di Pietro Acquistapace
East Journal torna ad occuparsi della triste vicenda di Zhanaozen, la città kazaka dove in dicembre, nel corso di scontri tra scioperanti dipendenti della locale industria petrolifera e la polizia, almeno 16 persone hanno perso la vita. E torniamo ad occuparci della vicenda in occasione del processo ai presunti responsabili dei gravi disordini.
Il processo, apertosi il 27 marzo, ad Aktau, vede imputate 37 persone, tutte di etnia kazaka. Tra queste ci sono scioperanti, leader sindacali (sia di Zhanaozen che di altre città kazake) e membri del partito di opposizione, non ufficialmente registrato, Alga! Gli imputati rischiano fino a 10 anni di reclusione visti i pesanti capi d’accusa.
Il dibattimento, e la relativa sentenza, potrebbero avere importanti ripercussioni nella vita politica kazaka. Gli incidenti dello scorso dicembre hanno infatti messo in luce la difficile situazione sociale kazaka e l’aumentare del livello di insofferenza della popolazione. Insofferenza evidenziatasi anche all’apertura del processo stesso quando centinaia di persone inneggianti agli imputati hanno vinto il divieto di presenziare nell’aula di tribunale. Secondo quanto riportato dall’agenzia Eurasia.net a scatenare l’ira dei familiari e degli amici degli arrestati sono stati lo svolgersi del processo ad Aktau, capoluogo della regione dove si trova Zhanaozen, e l’apertura del dibattimento prima dello svolgimento di quello relativo ai cinque membri delle forze dell’ordine arrestati a seguito di un’inchiesta successiva agli incidenti.
Sul tribunale di Aktau saranno puntati gli occhi dell’opinione pubblica internazionale, rivelandosi una vera e propria prova del nove relativamente al rispetto dei diritti umani nel paese. Per valutare il livello di attenzione basti pensare che alla vicenda Human Right Watch ha dedicato un comunicato ufficiale, reso noto il 26 marzo, dove ci si augura un regolare svolgimento del procedmento e si chiede alle autorità kazake l’apertura di un’inchiesta relativa al trattamento dei detenuti.
Da parte sua il governo kazako è tornato ad accusare l’opposizione kazaka all’estero di essere la vera responsabile degli incidenti di Zhanaozen, in particolare attraverso l’operato di Mukhtar Ablyazov, uomo d’affari kazako fuggito a Londra nel 2009 ed ora, dopo essere stato condannato dalla giustizia inglese in merito alle vicende della BTA Bank, rifugiatosi in Francia. Come già scritto da East Journal se il governo kazako ha visto dietro i fatti di Zhanaozen un tentativo, favorito dall’occidente, di destabilizzare il regime del paese, ha però anche ammesso, seppur parzialmente, le proprie responsabilità destituendo, a seguito di inchiesta, diversi dirigenti locali.
La ricerca di un rimedio al calo di consensi ed all’aumento della contestazione sociale e politica ha spinto le autorità kazake a procedere su un doppio binario: da un lato tentando di stroncare l’opposizione sociale arrestando e processando sindacalisti e politici non allineati alla linea ufficiale, dall’altro creando due nuove unità di produzione, una ad Aktau ed una nella stessa Zhanaozen, per dare lavoro a 2010 dipendenti licenziati da KazMunayGaz. Unità di produzione che sebbene non siano ancora funzionanti stanno già pagando il salario ai dipendenti in quello che sembra un tentativo di fermare la crisi di fiducia della popolazione attraverso una politica di concessioni e privilegi.
Il governo di Astana si trova di fronte quindi ad un altro fattore che potrebbe incrinare il già instabile equilibrio del paese, e solo la lettura della sentenza potrà permettere di fare un po’ di luce sul futuro del gigante centroasiatico.
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