Menzione speciale della giuria ecumenica al Karlovy Vary Film Festival, Panopticon è il film del regista George Sikharulidze.

CINEMA: Intervista a George Sikharulidze, regista di Panopticon

Menzione speciale della giuria ecumenica al Karlovy Vary Film Festival, Panopticon è il film del regista George Sikharulidze.

Un film di formazione georgiano, in cui il protagonista, Sandro, improvvisamente si ritrova solo, con una madre all’estero per lavoro ed un padre che all’improvviso lo abbandona per rifugiarsi in un monastero in seguito ad un’epifania mistica. Spinto tra gli ingranaggi della società, Sandro cerca la propria identità ed appartenenza, rischiando una radicalizzazione xenofoba ma avvicinandosi anche ad altri ambienti. Panopticon è un film di debutto, e ne condivide i limiti. Non sempre l’opera da la sensazione che ci sia una chiarezza di fondo – si percepisce una voce registica che vuole raccontare e che ha qualcosa da dire, ma che non sempre riesce a filtrare nel linguaggio filmico la propria intenzione. Al contempo il film ha un suo fascino, che specialmente emerge nel rapporto del protagonista col padre (interpretato da un fantastico Malkhaz Abuladze) o nel rapporto quasi incestuoso con la madre di un amico. Il background filosofico che spinge il film è quasi assente, se non esplicitato negli ultimi minuti del film, purtroppo, essendone uno dei punti di forza che si auspica emergano ulteriormente in progetti futuri del regista, George Sikharulidze, con cui abbiamo avuto modo di parlare al Karlovy Vary Film Festival.

Da dove spunta questo titolo, Panopticon, e che significato ha per il film?

Quando ho iniziato a scrivere il film ho letto molto sul panottico in Foucault. Il Panottico come struttura carceraria è stato utilizzato da Foucault per parlare di dinamiche sociali più ampie. Si tratta di una struttura circolare in cui c’è una torre centrale adibita all’osservazione, e i prigionieri non sanno se c’è qualcuno effettivamente ad osservarli ma ormai non importa, perché il loro comportamento viene plasmato comunque. Ritengo che una storia debba trascendere i limiti della trama, ed offrire spunti di riflessione. Ho messo “Panopticon” come titolo in corso d’opera, per ricordarmi che devo sempre guardare all’immagine più ampia. Poi come spesso accade, il titolo è rimasto. Esitavo a tenerlo ma non era più una decisione che spettava a me. Volevo comunque collocarmi su un altro titolo che avesse a che fare con l’azione del guardare.

Nel film spesso ci ritroviamo con personaggi che osservano o che sono osservati, è una tematica che ricorre.

Si, dall’inizio mi è diventato chiaro che il film avrebbe riguardato sia l’osservare che l’essere osservato, che per me sono le fondamenta del cinema, sia dal punto di vista di ciò che accade sullo schermo, che quello che accade tra schermo e pubblico. C’era quindi qualcosa di “cinematografico” in questo. Penso che l’osservazione tradisca i nostri desideri più profondi, ma al contempo anche essere osservati ha questo effetto.

Ripensando alla metafora del panottico, c’era per caso anche un intento di rappresentare la società attraverso le vicissitudini di Sandro? Il film è anche una specie di studio sulla società, come il Panottico lo era per Foucault?

Devo dire che gli eventi che si svolgono nel film erano più rilevanti al tempo in cui ho scritto la sceneggiatura, 5-6 anni fa, ed ora hanno una rilevanza diversa. C’era una ondata xenofoba molto forte all’epoca, ed io mi comportavo come una spugna, incorporavo ciò che succedeva attorno a me. Devo dire che l’idea del panotticismo non era considerata principalmente in quest’ottica. Nei testi di Foucault, lui non applica mai questa concezione alla religione, e per me, l’idea può facilmente essere incorporata in una di controllo religioso, di dominazione religiosa. Quando nel film il padre del protagonista annuncia che andrà a vivere in monastero e ammonisce il figlio dicendogli che Dio osserva tutto ciò che fa, erge su di lui la torre dell’osservatore. Quindi Sandro non è osservato dagli uomini ma da Dio.

C’è dell’autobiografico negli eventi del film o nel personaggio del protagonista?

In alcuni aspetti sì. Più che autobiografico, è personale ad un livello emotivo per me. Parlavo con qualcuno riguardo a I 400 Colpi di François Truffaut, a cui faccio un omaggio nel film. In questo film il protagonista ha entrambi i genitori – o meglio, la madre ed il patrigno, non sappiamo chi sia il padre, ma comunque molto assenti dalla sua vita. Era un po’ anche il mio caso.

Dalle risposte noto una certa cultura filosofica e profondità di pensiero che confesso che non era emersa nella mia visione del film.

E lo speravo. Ho un passato in studi umanistici, prima che iniziassi a studiare cinema, e questo mi resta impresso, che lo voglia o meno. Quando ho iniziato a studiare cinema alla magistrale, alcuni miei professori mi consigliavano di lasciare dietro il mio bagaglio, e sono d’accordo che i film non dovrebbero essere di testi filosofici, ma piuttosto emotivi. Mi aiuta avere un quadro culturale che mi tenga informato sulle mie decisioni, ma non voglio che le persone escano del film filosofeggiando, voglio che restino colpite dall’emozione.

Panopticon ha avuto la sua anteprima italiana al Giffoni Film Festival

Chi è Viktor Toth

Cinefilo focalizzato in particolare sul cinema dell'est, di cui scrive per East Journal, prima testata a cui collabora, aspirante regista. Recentemente laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università di Trieste, ha inoltre curato le riprese ed il montaggio per alcuni servizi dal confine ungherese-ucraino per il Telefriuli ed il TG Regionale RAI del Friuli-Venezia Giulia.

Leggi anche

Flow e La Gita Scolastica, due film dello scenario dell'Europa Centro-Orientale già presentati a vari festival,  finaelmente arrivano in sala a partire dal 7 Novembre.

CINEMA: L’est in sala, Flow e La Gita Scolastica

Flow e La Gita Scolastica, due film dello scenario dell’Europa Centro-Orientale già presentati a vari …

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com