La coalizione di governo formata dai due maggiori partiti della Romania ha retto bene l’urto del doppio appuntamento elettorale e l’estrema destra non ha sfondato. Ma cambierá qualcosa nei prossimi mesi?
Domenica 9 giugno si è votato in Romania per le elezioni europee e per quelle locali. In nessuno dei casi ci sono state grandi sorprese: alle europee, l’alleanza elettorale Alianța PSD-PNL, formata dai due partiti di governo, ha retto piuttosto bene, imponendosi con il 48,5 percento. Non c’è stato lo sfondamento temuto da parte del partito di estrema destra AUR, che alcuni sondaggi davano, in febbraio, fino al 30 percento. Pur raccogliendo “solo” il 14,9 percento delle preferenze contro il sicuro 19-20 percento che davano le ultime previsioni, AUR riesce comunque ad eleggere sei rappresentanti al Parlamento europeo, entrati a far parte la scorsa settimana del gruppo dei Conservatori (ECR).
A sorpresa, fra i 33 deputati eletti dalla Romania, due provengono dalle fila dell’altro partito di estrema destra SOS di Diana Șoșoacă, senatrice di estrema destra già salita agli onori della cronaca in Italia per aver aggredito una troupe RAI a Bucarest. SOS, nomen omen che richiama tanto il suo cognome quanto la supposta offerta politica “salvifica” per il paese, è riuscito a mobilizzare la diaspora largamente a suo favore, prendendo nei collegi esteri quasi cinque volte la percentuale di voti che è riuscito ad ottenere in patria (13,55 percento contro appena il 3 percento), e riesce così a scavallare la soglia del 5 per cento.
Il PSD e il PNL hanno agevolmente vinto anche alle elezioni locali, sommando insieme oltre il 65 percento dei voti (35,56 per il PSD, 30,27 per il PNL) e staccando nettamente AUR, che rimane fermo al 6,39 percento. Il forte radicamento sul territorio dei due partiti ha fatto sì che non ci fosse una vera competizione. Il PSD ha piazzato da solo oltre 1600 sindaci su 3183 (non si parla a caso per questo partito di “baronie”, come quella che l’ex leader Liviu Dragnea aveva instaurato nel distretto di Teleorman fra il 2000 e il 2012), mentre il PNL ne elegge circa 1100. AUR, riesce a far eleggere 30 sindaci, stabilendo così una (pur minima) base territoriale, mentre 43 sono gli indipendenti – fra questi, il sindaco di Bucarest, Nicușor Dan, rieletto per la seconda volta. Il quarto partito del paese, USR, ne piazza dieci, fra cui il sindaco di Timișoara. Nessun sindaco invece per Diana Șoșoacă.
Di fatto quindi il PSD rimane il vincitore netto a livello locale e la mappa post-elettorale della Romania si colora decisamente più rossa. Nonostante il maggior numero globale di sindaci eletti, il PSD non conquista le grandi cittá, nelle quali è il PNL a riconfermarsi come primo partito: succede ad Arad, Brașov, Alba Iulia, Constanța, Iași, come pure a Cluj, dove Emil Boc diventa sindaco per la sesta volta. Per quanto riguarda AUR, una valutazione globale mostra che il partito ancora non convince a livello locale. In generale, il PSD e il PNL detengono ancora il duopolio sulla politica locale, controllando insieme il 90 percento dei municipi.
Proprio l’aver unito le elezioni europee con quelle locali avrebbe fatto sì che l’attenzione dell’elettorato fosse reindirizzata verso temi specifici del territorio e, soprattutto, su candidati già conosciuti e che sono stati amministratori apprezzati, servendosi della solida e sviluppata rete territoriale di cui il PSD e il PNL godono – una strategia giocata anche sul fatto che AUR è meno rappresentato a livello locale. Questo sembra aver disinnescato o, quantomeno, contribuito a contenere, un voto di protesta per AUR di dimensioni maggiori.
C’è un’apparente contraddizione legata al dato sulla partecipazione: da una parte, il diffuso astensionismo ha avuto un forte impatto sulle elezioni locali, per cui è andato a votare meno del 50 percento degli aventi diritto. In alcune località, per esempio a Iași, Constanța o Arad, ha votato appena il 10 percento della popolazione. Questo ha portato alla luce alcune distorsioni legate al sistema di voto a turno unico, un meccanismo che ha fatto sì che sindaci venissero eletti con un numero talmente ridotto di voti da comprometterne potenzialmente la legittimità e la capacità di governare, soprattutto in quei comuni con un maggiore numero di candidati. Una percentuale appena superiore, il 52,32 percento, ha votato invece per l’Europarlamento, paradossalmente la partecipazione più alta da quando la Romania è entrata nell’Unione Europea nel 2007. La diaspora invece non si è mobilizzata e, su 5,7 milioni di rumeni con diritto di voto all’estero, solo 216mila hanno votato. In Italia, per esempio, hanno votato solamente in 24mila, pur considerando il fatto che il nostro paese, se si esclude la Moldavia, ospita la comunità rumena più consistente d’Europa (più di un milione, secondo i dati ISTAT).
AUR e SOS: partiti antisistema
Il voto dall’estero soprattutto riflette una maggiore fascinazione da parte della diaspora per i partiti di estrema destra rispetto alla media nazionale. AUR ha infatti ottenuto la stessa percentuale di voti che ha preso in Romania e, quindi, con SOS raccolgono insieme circa il 28 percento delle preferenze, mentre la Alianța raccoglie il 21,35 per cento dalla diaspora. Escludendo la Moldavia, AUR e SOS sono stati i primi partiti in tutti i collegi esteri per la Romania in Europa. In diversi, SOS è addirittura il primo partito: succede, per esempio, a Liverpool, Madrid e a Palermo; a Saragozza sfonda con il 32 percento delle preferenze. Questi dati risaltano ancora di più a fronte della bassa partecipazione della diaspora.
AUR e SOS sono abilmente riusciti a mobilitare a proprio favore soprattutto le fasce più povere della migrazione e la loro esperienza fatta spesso di discriminazione, sfruttamento e frustrazione. In generale, AUR e SOS sono riusciti ad emergere dando voce ad un voto di protesta contro i partiti tradizionali, contro i suoi decennali ‘inciuci’, contro l’instabilità e l’insicurezza politica, sociale ed economica degli ultimi anni, che seppure non direttamente attribuibile al PSD e al PNL, vengono viste come situazioni generalmente mal gestite dai due partiti al potere. In parallelo con la disaffezione per i due partiti, il voto per l’estrema destra si sta costituendo sempre più anche come un voto contro il presidente della Romania Klaus Iohannis, visto come l’artefice della coalizione di governo PSD-PNL.
Questa “innaturale alleanza”, nella retorica dell’estrema destra, ha costituito per le europee un vero e proprio “cartello politico” di due partiti all’opposto in ambito ideologico, che però si alleano per proteggere a qualunque costo lo status quo e far fronte compatto contro gli altri partiti, dando vita ad un’unica lista con candidati comuni, pur appartenendo a famiglie europee diverse (S&D e EPP). Una “coalizione nazionale”, invece, secondo il governo, per cercare di contenere la crescente influenza di AUR: “La nostra prioritá, indipendentemente dal partito cui apparteniamo, è proteggere la Romania dall’estremismo”, queste le parole del primo ministro Marcel Ciolacu. Una non esclude l’altra.
La mossa di creare un fronte ampio contro AUR può paradossalmente aver fatto il gioco del partito. “I partiti radicali di solito beneficiano dal poter denunciare la collusione fra partiti mainstream e la mancanza di differenze rilevanti” fra partiti tradizionali, mostrandoli come “tutti uguali” e unicamente interessati a conservare il potere, ha commentato Mihail Chiru, dell’Università di Oxford. Non solo, rimanendo di fatto l’unica voce udibile dall’opposizione, AUR ha raccolto tutti coloro che per qualunque motivo non si riconoscevano nel blocco PSD-PNL – una situazione che ricorda ciò che è successo in Italia sotto il governo Draghi (2021-2022), con tutte le forze politiche riunite in un governo ampio di unità nazionale, tranne Fratelli d’Italia.
Cosa cambierà?
Anche se nel suo insieme la coalizione di governo ha retto bene sia alle elezioni locali che alle europee, in realtà i rapporti di forza interni sono cambiati a favore del PSD. Si potrebbe prevedere che, nei due appuntamenti elettorali dei prossimi mesi, il PSD e il PNL corrano strategicamente separati: mentre per il PSD sarebbe un modo per andare all’incasso elettoralmente e cercare di capitalizzare il maggiore consenso emerso il 9 giugno, per il PNL potrebbe voler dire cercare di rilanciare il partito, sfilandosi da un’intesa che pare non beneficiarlo. I due leader hanno già dichiarato che i partiti presenteranno candidati propri alle presidenziali di settembre. D’altra parte, al di là delle ambizioni personali e partitiche, anche stare insieme e mantenere la Alianța avrebbe una sua logica politica, un compromesso utile per mantenere il potere, dividendosi le cariche, uno presidente e l’altro primo ministro.
Per quanto riguarda AUR, si nota un’accentuata differenza nella maniera in cui si è votato per le elezioni europee e per quelle locali, come si è visto. Sembra esserci inoltre una certa amarezza per come sono andate le elezioni. Pur potendo enfatizzare il successo, AUR ottiene un risultato sotto le attese (o i timori). Il leader George Simion ha lasciato intendere che il PSD e il PNL hanno usato qualunque mezzo per restare al potere, insinuando di non credere per questo ai risultati ufficiali delle elezioni: “I partiti al potere hanno fatto tutto il possibile per imbavagliare l’opposizione”. Non è assolutamente escluso che il partito possa crescere fino alle prossime elezioni in autunno.
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