Russia minaccia nucleare

RUSSIA: la più grande risorsa di Putin sono le nostre paure

Dall’invasione del febbraio 2022, non passa una settimana senza che Vladimir Putin brandisca lo spettro della minaccia nucleare, diventata la più grande risorsa della Russia nella sua guerra ibrida sul fronte occidentale. Niente di nuovo per il Cremlino, abituato a fare delle nostre paure uno strumento di politica estera. Una storia che parte dalla Perestroika e arriva fino ad oggi.

La lezione di Gorbaciov e Yeltsin 

All’ascesa al potere di Mikhail Gorbaciov nel 1985 seguì una vera rivoluzione nella politica estera sovietica. Per la prima volta l’Europa occidentale -organizzata nella Comunità Economica Europea- veniva riconosciuta come un soggetto di politica internazionale; autonomo dagli Stati Uniti e indispensabile all’URSS per preservare il suo status di grande potenza. Nel suo libro “Perestroika: un nuovo pensiero per il nostro paese ed il mondo”, il Neo-segretario presentò per la prima volta il concetto di “Casa comune europea”, articolato poi nel famoso discorso di Strasburgo del luglio ‘89. In base alla nuova visione gorbacioviana, la cooperazione tra Unione Sovietica ed Europa era raccontata come l’unico strumento in grado di preservare la pace nel Vecchio Continente, evitando la paventata catastrofe nucleare.  

Lontano dalle sincere intenzioni pacifiste che in molti gli attribuirono in occidente, Gorbaciov stava approfittando degli umori, e soprattutto delle paure, che da decenni attanagliavano la sponda occidentale della cortina di ferro. Paesi come l’Italia, la Francia e la Germania vedevano nella diffusione dell’arma nucleare la più grande minaccia alla propria esistenza; e all’esistenza di quel mondo, pacifico e prosperoso, creato sulle premesse del secondo dopo-guerra. In questo senso, non solo i rapporti con Mosca si svelarono ancora una volta fondamentali, ma l’esistenza stessa dell’URSS apparì come l’unica garanzia ad evitare che quelle armi finissero in mani meno prudenti di quelle di Gorbaciov. Spinti da questa convinzione, i politici europei accolsero le politiche riformiste della Perestroika cercando di evitare l’improvviso crollo della Federazione sovietica. Così facendo, la minaccia nucleare veniva sfruttata a scopo politico portando enormi dividendi al Cremlino. 

Dopo il 1991, la gran parte dell’arsenale atomico sovietico passò sotto il controllo della neonata Federazione Russa. Oltre alle armi, la Russia post-comunista ereditò anche alcune tattiche di politica estera che caratterizzarono gli ultimi anni dell’URSS. Ad esempio, il presidente Boris Yeltsin riconobbe subito l’importanza della cooperazione con i paesi dell’Europa occidentale. I primi anni del suo mandato furono infatti caratterizzati da numerose visite ufficiali nelle capitali europee, in cerca sia di legittimità politica che di concreti aiuti economici. In questo periodo Yeltsin provò a giocare la carta della minaccia nucleare, sperando di convertire in denaro le paure dei politici occidentali. Tuttavia, se le armi atomiche erano rimaste le stesse, la percezione del mondo nei confronti di Mosca era cambiata profondamente. Per le leadership europee la Russia non rappresentava più quell’”impero del male” forgiato da decenni di stalinismo, ma un paese debole in cui gran parte della popolazione viveva in uno stato di povertà assoluta. I viaggi di Yeltsin, quindi, non portarono i risultati sperati; e l’idea di una escalation nucleare in Europa sembrò venir consegnata alla storia. 

Gli anni di Putin 

Divenuto Presidente nel 1999, Vladimir Putin fece tesoro dell’esperienza accumulata negli anni precedenti, vissuti tra Dresda e San Pietroburgo. Dalle vicende di Yeltsin e Gorbaciov egli apprese una grande lezione: per sfruttare la minaccia nucleare a proprio favore nei rapporti con l’Europa occidentale la Russia doveva presentarsi come un paese forte e belligerante, in grado di dominare l’arena internazionale come l’URSS aveva fatto per decenni. Negli anni del primo mandato di Putin, così come negli anni ‘90, la Russia era percepita come un gigante dai piedi d’argilla, debole sul piano interno e poco influente sul piano internazionale. La cooperazione politica ed economica con l’UE sembrava ancora una strada percorribile, in grado di abbattere definitivamente i muri creati dalla guerra fredda. Per questo motivo, in questi anni il potenziale uso delle armi atomiche non fece mai parte della propaganda russa, nonostante la questione del disarmo rimase centrale nei rapporti tra Mosca e l’occidente. 

Nel 2008, l’intervento in Georgia segnò il ritorno delle politiche espansioniste russe, mostrando per la prima volta il carattere revisionista e belligerante di Vladimir Putin. In questo periodo, i rapporti tra la Russia e l’occidente deteriorano, e le opinioni pubbliche europee tornarono ad aver paura dell’atteggiamento di Mosca. In questo senso, i punti di non ritorno furono l’annessione della Crimea del febbraio 2014 e l’inizio delle ostilità nelle regioni di Donbass e Lugansk, a dimostrazione della disponibilità russa nel condurre una guerra fin dentro i confini dell’Europa. Da questo momento in poi, consapevole di aver riportato la paura nel Vecchio continente, Putin iniziò giocare le sue carte. Ad ogni passo di un paese europeo percepito come potenzialmente ostile, il Cremlino reagì brandendo l’utilizzo delle armi atomiche, facendo della minaccia nucleare uno strumento di politica estera. 

Negli ultimi anni questo fenomeno si è progressivamente intensificato, soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina. La resistenza di Kiev, infatti, dipende in gran parte dagli aiuti che arrivano da occidente, da paesi in cui il consenso popolare gioca un ruolo importante anche nelle decisioni di politica estera. Ciò è vero soprattutto in Europa, dove le decisioni politiche nei riguardi della questione ucraina sono perennemente oggetto di discussione e diatriba politica. In questo senso, agitare lo spettro della guerra nucleare serve alla Russia per plasmare le opinioni pubbliche europee e, di conseguenza, per influire sulle scelte che riguardano il conflitto in Ucraina, come l’invio di armi o i negoziati di pace.  

Cosa succede oggi? 

Come abbiamo osservato, l’uso politico della minaccia nucleare e lo sfruttamento delle paure che affliggono l’occidente, soprattutto l’Europa, non sono elementi nuovi alla politica estera russa, ma tattiche ben congeniate che ogni leader del Cremlino da sempre cerca di utilizzare. Infatti, l’approccio che portò George Bush e Margaret Thatcher a sostenere le riforme di Gorbaciov negli ultimi anni dell’URSS è lo stesso che oggi le leadership europee utilizzano nei confronti della Russia di Putin e della questione Ucraina. Esso si fonda su una duplice convinzione per cui, da una parte un confronto frontale e diretto con Mosca porterebbe a una guerra atomica, e dall’altra l’eventuale disintegrazione dello stato russo non farebbe che aumentare la destabilizzazione ed il caos globale.  

Prima di concludere, non possiamo tralasciare un fattore che differenzia gli anni ‘80 e ’90 dalla stretta attualità. Infatti, se nel recente passato l’Unione Europea e la NATO erano composte unicamente da paesi a Ovest della ex cortina di ferro, oggi quasi la metà degli stati membri proviene dalla sponda orientale della stessa. Questi paesi hanno una propria percezione del sistema internazionale e, soprattutto, della Federazione Russa, plasmata da una geografia e una storia recente diverse da quelle di Francia, Spagna o Italia. Essendo stati l’oggetto delle politiche imperiali russe fin dal 1700, paesi come la Polonia o gli stati baltici hanno un atteggiamento ben più violento e aggressivo nei confronti di Mosca, considerando la sconfitta di quest’ultima come l’unica soluzione possibile nella disputa con l’Ucraina, anche a costo di generare un’escalation nucleare.  

In ogni caso, tutto ciò non significa che le minacce di Putin non debbano essere prese seriamente. La gestione e il controllo delle armi nucleari è fondamentale per preservare l’esistenza dell’Europa e del mondo nella sua totalità. Tuttavia, di certo, grazie all’estrema prudenza dell’occidente, la Russia negli anni ha potuto sfruttare e manipolare le paure e gli umori popolari, mantenendo in vita i vincoli che Washington e Bruxelles si sono imposti per evitare l’apocalisse nucleare.

Fonte immagine: Sito web di Reuters

Chi è Livio Maone

Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all’Universitá di Roma Tre. Attualmente è studente magistrale all'Università di Bologna.

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