Due i film del Kazakhistan presentati a Locarno quest’anno, quasi uno l’opposto dell’altro, entrambi film di debutto.
Il microcosmo del cinema Kazako occupa spesso i margini del mondo dei festival cinematografici, e così accade anche a Locarno, seppur con la inusuale presenza di ben due lungometraggi, nella sezione “cineasti del presente”.
Crickets, it’s your turn di Olga Korotko
Un incontro tra un ragazzo ed una ragazza, Merey, molto introversa, su una collina fuori città. Un appuntamento, nel quale il ragazzo, presentatosi prima con modi cortesi, porta la ragazza ad incontrare il suo gruppo di amici, maschilista, che non si trattiene da battute a sfondo sessuale, tossico. La goccia che fa definitivamente traboccare il vaso è l’invito alla festa di compleanno di uno dei ragazzi, da trascorrere in una casa isolata nelle montagne, in cui Merey è l’unica invitata tra maschi, eccetto per le prostitute che fanno parte del “regalo”. Le conseguenze non possono essere che catastrofiche: Merey si ritrova “pecora” tra veri e prpri “lupi”, e deve trovare una via d’uscita, mentre cerca di trovare conforto dalle violenze subite nella propria immaginazione. Il film di debutto di Olga Korotko vuole presentarsi come un thriller a bassa velocità, in cui tematiche femministe si mescolano a momenti in cui l’immaginazione sembra prendere il sopravvento, alternate a scene di stampo tarkovksiano, con un velo di criticità nei contronti del suo sessismo a volte percettibile in scene di varie sue opere; si tratta di un lungometraggio con molte idee, ma che non sempre riesce a trasmettere una certa coerenza, e che si conclude con un finale intenzionalmente molto frustrante.
Joqtau di Aruan Anartay
Potrebbe sembrare quasi un opposto del film di Olga Korotko, in quanto Joqtau segue un personaggio maschile, ben consolidato in un ambiente conservatore, tradizionalista, che si porta dietro la partner in una serie di viaggi insieme al nonno, a cui sta a molto cuore il mantenimento delle tradizioni kazake-islamiche. Non è esattamente un film conformista a questo mondo – tant’è vero che le problematiche delle sue connotazioni patriarcali emergono spesso, ma lo scopo del film è molto diverso: delineare quel senso di disorientamento nella Kazakhistan post-sovietica, che si ritrova con un’identità pesantemente soggiogata dall’esperienza nell’URSS, che ha quasi cancellato la lingua (“ormai solo i nonni parlano il Kazako”, una frase emblematica del film) e la memoria delle tradizioni popolari e religiose. Il titolo è un riferimento ad un’usanza kazaka desueta, una forma di meditazione in un momento di lutto, che nell’opera si esprimenegli eventi della storia, ma che è anche suo scopo intrinseco: il film stesso è una meditazione, il lutto per un’identità che se non si è persa ancora, rischia l’estinzione, nei suoi aspetti positivi o negativi. Al contempo, questa riflessione permette uno squarcio sulle tradizioni del Kazakhistan che troppo raramente vengono presentate in modo così esplicito in questa realtà cinematografica così rara. Joqtau è un film piccolo (e breve, di 73 minuti), ma non per questo meno significativo e meno sognante.