di Leonardo Torelli
Venticinque strade di Srebrenica cambiano nome. Cancellato il maresciallo Tito, la maggioranza serbo-bosniaca onora cetnici e Republika Srpska. Dimenticando il genocidio.
Nel novembre 1995 gli accordi di Dayton cristallizzavano la situazione sul fronte, lasciando all’interno dell’entità serbo-bosniaca la cittadina di Srebrenica, dove solo pochi mesi prima si era consumato il genocidio di oltre 8000 uomini e minori bosniaco-musulmani. Da allora la città è vittima delle proprie contraddizioni: luogo di memoria per le vittime, nella terra dei carnefici.
Strade che dividono
Il 15 aprile il consiglio comunale di Srebrenica ha votato per rinominare 25 strade della cittadina della valle della Drina. Nonostante gli appelli internazionali e la protesta dei consiglieri bosgnacchi , che hanno abbandonato la seduta, la maggioranza politica serbo-bosniaca si è espressa a favore. Sostegno è venuto anche dal sindaco Mladen Grujičić, vicino al leader nazionalista Milorad Dodik e negazionista del genocidio. Bocciato solo il nome di Jezdimir Dangic, cetnico e collaboratore dei nazisti. Tra i criteri vi era comunque il divieto di intitolare strade a persone condannate per crimini di guerra.
Spariscono i nomi legati al socialismo jugoslavo: la strada maestra, intitolata al Maresciallo Tito, diventa via della Republika Srpska; piazza Fratellanza e Unità diventa piazza della Gioventù. E se figure di inventori e letterati non sembrano sollevare questioni (Nikola Tesla, Ivo Andrić, Meša Selimović, Skender Kulenović), per altre si apre invece la polemica. E’ il caso di Goran Zekić, sodale di Karadžić che nel 1991 rifornì di armi le milizie serbo-bosniache, per essere poi ucciso in uno scontro a fuoco nel maggio 1992.
Il parco cittadino viene inoltre dedicato al comandante della Grande Guerra Kosta Todorović, seguendo la tendenza di riabilitazione dei cetnici già diffusa oltre Drina, in Serbia. Originariamente gruppi di resistenza al dominio ottomano, nel corso della seconda guerra mondiale i cetnici si sono macchiati di feroci crimini a sfondo etnico. Nel corso del conflitto degli anni ’90, la simbologia e l’eredità dei cetnici venne riutilizzata dai vertici serbi per fomentare l’odio contro croati e musulmani.
Le reazioni
L’Ufficio dell’Alto Rappresentante ha espresso disappunto, criticando la decisione ed escludendo che questa possa giovare al processo di riconciliazione nel paese. Nello stesso senso si sono espresse alcune ambasciate, nonché la Missione OSCE che aveva esortato “le autorità competenti a non procedere” a rinominare le strade, ritenendo che vi fosse ancora la “possibilità di giungere ad una soluzione inclusiva”.
Non è la prima volta che si parla di ribattezzare le strade di Srebrenica. Era successo nel 1996, per poi tornare alle denominazioni jugoslave nel 2002. E nel 2021, fece scalpore la raccolta firme per intitolare una via (se non una statua) al Premio Nobel austriaco Peter Handke, convinto negazionista del genocidio e sostenitore del regime di Milošević.
Ma cambiare i nomi alle strade potrebbe trovare ostacoli giuridici, poiché i nomi scelti richiamano un solo gruppo etnico dei tre conviventi in Republika Srpska. La Corte costituzionale ha avuto più volte occasione di chiarire l’illegittimità di quei simboli (inclusa la Giornata della Republika Srpska) che siano escludenti per gli altri gruppi etnici.
Strade per la Pace
Il ricordo collettivo, frutto spesso di una selezione di eventi squisitamente politica, passa anche attraverso l’intitolazione di strade o piazze a figure del passato in cui si identifica un certo gruppo. Nel caso di specie, andrebbe idealmente costruita una memoria che includa tutti, senza distinzioni etnico-religiose.
A fine marzo, alcuni giovani di Srebrenica e dell’SDP, partito multi-etnico di centrosinistra, avevano presentato al sindaco Grujičić la loro proposta per un’intesa comune. Il progetto “Strade per la Pace” (“Projekat ulica za mir”) proponeva di rinominare le strade utilizzando nomi neutrali ed inclusivi come Strada del Futuro, Strada della Tolleranza o Strada dei Bambini di Srebrenica. Anche la Missione OSCE aveva accolto positivamente l’iniziativa.
Un’intervista rilasciata a fine marzo da un giovane membro dell’SDP locale così riassumeva le ragioni del progetto: “Le strade di Srebrenica dovrebbero poter portare il nome delle vittime del genocidio, delle madri di Srebrenica, dei combattenti per la giustizia. Ma la nostra comunità è lontana da ciò. Dobbiamo offrire un’alternativa per non trovarci un domani i nomi dei criminali di guerra sui tabelloni nel centro di Srebrenica. Ed è per questo che questa proposta è il risultato di alcuni nomi su cui i giovani di Srebrenica, indipendentemente dall’etnia, possono concordare”.
Il ricordo di Srebrenica e le elezioni comunali
A quasi trent’anni dal genocidio, non vi sono a Srebrenica strade o piazze intitolate alle vittime del massacro. La decisione del consiglio comunale è arrivata giusto a monte della discussione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una risoluzione per dichiarare l’11 luglio come Giornata internazionale di riflessione e ricordo del genocidio di Srebrenica del 1995.
Intanto, il 30 aprile Mosca ha richiesto una sessione straordinaria del Consiglio di Sicurezza, in cui Russia, Serbia e rappresentanti serbo-bosniaci hanno continuato a negare le proprie responsabilità nel genocidio e paventato ulteriori tensioni in caso di adozione della risoluzione, sostenuta da Germania e Ruanda. Il voto dell’Assemblea Generale ONU, inizialmente previsto per il 2 maggio, è slittato verso metà mese.
A inizio luglio a Srebrenica si commemorerà il 29° anniversario del genocidio, mentre a inizio ottobre si voterà per il rinnovo del consiglio comunale. Otto anni fa, Grujičić era stato il primo serbo-bosniaco eletto sindaco dopo il genocidio. Il suo mandato non ha portato riconciliazione, nonostante iniziative roboanti come il “monumento alla pace“. A fine marzo, la Republika Srpska ha inoltre adottato una propria legge elettorale e minacciato di organizzare le elezioni comunali al di fuori delle istituzioni statali. Dalla toponomastica locale alle dichiarazioni in sede ONU, nei prossimi mesi i partiti politici non mancheranno di sfruttare le polemiche sul genocidio a fini elettorali.