Martedì 4 giugno, la Slovenia è diventata l’ultimo paese membro dell’Unione Europea a riconoscere lo stato di Palestina, appena una settimana dopo che Spagna, Norvegia e Irlanda avevano preso una decisione analoga, scatenando la frustrazione israeliana che aveva portato al ritiro dei gli ambasciatori dello stato ebraico da tutti e tre gli stati.
Per quanto riguarda gli stati successori della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia (SFRJ), la Palestina è stata riconosciuta da Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro e ora Slovenia, mentre Croazia, Macedonia del Nord e Kosovo non hanno instaurato relazioni diplomatiche con lo stato guidato da Mahmoud Abbas.
Considerando che la Jugoslavia aveva riconosciuto lo stato di Israele appena dopo la sua nascita, anche se poi aveva tagliato ogni relazione diplomatica in seguito alla guerra dei sei giorni del 1967, ed aveva stabilito piene relazioni diplomatiche con la Palestina nel 1989, da dove deriva il diverso approccio delle repubbliche nate dal suo scioglimento?
Serbia e Kosovo
La Serbia ha mantenuto nei confronti di Israele e Palestina la stessa politica di doppio riconoscimento come naturale proseguimento delle azioni della SFRJ ed è riuscita, dagli anni ’90 fino ad oggi, a mantenere relazioni positive con entrambi. Con le guerre di dissoluzione jugoslave che avevano portato il regime di Slobodan Milošević ad un marcato isolamento internazionale, il governo di Belgrado aveva deciso di rinnovare le relazioni diplomatiche con Israele nel 1991, quasi 25 anni dopo la guerra dei sei giorni, e di aprire un’ambasciata a Tel Aviv. Inoltre, è da evidenziare l’approccio piuttosto distaccato sulla crisi del Kosovo nel 1998-99 dell’allora governo israeliano, i cui rappresentanti non avevano condiviso la decisione della NATO di intervenire ed erano piuttosto restii nel riconoscere la natura genocida delle azioni dei militari e paramilitari serbi. Questa politica fu confermata anche nel 2008, quando la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non venne riconosciuta da Israele, anche per timore che un eventuale riconoscimento potesse avere un impatto sulle richieste palestinesi.
Nel 2020, sotto pressione degli Stati Uniti di Donald Trump, Israele ha radicalmente cambiato il suo approccio e riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, primo paese a maggioranza musulmana ed il quarto a livello mondiale ad aprire la propria ambasciata a Gerusalemme. La decisione fu giustificata da Israele affermando che la situazione di Kosovo e Palestina non sono paragonabili, visto che il primo rispetta tutti i parametri del diritto internazionale per quanto riguarda la statualità e la dichiarazione unilaterale di indipendenza non ha violato alcuna norma di diritto internazionale come stabilito dalla Corte Internazionale di Giustizia. Questo sviluppo aveva provocato il malcontento della Serbia, che aveva quindi deciso di bloccare il trasferimento della propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme precedentemente annunciato dal presidente serbo Aleksandar Vučić. Ciononostante, le relazioni tra Belgrado e lo stato ebraico rimangono buone soprattutto per ragioni economiche, come dimostrato dalla netta condanna di Vučić agli attacchi del 7 ottobre, l’export di armi serbe verso Israele e l’iniziale astensione serba nella prima votazione per un immediato cessate il fuoco in seno all’Assemblea Generale ONU.
Dall’altro lato le relazioni tra Palestina e Kosovo non sono mai nate, per un netto rifiuto dell’Autorità Palestinese di riconoscere la dichiarazione di indipendenza del 2008. Da parte palestinese, infatti, il Kosovo è visto come un prodotto dell’espansionismo statunitense, e viene criticato il doppio standard occidentale sulle due questioni, sostenendo che la Palestina non ha niente in meno del Kosovo e la propria indipendenza avrebbe dovuto essere riconosciuta tempo fa con l’appoggio degli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Bosnia Erzegovina e Montenegro
Sarajevo e Podgorica e hanno instaurato relazioni diplomatiche con la Palestina subito dopo la propria indipendenza, rispettivamente nel 1992 e nel 2006, proseguendo la politica della SFRJ nel primo caso e dello stato di Serbia e Montenegro nel secondo. Entrambi i paesi hanno votato fin da subito per un cessate il fuoco immediato nella striscia di Gaza in seno all’Assemblea Generale ONU, sede presso cui si è tenuta anche la votazione per stabilire l’11 luglio come giorno del ricordo del genocidio di Srebrenica, cui Israele non ha partecipato.
Con questa scelta Israele si è discostato in modo netto dal blocco occidentale e ha fatto crescere in Bosnia Erzegovina il sentimento di solidarietà alla causa palestinese, già forte anche per i legami storici e religiosi, e ulteriormente rinforzato dalle parole dell’Ambasciatore israeliano a Belgrado che ad aprile aveva convintamente affermato che quello di Srebrenica non poteva essere definito come un genocidio, lasciando trasparire la contrarietà di Israele alla risoluzione sponsorizzata da più di trenta paesi.
Macedonia del Nord e Croazia
Macedonia del Nord e Croazia, invece, non hanno mai riconosciuto lo stato di Palestina, né hanno mai intrapreso relazioni diplomatiche, adottando di fatto una posizione pro Israele. L’inizio delle relazioni diplomatiche tra quest’ultimo e la Croazia è stato tutt’altro che facile e frutto di intensi negoziati. Infatti, tra l’indipendenza dell’ex repubblica jugoslava e la piena definizione di relazioni diplomatiche passarono ben sei anni: dal 1991 al 1997. Problematico, infatti, era il rapporto tra Franjo Tuđman, presidente dall’indipendenza fino alla sua morte nel 1999, e le autorità israeliane, che accusavano di antisemitismo e filonazismo il leader croato. Fu soltanto dopo scuse pubbliche del governo e del presidente croato per i crimini commessi durante la seconda guerra mondiale che i negoziati andarono a buon fine. Dopo la definizione delle relazioni diplomatiche, il ministro degli Esteri croato Mate Granić andò in visita ufficiale in Israele, mentre Tudman non vi si recò mai.
In conclusione, i paesi dell’ex Jugoslavia, che nel 1947 si era fatta promotrice in seno alle Nazioni Unite di un piano che portasse alla creazione di un unico stato federale di Israele e Palestina, hanno quindi adottato politiche diverse alla questione israelo-palestinese, a volte in contrasto con quelle della repubblica federale di cui sono gli eredi internazionalmente riconosciuti. Politiche più autonome rispetto alla linea di Belgrado erano già iniziate a nascere con la morte di Tito, ma sono diventate evidenti negli anni ’90.
Fonte immagine: AP news