Culmina con l’attentato di Handlova il processo che ha portato Slovacchia e Ungheria ad una simbiosi senza precedenti. Un’alleanza politica forte, ma storicamente passeggera?
Tra i numerosi temi emersi in seguito ai fatti dello scorso 15 maggio, uno dei più rilevanti è certamente il legame tra i governi di due nazioni dalla traiettoria storica diametralmente opposta. Per secoli infatti le relazioni tra ungheresi e slovacchi sono state caratterizzate da politiche oppressive, guerre, trattati sbilanciati, esodi ed espulsioni, ma negli ultimi anni queste hanno subito una netta inversione di tendenza e nel contesto dell’aggressione subita da Fico sono giunte probabilmente al loro apice.
Le reazioni dall’Ungheria
Amico, così il premier ungherese Viktor Orbán ha definito Robert Fico poche ore dopo il suo ferimento. Il ministro degli Esteri Péter Szijjártó lo ha imitato il giorno successivo riferendosi allo speaker del parlamento slovacco Peter Žiga, con cui aveva appena avuto un colloquio telefonico sull’accaduto. Amicizia appunto, un termine, un valore che qui trascende il buon costume della diplomazia e del cordoglio, reiterato a caldo ma presente anche tra le righe delle analisi e dei commenti diffusi nelle ore successive.
In un lungo intervento a Radio Kossuth, Orbán ha denunciato un clima di radicalizzazione crescente in Europa, dove la violenza e la guerra sono divenute parte della vita quotidiana. Secondo il premier magiaro l’aggressore di Fico rappresenterebbe “il progressismo di sinistra e i poteri forti alle sue spalle che spingono affinchè il conflitto in Ucraina prosegua e si espanda”. Tra questi Orbán non manca di alludere al governo degli Stati Uniti e a George Soros.
Krisztián Forró invece, leader politico della minoranza ungherese in Slovacchia e del suo partito di riferimento Alleanza (Szövetség), in un’intervista alla TV pubblica di Budapest ha puntato il dito contro la narrazione dominante nei paesi occidentali: descrivere Robert Fico fin dal suo insediamento come un populista filo-russo e un nemico della democrazia ha contribuito a polarizzare le posizioni e ha favorito l’uso della violenza all’interno della politica slovacca.
Il governo ungherese ha manifestato inoltre grande preoccupazione in vista delle elezioni europee del prossimo giugno. Péter Szijjártó ha dichiarato infatti che l’attentato di Handlova non ha colpito solo la Slovacchia e la sovranità del suo popolo, ma ha tolto all’Ungheria un alleato prezioso proprio nel momento in cui tutti i “sostenitori della pace” sono chiamati ad unire le loro forze.
Felvidék: una storia dolorosa
Ripercorrendo le vicende del passato l’eccezionalità dell’attuale simbiosi tra Bratislava e Budapest emerge plasticamente. Le terre corrispondenti all’attuale Slovacchia, salvo rare e brevi interruzioni, sono state dominio della corona ungherese dal medioevo fino alla Prima Guerra Mondiale. Esse costituivano tradizionalmente la fascia settentrionale del regno, il Felvidèk, letteralmente “Alta Ungheria”.
Le prime divergenze nazionali si manifestarono nella seconda metà dell’ottocento quando, in un Impero Austro-Ungarico scosso dai terremoti risorgimentali, le aspirazioni nazionali dei popoli slavi (non solo slovacchi ma anche croati e serbi) vennero frustrate dalla pressione accentratrice dei magiari, poco disposti a fare concessioni su forme di autogoverno e sull’utilizzo della lingua madre in ambito amministrativo, scolastico e culturale.
Una politica di rigida magiarizzazione, pagata a carissimo prezzo dopo la sconfitta nella Grande Guerra e il crollo del sistema asburgico: con il trattato del Trianon del 1920 “l’Ungheria perse il 67,3% del territorio nazionale e il 58,4% della sua popolazione”; in particolare “il 22,3% del primo passò alla neonata Cecoslovacchia con più di tre milioni e mezzo di abitanti [tra cui circa un milione di magiari]” (Ungheria contemporanea, Nemeth-Papo, 2008).
Nei due decenni successivi Budapest adottò una politica revisionista che culminò tra 1938-39 nell’operazione di smembramento della stessa Cecoslovacchia, condotta al fianco della Germania nazista. La vittoria alleata nella Seconda Guerra Mondiale e il ripristino dei vecchi confini rimisero però subito sul tavolo il problema della minoranza ungherese.
La conferenza di Potsdam dell’estate 1945 propose uno scambio di popolazione che si concretizzò l’anno successivo, ma i numeri sbilanciati (solo una piccola comunità slava viveva in Ungheria) lo rendevano una soluzione parziale. Il ricostituito governo cecoslovacco “compensò” con espulsioni e deportazioni interne dirette verso i Sudeti, liberati dalla comunità tedesca, nel tentativo di disperdere i maggiori nuclei di presenza straniera concentrati nelle province meridionali del paese. Rimasero comunque sul territorio circa 500.000 ungheresi, cifra che si mantenne poi stabile sotto l’ombrello sovietico durante la Guerra Fredda.
Anche in tempi più recenti, nonostante la nascita della Slovacchia indipendente e un percorso d’integrazione condiviso nel sistema euro-atlantico, le tensioni tra i due gruppi nazionali non si sono spente ed è quasi paradossale che l’ultimo scontro, combattuto a colpi di leggi, abbia visto protagonisti nel 2010 proprio Viktor Orbán e Robert Fico, come oggi contemporaneamente alla guida dei rispettivi governi. Oggetto della contesa furono la cittadinanza offerta da Budapest agli ungheresi fuori sede e la conseguente ritorsione slovacca sui beneficiari. Un nodo intricato, sciolto da un compromesso giuridico solo nel 2022.
Un’amicizia a tempo?
Se attraverso il caso Fico i due paesi hanno ribadito la loro vicinanza e il loro impegno congiunto su numerosi dossier di politica interna ed estera, la minoranza ungherese di Slovacchia continua a porsi come un fattore di perenne instabilità. Molto numerosa (vicina al 10% della popolazione totale) e articolata nelle sue attività, un’approfondita indagine del think tank Globsec, con sede a Bratislava, ne rivela gli intensi collegamenti finanziari, politici e mediatici sia con la madrepatria sia con le altre comunità magiare dell’Europa centro-orientale.
Si tratta quindi di un equilibrio delicato, la cui fragilità incombe anche su un’alleanza politica forte come quella tra Ungheria e Slovacchia, condannata forse dalla storia ad essere passeggera.
Immagine di Associated Press