Un quarto dell’economia croata dipende dal turismo. Il dato più alto in Europa, e che rivela una fragilità di fondo.
La Croazia è il paese UE la cui economia dipende di più dal settore turismo – per ben il 25,8% del PIL nel 2023. Grecia e Portogallo, che la seguono, non arrivano al 20%. Un record – il più alto dell’ultimo periodo, dopo la scivolata all’8,9% nel 2020 per via del covid – che rivela una fragilità di fondo dell’economia del paese balcanico, l’ultimo ad aver aderito all’UE nel 2013.
Il settore turistico croato può contare su oltre un milione di posti-letto turistici per meno di quattro milioni di cittadini, e in crescita del 30% nel giro di un decennio. L’adesione della Croazia all’euro e l’ingresso nell’area Schengen, entrambi nel gennaio 2023, hanno spinto ancora di più gli arrivi turistici, portando l’incidenza del settore a oltre un quarto del PIL. Tanto che per l’estate 2024 ci si attendono numeri da record, dopo un +7% di arrivi e +3% di pernottamenti nel primo semestre.
Un settore stagionale e ad alto impatto ambientale e sociale
Come affermavano Orsini e Ostojic già nel 2018, “la Croazia presenta un tipico modello turistico ‘mare e sole’ con soggiorni concentrati nelle zone costiere nei mesi estivi. L’offerta di alloggi è sbilanciata verso strutture relativamente economiche (come case vacanze private e campeggi) e la spesa dei turisti è inferiore alla media UE.”
Il problema principale del settore turistico croato, secondo i due economisti, è che è altamente stagionale. Tre quarti dei pernottamenti si concentrano nei tre mesi estivi. Una stagione breve, rispetto ad esempio a quella della Grecia che va da aprile a ottobre, che non permette di creare un indotto domestico stabile e resta dipendente dalle importazioni di beni e dai lavoratori temporanei – il 45% degli impiegati nel settore, il tasso più alto nell’UE.
Inoltre, per posizione geografica, la Croazia attrae turisti soprattutto dall’Europa centrale-orientale (due terzi da Germania, Slovenia, Austria, Polonia, Repubblica Ceca, oltre a Italia, Slovacchia e Ungheria). Quasi tutti (il 90%) arrivano in auto, creando congestione alle frontiere e sulle autostrade, e con un impatto ambientale negativo, oltre che sociale. La maggiorazione delle tariffe autostradali durante l’estate, decisa nel 2017, ha colpito non solo i turisti ma anche residenti e lavoratori del settore.
Come scrivono Orsini e Pletikosa (2019), una eccessiva dipendenza dal turismo può portare a effetti negativi per l’economia nel lungo termine, con la compressione della crescita in altri settori: dal Dutch disease, si parla in questo caso di beach disease. Benché la situazione croata non sembri troppo preoccupante, i due economisti indicano due meccanismi di rischio. In primis, il settore si basa fortemente su beni di importazione, causando quindi un deficit nella bilancia commerciale. In secondo luogo, il turismo ha un impatto limitato sull’occupazione, che lo isola dal resto dell’economia e limita potenziali ricadute (positive o negative).
Scuole alberghiere vuote?
Già nel 2018, il presidente dell’Associazione croata degli economisti Ljubo Jurcic affermava che il turismo “non dovrebbe superare il 10% del PIL; è semplicemente un segno di un settore manufatturiero poco brillante”.
Jurcic ha sottolineato la discrepanza tra istruzione e offerta lavoro: “Una nazione che dipende per il 20% del PIL dal turismo non dovrebbe avere scuole alberghiere vuote. La Croazia ha bisogno di cuochi, camerieri e direttori d’albergo. Sta invece producendo ingegneri ed economisti.”
Ciò, secondo Jurcic, alimenta l’esodo dei giovani e lo spopolamento delle regioni dell’entroterra in Slavonia e Dalmazia. “Persino i nostri cuochi vanno a lavorare in Germania”. Ciò per via di una industria “spontanea” e ciclica, che non offre stabilità. “Il turismo in Croazia accade e basta”, ha detto Jurcic. Un giudizio condiviso da Mato Bartoluci, professore di turismo presso la facoltà di economia dell’Università di Zagabria: “Il turismo da solo non può sostenere l’economia”.
Manodopera straniera per la stagione turistica
Nei dieci anni dall’adesione all’UE, la Croazia ha perso circa un decimo della sua popolazione: 385.000 persone, molte delle quali emigrate, spesso i più giovani, istruiti e produttivi. Per garantire la monodopera necessaria al settore turistico, la Croazia ha quindi aperto all’afflusso di lavoratori stranieri: 32.734 nel 2018, 124.121 nel 2022. La maggioranza dei permessi di lavoro è per il settore edile, seguito dal turismo.
Data la vicinanza e la lingua in comune, la maggioranza dei permessi è per cittadini di Bosnia Erzegovina e Serbia (rispettivamente 13.401 e 7.457 nel 2022), seguiti da Nepal, India, Macedonia del Nord, Kosovo, Filippine, Bangladesh, Turchia e Albania. E il governo è sotto pressione per snellire le pratiche burocratiche per i permessi. La Camera di Commercio croata spinge inoltre per una modifica della legge sugli stranieri per permessi di lavoro triennali (anziché annuali) e permessi stagionali di nove mesi (anziché sei).
Veljko Ostojic, direttore dell’Associazione croata per il turismo (HUT), stimava a circa 60.000 lavoratori stagionali il fabbisogno per il 2023, di cui 20-25.000 domestici, e 35.000 dall’estero, “il 10% in più rispetto ai permessi rilasciati nel 2022”. Il governo si è già impegnato a snellire le procedure, per evitare impatti negativi sull’economia.
“I lavoratori stranieri supereranno il 10 percento della forza lavoro totale”, ha affermato la parlamentare croata Anka Mrak Taritas nel maggio 2023, citata da Balkan Insight. Con oltre il 40% di questi lavoratori provenienti da paesi come Nepal, India e Filippine, la Croazia deve proteggerli dallo sfruttamento, ha aggiunto. “Devono ricevere un lavoro e uno stipendio dignitosi”.
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