Repubblica Ceca

REPUBBLICA CECA: Il trionfo nel mondiale di hockey e il potere unificante dello sport

In una Praga pazza di gioia è arrivato il settimo titolo, l’ultimo capitolo del feeling speciale tra hockey e Repubblica Ceca. Una storia che parte da lontano.

Domenica 26 maggio, battendo in finale la Svizzera per 2-0 alla O2 Arena di Praga, la Repubblica Ceca è tornata a vincere il campionato mondiale di hockey sul ghiaccio dopo 14 anni. Roman Cervenka, capitano e unico superstite del trionfo del 2010, ha potuto così alzare la coppa di fronte al pubblico di casa. L’euforia collettiva sugli spalti, nelle piazze e davanti alla TV ha contagiato l’intero paese, unendo ancora una volta un popolo che ciclicamente intorno al paleo si compatta e si definisce.

Uno sport nazionale

L’enorme impatto del mondiale casalingo e della vittoria finale è certificato dai numeri. Gli impianti di Praga e Ostrava, sedi della manifestazione, hanno ospitato quasi 800.000 persone in 16 giorni, con un picco di 17.413 spettatori fatto registrare dalla O2 Arena in occasione della semifinale Repubblica Ceca – Svezia. La finale di domenica ha riunito inoltre 15.000 persone davanti al maxi-schermo allestito nella piazza della Città Vecchia, oltre a generare un flusso di scommesse pari a 2.6 miliardi di corone (oltre 100 milioni di Euro). I dati più sorprendenti però sono quelli legati all’audience, perchè Repubblica Ceca – Svizzera è stato l’evento sportivo più seguito di sempre nel paese: su una popolazione di poco superiore a 10 milioni di abitanti sono stati calcolati circa 3 milioni di collegamenti televisivi più altri 500.000 online, per un clamoroso 82% di share complessivo.

Quella tra i cechi e l’hockey sul ghiaccio è una storia ultracentenaria che partì nel 1908 sotto la dominazione asburgica, anno in cui un piccolo nucleo di promotori e di praticanti diede vita alla prima federazione nazionale, tra le più antiche in Europa. Nei decenni successivi la popolarità della disciplina aumentò grazie ai risultati della selezione del neonato Stato cecoslovacco, che si consolidò come una delle migliori a livello globale vincendo 6 titoli mondiali e 12 europei, fino alla separazione del 1993.

Ma è nell’ultimo trentennio che l’hockey è assurto definitivamente a sport nazionale (in coabitazione col calcio) della Repubblica Ceca indipendente. Tra i fattori che hanno contribuito al definitivo salto di qualità ci sono la crescita dell’Extraliga, campionato oggi tra i più competitivi d’Europa; la fama di giocatori come Jaromir Jagr e Dominik Hasek, divenuti idoli in patria perchè in grado di affermarsi oltreoceano nella prestigiosissima NHL; ma soprattutto il quinquennio d’oro 1996-2001 della nazionale, che ha portato in dote 4 titoli mondiali e l’attesissimo oro olimpico di Nagano del 1998, mai vinto nemmeno durante l’epoca unitaria. Il trionfo in Giappone rappresenta tuttora l’apice dello sport ceco nella memoria collettiva, radicato a tal punto che presso le città di Ostrava e Havlickuv Brod è ancora possibile cenare al ristorante “Nagano 98”.

Un ulteriore motivo di coesione intorno all’hockey infine è la rivalità con la nazionale russa, oggi circoscritta all’ambito agonistico, ma capace in passato di incidere profondamente sulle relazioni tra i due paesi.

Primavera di Praga: secondo round

Nell’agosto 1968 i carri armati sovietici stroncarono l’esperienza riformatrice della Primavera di Praga. Le conseguenze politiche e strategiche di quell’operazione furono enormi e un’amplissima letteratura le analizza ancora oggi. Oltre a queste però l’invasione lasciò anche uno strascico sportivo, molto meno noto: la crisi infatti costrinse la Federazione Internazionale di hockey sul ghiaccio a cambiare la sede del mondiale 1969, previsto inizialmente in Cecoslovacchia, spostandolo in Svezia.

La formula della manifestazione prevedeva allora un girone all’italiana di sei squadre con gare di andata e di ritorno. I team di Urss e Cecoslovacchia quindi, tra i favoriti per la vittoria finale insieme a quello dei padroni di casa, si ritrovarono nell’arena di Stoccolma per un doppio accesissimo confronto.

Dal lato Cecoslovacco, sia nel gruppo squadra sia nell’opinione pubblica, la sfida venne vissuta come una vera e propria rivincita nazionale. Il primo atto del 21 marzo si concluse con una vittoria per 2-0 che scatenò in patria moti di euforia e di contestazione anti-sovietica. La partita di ritorno, caricata ulteriormente da una lunga settimana di polemiche, si giocò il 28 in un clima surreale: molti giocatori coprirono con adesivo nero la stella rossa sulla divisa, simbolo della fratellanza socialista; il capitano Josef Golonka puntò il proprio bastone verso gli avversari come un’arma, quasi a rievocare la repressione subita l’anno precedente; persino il pubblico svedese si schierò apertamente intonando cori per Alexander Dubcek (l’artefice della Primavera di Praga).

I cecoslovacchi si imposero di nuovo, stavolta per 4-3, ma dopo il match le cose sfuggirono di mano e si entrò nella cosiddetta “crisi dell’hockey su ghiaccio” quando “si scatenarono per le strade di Praga una serie di manifestazioni violente antisovietiche, egli [Dubcek] fu costretto sulla difensiva dall’arrivo nella capitale del maresciallo Andrej Antonovic Greco, ministro della Difesa sovietico, con le solite, gravi minacce di violenza e diede le dimissioni, che furono accettate dal comitato centrale il 17 aprile. Il suo posto fu assunto da Husak.” (Cecoslovacchia, Clementi, 2007)

La classifica avulsa consegnò comunque per differenza reti il titolo mondiale 1969 all’Unione Sovietica, ma 55 anni dopo nella memoria collettiva restano solo le due partite di hockey più significative della storia cecoslovacca.

L’ultima religione

Martedì 18 giugno, a soli 25 giorni di distanza dal trionfo sul ghiaccio, i cechi si fermeranno di nuovo e torneranno a tifare all’unisono per la nazionale di calcio, attesa dal Portogallo nella partita di esordio ad Euro 2024. In una fase di forti contrapposizioni e deboli riferimenti, lo sport sembra essere l’ultimo reale terreno di condivisione, talvolta elevato fino a diventare oggetto di culto, un metodo d’indagine profondo e autentico della cultura di un popolo. Dall’interno di questa bolla ogni diversivo assomiglia ad un elemento di disturbo, persino un evento cruciale come le elezioni europee, collocate proprio nello strano “limbo” tra paleo e pallone. Ma è un paradosso solo apparente.

Foto dalla pagina Facebook Czech Ice Hockey National Team

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