Prolungata la custodia cautelare delle autrici della commedia femminista “Finist”: il caso di Evgenija Berkovič e Svetlana Petrijčuk
Un’opera che fa paura
Il 3 maggio si festeggiava la giornata mondiale della libertà di stampa. Lo stesso giorno, a Mosca, per la settima volta veniva prolungata di sei mesi – fino al 22 ottobre 2024 – la pena detentiva della regista Evgenija Berkovič e della drammaturga Svetlana Petrijčuk.
Le due artiste sono accusate di “giustificazione al terrorismo” (Comma 2 dell’Articolo 205.2 del Codice Penale) per i contenuti dello spettacolo “Finist jasnij Sokol” (“Finist falco lucente“). Se dichiarate colpevoli rischiano fino a 7 anni di carcere: è la prima volta che due donne rischiano una condanna simile per una pièce teatrale.
Finist jasnij sokol è un’opera brillante ed emozionante che racconta le storie di quattro donne russe che, dopo essere state adescate su internet, si sono sposate virtualmente con degli uomini appartenenti all’ala radicale dell’Islam e li hanno poi raggiunti in Siria.
Attraverso queste vicende, l’opera riflette sulle cause che hanno portato le protagoniste ad una scelta tanto estrema, ritrovandone le radici in diversi meccanismi propri della società russa, come il ruolo subalterno della donna, le aspettative sulla sua funzione sociale e le corrispettive umiliazioni e abusi che sono costrette a subire dalla controparte maschile. Ma, non solo, l’opera riflette anche sulla perdita generale di una prospettiva ideologica e identitaria all’interno della società russa.
Tali aspetti, nel loro insieme, causerebbero vulnerabilità e smarrimento in queste giovani donne, sempre più esposte a cadere vittime della macabra giostra che sta dietro i loro matrimoni e trasferimenti.
Gli uomini protagonisti dell’adescamento, che vengono contrapposti agli uomini russi, sono descritti come attenti e rispettosi della donna, in particolare del suo corpo e del suo benessere personale. Tuttavia, difficilmente si può dire che vengano romanticizzati, tanto meno che vengano giustificati o idealizzati.
Nel corso dello spettacolo, infatti, emerge la natura di questi uomini: sono dei veri e propri persuasori, che indottrinando le vittime, ledono alla loro persona sia a livello psicologico che fisico.
La critica alla società russa
All’interno dell’opera, dunque, non si trova nessuna apologia al terrorismo, piuttosto si delinea una potente critica alla società russa nella sua totalità, così come al sistema giudiziario, che, ignorando la dimensione di smarrimento di queste giovani donne, le condanna a punizioni sempre più dure, arrivando a rigettarle nuovamente nella stessa società da cui erano scappate, ancora più emarginate e vulnerabili di prima.
Allora, se a Mosca la libertà d’espressione sembra non aver trovato ancora terreno fertile perché queste due donne coraggiose possano continuare a far sentire la loro voce, il minimo che possiamo fare, godendo della nostra, di libertà di espressione, è innanzitutto diffondere il loro messaggio e invitare alla visione di questa commedia (che si trova facilmente su YouTube sottotitolata), oltre che augurarci, per loro e per tutte le donne russe, che abbiano presto l’occasione di riconquistare la loro forza e voce.
Foto: Aleksandra Astakhova, Mediazona.