di Benedetta Merlino
A maggio si voterà all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite una proposta di risoluzione finalizzata a riconoscere l’11 luglio come “Giornata internazionale della memoria del genocidio di Srebrenica”. Un’iniziativa che riaccende le tensioni regionali sul tema.
La proposta e la reazione di Dodik
Il documento, proposto da Rwanda e Germania, nonché delle associazioni legate alla memoria di Srebrenica, ha l’obiettivo di giungere alla catarsi rispetto a quanto accaduto nel luglio del 1995 e di avanzare nel complesso iter di riconciliazione bosniaca. Un obiettivo che non è condiviso dal presidente della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina Milorad Dodik, che fa del mancato riconoscimento del genocidio di Srebrenica un caposaldo della sua politica.
Dodik ha ìreagito accusando la comunità internazionale di voler attribuire ai serbi l’etichetta di “popolo genocida”. Il presidente ha inoltre ribadito che a Srebrenica fu commesso un crimine, ma non un genocidio. Un punto di vista esposto anche in un report di una sedicente “Commissione internazionale indipendente” scelta dall’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, in cui si propugna che le vittime di Srebrenica fossero solo 3.000, e che si trattasse di solo di membri delle forze armate e prigionieri di guerra.
La lettura della comunità internazionale è ben altra. Non solo i numeri accertati della strage di Srebrenica superano le 8.000 vittime, ma le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia e del Tribunale Internazionale per l’ex Jugoslavia hanno confermato separatamente che quanto accaduto a Srebrenica fu un genocidio ai danni della comunità bosniaco-musulmana.
L’accertamento giuridico e storico dei fatti non ha persuaso il leader serbo-bosniaco e Srebrenica, uno dei grandi temi su cui la già precaria stabilità delle istituzioni bosniache si assottiglia pericolosamente, torna oggi ad essere ago della bilancia per le sorti del paese.
Il pericolo secessionista
Dodik ha affermato che la “Bosnia potrebbe non sopravvivere” all’eventuale approvazione della risoluzione, lasciando così trapelare la sua ben nota volontà separatista che da anni preoccupa la comunità internazionale.
La crisi relativa alla risoluzione presentata alle Nazioni Unite è da leggere in una più ampia cornice. Almeno dal 2021 Dodik porta avanti mire secessioniste che vorrebbero una Republika Srpska indipendente dalla Bosnia Erzegovina – anche se non è ancora ben chiaro se l’eventuale progetto politico sarebbe la creazione di uno stato autonomo o l’annessione alla vicina Serbia. Dall’ottobre di quell’anno vennero avanzate le proposte di legge volte alla creazione di un esercito indipendente e ad esercitare una sempre maggiore autonomia da parte dell’entità serbo-bosniaca.
Principale alleato nel contrasto alla risoluzione, così come nella battaglia politica per l’indipendenza serbo-bosniaca, è il presidente della Serbia Aleksandar Vučić, che negli ultimi giorni ha affermato che la risoluzione potrebbe portare ad una pericolosa dinamica per la regione balcanica e, più in generale, per l’ordine internazionale.
Il presidente serbo, che non ha esitato a garantire il suo totale appoggio a Dodik, ha inoltre convocato un incontro a Belgrado, alla presenza di quest’ultimo, per discutere dei rapporti tra Serbia e Repubblica Srpska, organizzare una “controstrategia” comune e organizzare una assemblea pasquale congiunta (poi rimandata) durante la quale, ha annunciato Dodik, si prenderanno “decisioni importanti per la sopravvivenza del popolo serbo”.
Cosa ci attende
La risoluzione su Srebrenica è solo l’ultima di una lunga serie di questioni che si stanno radicando in Bosnia Erzegovina. Da un lato, le minacce secessioniste sono una costante della retorica nazionalista di Dodik e lasciano pensare che possano essere fine a sé stesse, dall’altro ci si interroga se e quando le intenzioni di Dodik possano diventare reali.
Quel che è certo, invece, è che la comunione di intenti tra Serbia e Republika Srpska è sempre più salda. Nell’ostinazione alla negazione del genocidio di Srebrenica, nell’opposizione alle decisioni prese dall’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, nonché nelle minacce secessioniste risiede il germe del nazionalismo, che si nutre di revisionismo storico e che, come sostenuto dal politologo sarajevese Sead Turčalo, sta svelando la volontà di costruire un futuro delineato sui fantasmi della “grande Serbia”.
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