di Matteo Zola
Il Trattato di Trianon fu il trattato di pace con cui le potenze vincitrici della prima guerra mondiale stabilirono le sorti del Regno d’Ungheria in seguito alla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico. Il trattato venne firmato il 4 giugno 1920 nel palazzo del Grande Trianon di Versailles, in Francia. Gli attori principali del trattato furono le potenze vincitrici, i loro alleati, e la parte sconfitta. Le potenze vincitrici comprendevano Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Italia; i loro alleati erano Romania, Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (in seguito Jugoslavia) e Cecoslovacchia; mentre la parte sconfitta era l’ex monarchia austro-ungarica, rappresentata dall’Ungheria.
Il Trattato di Trianon andò incontro ai Quattordici punti di Woodrow Wilson che prevedeva, all’indomani della Grande Guerra, una riorganizzazione su base etnica dell’Europa. Tale “etnicità” dell’Europa non ne disinnescò il potenziale nazionalistico e -secondo lo storico Eric Hobsbawm – fornì una giustificazione alle successive pulizie etniche e, addirittura, all’Olocausto degli Ebrei.
Fine della parentesi storiografica, veniamo all’attualità slovacca. Il novantesimo anniversario del Trattato è stato salutato diversamente alle due sponde del Danubio. Il parlamento ungherese a fine maggio ha approvato una legge in cui definisce i trattati di pace firmati a Versailles alla fine della prima guerra mondiale: “la più grande tragedia mai capitata agli ungheresi”. Gli slovacchi invece, con in testa il leader nazionalista dell’Sns, Jan Slota, hanno inaugurato una targa commemorativa con la seguente iscrizione: “Il trattato del Trianon ha creato la Cecoslovacchia con il consenso delle altre nazioni e ha dato forma alla nuova Europa”. E come dargli torto. Non è però mancata la stoccata agli ungheresi: “l’irredentismo ungherese è una marea: non facciamo in tempo a fermarlo da una parte che subito rispunta da un’altra”, ha affermato Slota. Questo giusto per scaricare la responsabilità sugli esponenti dello Jobbik, portatori “di un nazionalismo panungherese, sciovinista e irredentista”. Nota a margine: la targa commemorativa è stata posta a Komarno, città frontaliera sul Danubio che ha una sua “gemella” oltre fiume, ovvero l’ungherese Komarom. Un po’ come Gorizia e Nova Gorica, per intenderci.
Porre la targa commemorativa proprio sul confine è un atto simbolico, una rivendicazione della frontiera, una provocazione verso gli ungheresi più oltranzisti. Al più becero dei nazionalismi -quello di Jobbik- risponde uguale e contrario quello dell’Sns. Al da là dai populismi, però, non va sottovalutato il revisionismo storico ungherese. Definire, da parte del Parlamento di Budapest, il Trattato di Trianon come: “la più grande tragedia capitata agli ungheresi” è un atto che si allontana da quel necessario processo di condivisione della memoria storica europea, fondamentale viatico per una reale integrazione del continente.
La tragedia dei trattati che misero fine alla Grande Guerra fu la distruzione dell’Austria-Ungheria, un impero sovranazionale nel quale convivevano popolazioni o, come si dice oggi, etnie diverse, sulle quali regnava l’imperatore. Succedettero Stati di nuova formazione (Cecoslovacchia, Polonia, Repubbliche baltiche, Jugoslavia ex Serbia) o già esistenti (Romania, Italia) che si formarono o si ingrandirono a dismisura, vedi Romania, a spese di altri Stati. Tutti questi Stati erano estremamente nazionalisti e afflitti da minoranze etniche i cui diritti venivano conculcati in misura diversa, creando le basi per la seconda guerra mondiale. Fu Churchill, uno dei cervelli pensanti del ‘secolo breve’ che, inascoltato, lanciò un grido di allarme.