L’Assemblea generale ONU ha votato la risoluzione che istituisce l’11 Luglio come “giornata internazionale della memoria del genocidio di Srebrenica”. 84 i voti favorevoli, 19 contrari tra cui Serbia, Ungheria, Russia e Cina. Gli altri paesi balcanici hanno tutti votato a favore.
La risoluzione proposta da Germania e Rwanda tesa ad istituire per l’11 Luglio la “Giornata internazionale della memoria del genocidio di Srebrenica” è stata approvata giovedì 23 maggio dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con 84 si, 19 contrari e 68 astensioni. Tra i paesi dell’Unione Europea ha votato contro solo l’Ungheria mentre Grecia, Slovacchia e Cipro si sono astenute. Tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza si sono opposti Russia e Cina. I paesi balcanici ad esclusione della Serbia hanno tutti votato a favore.
L’11 luglio 1995 nella cittadina bosniaca di Srebrenica nel giro di qualche ora furono uccisi dalle forze paramilitari serbe più di 8000 uomini e ragazzi bosgnacchi. Due diversi tribunali internazionali – il Tribunale Internazionale per l’ex Jugoslavia nel 2004 e la Corte Internazionale di Giustizia nel 2007 – hanno qualificato tale massacro come atto di genocidio.
La risoluzione e gli obbiettivi preposti
L’iniziativa in seno all’ONU è stata appoggiata anche da molte associazioni legate alla memoria dei fatti di Srebrenica e si propone l’obbiettivo di chiudere un triste capitolo di storia e fare un passo avanti nel complesso processo di riconciliazione in Bosnia Erzegovina.
Il testo “condanna senza riserve” qualsiasi negazionismo del genocidio di Srebrenica come evento storico così come le azioni che glorificano coloro che sono stati condannati per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio dai tribunali internazionali. L’Assemblea Generale, su proposta del Montenegro, ha anche specificato nel testo che “la responsabilità penale per il crimine di genocidio è individuale e non può essere attribuita a nessun gruppo o comunità”.
Dodik e Vučić contrari, nuove minacce di “separazione pacifica”
La proposta ha creato notevoli tensioni politiche. Il presidente della Serbia Aleksandar Vučić e quello della Republika Srpska, l’entità della Bosnia a maggioranza serbo-bosniaca, Milorad Dodik, hanno criticato l’iniziativa e fino a poche ore prima del voto hanno cercato alleati disposti a votare contro. Lo stesso giorno, Dodik ha tenuto una simbolica riunione di governo proprio a Srebrenica, dove secondo lui nel luglio del ’95 fu commesso sì un crimine, ma non un genocidio.
Nella riunione di governo dell’entità, il presidente serbo-bosniaco ha anche annunciato un piano per una “separazione pacifica” dalla Bosnia-Erzegovina “dominata dai bosniaci e dai croati”. Non è la prima volta che Dodik minaccia una secessione, tema a lui molto caro, e l’approvazione di questa risoluzione potrebbe essere l’ennesima scusa per provare a forzare.
Il presidente della Serbia Vučić, che si è detto da fin subito contrario all’ iniziativa, ha più volte affermato che essa additerebbe i serbi come “popolo genocida” e sarebbe “altamente politicizzata”. Secondo il presidente inoltre tale risoluzione rischia anche di aprire un vaso di Pandora con “dozzine di risoluzioni di questo tipo sulla questione del genocidio”.
Il momento del voto a New York è stato per Vučić un occasione di facile visibilità e si è più volte fatto immortalare mentre bacia la bandiera serba o completamente avvolto nel tricolore. Le tante astensioni registrate sono anche frutto dell’attivismo diplomatico serbo e sono state raccontate dai media a Belgrado come una paradossale “vittoria morale” contro l’Occidente.
Opposto l’approccio dei media di Sarajevo come lo storico Oslobodjenje, il quale ha aperto il proprio quotidiano con il titolo: “11 luglio, Giorno della Memoria”. Mentre giornali come Dnevni list e Vecernje Novine, che si rivolgono al pubblico croato in Bosnia, hanno concesso solo limitato spazio alla notizia.
La risoluzione ONU pensata per unire nel ricordo e fare un passo avanti nella riconciliazione tra le etnie che abitano la Bosnia ha, quantomeno nell’immediato, nuovamente infiammato il dibattito politico tra Sarajevo e Belgrado, con i leader serbi e serbo-bosniaci che non hanno perso nemmeno questa occasione per mobilitare il proprio elettorato con slogan e promesse. La compattezza politica ed istituzionale del paese rinato negli accordi di Dayton andrà misurata nelle prossime settimane.
Foto: Balkan Insight