La Moldavia ha firmato un accordo in materia di sicurezza e difesa con Bruxelles, diventando il primo paese non-UE ad essere coinvolto in un’iniziativa del genere. Il governo Sandu punta tutto sull’integrazione europea, sperando di avere il paese dalla sua parte.
Nel pomeriggio di martedì 21 maggio Josep Borrell ha firmato un accordo per istituire un Partenariato di Difesa e Sicurezza con la Repubblica moldava. Stando alle parole dell’Alto Rappresentante UE, l’intesa permetterà di “affrontare sfide di sicurezza comuni, aumentare il coinvolgimento europeo ed esplorare nuove aree di cooperazione, allo scopo rinforzare la resilienza del paese”.
In concreto, la Moldavia riceverà assistenza nello sviluppo del settore della difesa attraverso la European Peace Facility (EPF), un fondo fuori bilancio instituito nel 2021. La cooperazione verrà allargata anche alle questioni di cybersicurezza, e per combattere la dilagante disinformazione che da anni attanaglia il paese. Inoltre, l’UE si impegnerà a supportare Chisinau nel lavoro di direzione e controllo dei confini, tema attualissimo per via della guerra in Ucraina. Dall’altra parte, il governo moldavo assicura a Bruxelles la propria presenza nelle missioni UE di gestione delle crisi regionali, questione altrettanto attuale considerando la geografia della regione.
Il Partenariato per la Sicurezza proietta la Moldavia in una nuova dimensione, apre scenari incerti, forse rischiosi, ma di certo essenziali per portare avanti il processo di integrazione euro-atlantica. Diversamente da ciò che è avvenuto in passato, infatti, questa volta Chisinau ha legato parte della propria difesa nazionale a quella dei partner europei, andando ben oltre alla semplice cooperazione politica ed economica; un passo lungo e dal significato profondo, che rompe con la storia recente della Repubblica. Basti pensare che l’attuale Costituzione, firmata pochi anni dopo la caduta dell’URSS, prevede la “neutralità permanente della Repubblica moldava” e “non accetta la presenza di nessuna truppa straniera sul proprio territorio”; precludendo, fino a questo momento, qualsiasi forma di partenariato strategico-difensivo.
Il governo Sandu sembra aver superato le incertezze classiche della politica estera moldava che, stretta tra Russia e occidente, ha sempre avuto minimi margini di manovra. A partire dal suo insediamento nel dicembre 2020 infatti, il Partito di Azione e Solidarietà è riuscito a tracciare una linea politica coerente e duratura, guardando tanto alla storia della Moldavia quanto ai recenti sviluppi internazionali. Nel giro di quattro anni il paese è passato da un accordo di associazione (primo passo per l’integrazione europea) ai negoziati di adesione con il Consiglio europeo, cercando al contempo di soddisfare le richieste politiche ed economiche provenienti da Bruxelles. In tutto questo poi, l’invasione russa dell’Ucraina non ha fatto che rafforzare le posizioni del governo moldavo, rendendole ancora più credibili in quanto necessarie ad evitare la guerra.
In questo contesto i rapporti con la Russia rimangono una grande incognita. L’entusiasmo dei moldavi verso l’integrazione europea non sarà sufficiente ad evitare le eventuali ritorsioni messe in atto dal regime di Mosca; come dimostrato dal caso ucraino. Nelle scorse settimane la portavoce del Ministero degli esteri Maria Zakharova aveva definito “naziste” le politiche di Maia Sandu, attingendo a un vocabolario che ormai conosciamo bene. Una linea già tracciata da Sergei Lavrov che più volte ha messo in guardia Chisinau dal seguire “gli stessi passi di Kiev”, dicendosi pronto a difendere le minoranze russofone che vivono nel paese. Queste posizioni trovano riscontro in diversi strati della popolazione che, seppur minoritari, rendono i rapporti con il Cremlino una questionedomestica, oltre che di politica estera. Il Partito Comunista moldavo, ad esempio, che mai ha fatto mistero dei suoi rapporti con la Russia, è ancora maggioritario in quasi tutto il nord del paese, dove in molti auspicano un ritorno alle relazioni con Mosca.
Nonostante le minacce, un intervento militare russo in Moldavia appare oggi poco credibile, e rimarrà tale per tutta la durata del conflitto ucraino. Tuttavia, la rincorsa verso Bruxelles non può permettersi di rallentare: le azioni di guerra ibrida del Cremlino destabilizzano il paese senza sparare un colpo, e potrebbero alterare gli equilibri domestici da un giorno all’altro. Per questo motivo, seppur Maia Sandu abbia fissato l’obiettivo 2030 per l’ingresso nell’Unione Europea, la partita si potrebbe giocare nel giro di pochi mesi. A metà ottobre infatti, i moldavi saranno chiamati alle urne per una doppia votazione. Da una parte le elezioni presidenziali, in cui Sandu cercherà la riconferma; e dall’altra il referendum per inserire in Costituzione la prospettiva di adesione all’UE. Due voti fondamentali per sancire il futuro della Repubblica.
Come dimostra la firma del Partenariato per la sicurezza dunque, il governo moldavo ha deciso di puntare tutto sull’ingresso nell’UE, consapevole del momento storico che il paese, e la regione, stanno attraversando. Il grande ostacolo all’integrazione europea, la Russia, potrebbe non essere in grado di reagire, e venire così superato. Per questo motivo, più che da fuori la minaccia potrebbe venire da dentro, dalla pancia del paese, dove l’Europa però non potrà essere d’aiuto.
Fonte immagine: Profilo twitter di Josep Borrell