Cittadini alle urne per la sesta volta in tre anni, ma la Bulgaria resta in un tunnel di cui non si vede l’uscita.
Domenica 9 giugno i bulgari sono stati chiamati al voto per eleggere 17 eurodeputati e, di nuovo, i 240 membri dell’Assemblea Nazionale. GERB, il partito di centrodestra al governo, ha mantenuto la sua quota di consenso, ma la bassa affluenza e la cronica frammentazione del parlamento hanno vanificato ogni speranza di risolvere la crisi politica, lasciando al presidente Rumen Radev l’arduo compito di trovare una soluzione mentre i temi comunitari, inevitabilmente, rimangono sullo sfondo.
I risultati
Nelle elezioni parlamentari, il partito europeista di centro-destra Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria (GERB), guidato dall’ex premier Boyko Borisov, ha vinto le elezioni sfiorando il 25% dei voti e ampliando il margine di vantaggio sul vecchio partner di coalizione, un tandem composto dai liberali di Continuiamo il Cambiamento e dalla costellazione di centro-sinistra Bulgaria Democratica (PP-DB), che si è arenato intorno al 15%, quasi dieci punti in meno rispetto alle consultazioni dell’anno scorso.
Si conferma solido al 17% il centrista Movimento per la Libertà e i Diritti (DPS), riferimento politico della minoranza turca, così come il partito nazionalista ed euroscettico Rinascita (Vazrazhdane), che ha ottenuto un risultato vicino al 14%. Tra gli sconfitti invece balza all’occhio il 7% del Partito Socialista Bulgaro (BSP), i cui consensi si sono dimezzati nel giro di tre anni, un crollo che ha spinto la presidente Korneliya Ninova a rassegnare le dimissioni dopo otto anni di leadership.
Altre due formazioni, infine, hanno superato la soglia per l’ingresso in parlamento. La prima è il movimento C’è un popolo come questo (ITN) dello showman prestato alla politica Slavi Trifonov, sopravvissuto con il 6% dei voti, lontanissimo dagli exploit delle tornate precedenti. La seconda invece è Grandezza (Velichie), nuovo partito nazionalista che ha ottenuto il 4,6% e si pone ora come alternativa a Rinascita.
Per quanto riguarda il parlamento europeo, GERB ha ottenuto cinque eurodeputati, che andranno nelle fila del Partito Popolare Europeo, Continuiamo il cambiamento con Bulgaria democratica (PP-DB) tre, così come Rinascita e DPS; il Partito socialista ha mantenuto due eurodeputati nonostante il risultato negativo, mentre l’ultimo verrà espresso dall’ITN di Trifonov.
Radiografia di una crisi
Se un’assemblea frammentata è causa di un problema politico, la bassa affluenza alle elezioni è sintomo di un problema strutturale. In Bulgaria il 9 giugno ha votato il 32% degli aventi diritto, un numero bassissimo che merita un’approfondimento a parte.
La sfiducia dell’opinione pubblica bulgara verso la politica è una dinamica di lungo periodo, già visibile durante la transizione post-comunista. Rispetto ad altri paesi dell’ex-blocco sovietico, infatti, i cambiamenti portati dall’arrivo dell’economia di mercato, dal pluripartitismo e dall’ingresso nello spazio euro-atlantico non hanno coinciso con un boom in termini di partecipazione. Rimangono tuttora diffusi clientelismo, disuguaglianze, scetticismo e rigurgiti nostalgici, questi ultimi tornati di stretta attualità dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
Nell’ultimo triennio però l’infinito stallo parlamentare ha fatto precipitare la situazione, portando l’affluenza dal 50% dell’aprile 2021 al record negativo delle ultime elezioni. Mancano in Bulgaria analisi approfondite sui motivi di questo abbandono, soprattutto da parte degli addetti ai lavori. Il 9 giugno una delegazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa si è recata nel paese per verificare la correttezza delle procedure, ma come confermato dal responsabile, l’ucraino Oleksii Goncharenko, salvo qualche aspetto critico (per lo più di natura tecnica) non si sono riscontrate irregolarità tali da giustificare un’astensione così massiccia.
La spiegazione più diffusa fa quindi riferimento alla stanchezza elettorale, una sorta di “effetto inflazionistico” generato dalle tornate ravvicinate in serie, che ad oggi non hanno ancora portato ad una maggioranza di governo chiara. Nella memoria a breve termine dei cittadini pesano inoltre l’ombra della corruzione, culminata nel 2022 con l’arresto di Borisov; l’illusione creata e disattesa da meteore politiche come C’è un popolo come questo e Continuiamo il cambiamento; l’ostilità verso il complicatissimo patto di governo tra GERB e PP-DB il quale, naufragando dopo nove mesi, ha costretto il Presidente Radev a nominare lo scorso aprile un esecutivo tecnico.
Vittime di questo gigantesco cortocircuito interno sono i temi europei, che in campagna elettorale hanno trovato pochissimo spazio, oltre allo scarso interesse generale. Eppure Sofia in questa fase sta giocando su tavoli importanti: l’integrazione del paese nell’area Schengen si è recentemente sbloccata dopo il via libera sui confini aerei e marittimi (manca quello sui confini terrestri), mentre sull’adozione della moneta unica si aspettano buone notizie per il 2025. Ancora più delicata l’impasse sull’ingresso nell’Unione della Macedonia del Nord, su cui pesa proprio il veto della Bulgaria che non ha ancora trovato con Skopje un accordo sullo status costituzionale della sua minoranza linguistico-nazionale.
Quale governo?
Alla luce dei risultati elettorali la formazione del prossimo governo richiederà un’altra soluzione creativa, un film già visto in cui il GERB reciterà sicuramente il ruolo del protagonista. Crollato il cartello PP-DB, le opzioni per costruire una coalizione vanno dal DPS all’ITN, senza escludere la possibilità di un esecutivo monocolore di minoranza. Sullo sfondo poi Radev, il capo dello stato euroscettico e filo-russo potrebbe spendere la sua crescente influenza riempiendo il vuoto lasciato a sinistra dai socialisti.
In mezzo a tanti dubbi quindi le solite certezze: il nuovo governo avrà vita durissima, e un ritorno alle urne in autunno sembra già un’ipotesi realistica.
Foto: dal profilo Facebook di Rumen Radev