che ha causato la morte di 87 wagneristi e 47 maliani, almeno secondo le stime degli stessi tuareg, seppur non confermate dal governo centrale del Mali e della Russia. A differenza, di quanto riguarda la morte, confermata, del comandante Sergey Shevchenko e di Nikita Fedyanin, l’uomo dietro al canale Telegram di propaganda russa, dal significativo nome ‘Wagner Grey Zone’, dal quale erano emerse le prime notizie sull’attacco e sulle ‘significanti perdite’ che aveva comportato.
In quel momento i maliani, affiancati da un rilevante numero di mercenari russi, erano impegnati in operazioni di rastrellamento nel nord del Paese, alla ricerca di ribelli e terroristi, i quali, invece, coalizzati, hanno organizzato un attacco massiccio, utilizzando armi pesanti, droni e autobombe guidate da kamikaze.
A rendere il caso particolarmente degno di nota è l’accuratezza dell’attacco, che nelle testate giornalistiche internazionali prenderà poi la definizione di ‘imboscata’ e ‘trappola’, giustificato dal fatto che, in seguito all’attacco, lo stesso Andriy Yusov, rappresentante del Servizio di sicurezza ucraino (GUR) vanterà come ‘”i ribelli (tuareg) hanno ricevuto le informazioni necessarie, e non solo quelle, che hanno consentito loro di portare a termine con successo un’operazione contro i criminali di guerra russi”.
Un’intromissione che non è piaciuta molto al governo del Mali, il cui portavoce, il colonnello Abdoulaye Maiga, ha risposto dicendo: “Abbiamo appreso sgomenti delle affermazioni di Kiev, che ha ammesso il suo ruolo nell’attacco vile e barbaro che ha causato molte vittime tra i militari maliani e le forze di sicurezza a Tinzaouate […] Il governo di transizione della Repubblica del Mali condanna l’ostilità delle autorità dell’Ucraina, che ignorano come il Mali abbia sempre auspicato una soluzione pacifica alla crisi in atto tra la Federazione Russa e l’Ucraina” per poi annunciare a pochi giorni di distanza, l’interruzione dei legami diplomatici con l’Ucraina, a cui seguirà in solidarietà anche il Niger.
Una battaglia senza vincitori, ma solo vinti
Il caso del Mali, seppur coperto relativamente poco nella stampa italiana, ci dà l’idea di un nuovo modo per la guerra russo-ucraina di farsi globale. Ne è conferma una foto, pubblicata dallo stesso Kyiv-post, che raffigurava ribelli maliani con una bandiera ucraina a dimostrazione di una sorta di ‘alleanza‘ tra le parti in funzione anti-russa. Allo stesso modo, negli ultimi anni, è sempre più facile vedere bandiere russe durante le rivolte, dai toni anti-europei e anti-coloniali, che agitano spesso il continente.
Non solo, quella di Kyiv, è stata una mossa particolarmente azzardata, che ha letteralmente preferito mettersi in squadra con ribelli e terroristi islamici pur di sferzare un colpo ai russi. In un paese fragile e instabile come quello del Mali, che già si trova nella morsa degli interessi economici-privati dei mercenari Wagner, di quelli geopolitici russi, oltre che soggiogato dalle minacce indipendentiste e terroriste, ed aveva ben poche speranze di risollevarsi a breve dalle sue fragilità, è davvero difficile capire chi possa averla ‘fatta vinta’.