La polemica che ha scosso il parlamento albanese a novembre 2023 in seguito all’accordo sulla migrazione tra Italia e Albania appare oggi come un lontano ricordo. Il 5 aprile, la Prefettura di Roma ha reso noti i tre privati, Medihospes, Consorzio Hera e Officine sociali, che parteciperanno alla gara d’appalto da 34 milioni, confermando il via libera alla costruzione di un Hotspot a Shëngjin e un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) a Gjadër.
L’accordo
Secondo l’accordo bilaterale l’Albania avrebbe dovuto concedere gratuitamente aree per strutture destinate alla detenzione amministrativa dei richiedenti asilo. A lavori compiuti è prevista la presenza stabile del personale italiano, tra cui Guardia di Finanza, Guardia Costiera e Carabinieri, evidenziano l’intenzione del governo Meloni di stabilirsi fisicamente sul territorio albanese. La professoressa albanese Lea Ypi ha sottolineato che la procedura è un attacco diretto alla sovranità del paese in quanto le aree designate per la costruzione di un Hotspot e di un CPR diventerebbero delle “zone extraterritoriali italiane” all’interno del paese delle Aquile.
In Albania l’opposizione parlamentare si era concentrata su quest’ultimo punto, sottolineando la violazione costituzionale dell’accordo bilaterale, il quale, per la sua negoziazione, avrebbe dovuto richiedere l’autorizzazione del presidente della Repubblica. Tuttavia, il 29 gennaio la Corte costituzionale ha confermato la validità dell’accordo, consentendo al parlamento albanese di procedere con la sua ratifica.
L’esternalizzazione delle frontiere
La nuova disposizione coincide con la visione sempre più conservativa in ambito migratorio dell’Unione Europea. Le forze dell’ordine pubblico italiane avranno una sorta di impunità politico-legale garantita dall’esternalizzazione geografica del loro operato in territorio extra-Europeo. La strategia italiana non rappresenta un caso isolato ma viene condivisa dell’agenzia europea per il controllo di frontiera, nota come Frontex. Un rapporto di Fundamental Rights Office (FRO) testimonia che a partire dal 2019, durante le sue collaborazioni con le autorità albanesi, Frontex ha respinto illegalmente i richiedenti asilo al confine tra Grecia e Albania seguendo una strategia nota come pushback. Dichiarata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea come illegale, i pushback solitamente terminano con presunti decessi e violazioni dei diritti umani. Nonostante le criticità del caso, l’accordo tra Rama e Meloni prevede che Frontex abbia un ufficio disegnato appositamente all’interno del CPR di Gjadër.
Operando in Albania si comprometterebbero le tutele dell’elaborazione extra-territoriale delle richieste d’asilo, richiamando all’uso simile fatto dal Regno Unito in Ruanda o dagli Stati Uniti a Guantanamo Bay. Secondo l’UNHCR, la responsabilità primaria per la valutazione delle richieste spetta allo Stato di prima accoglienza, indipendentemente dalla modalità di arrivo. Qualsiasi deviazione da questo principio, come i trasferimenti forzati in un altro paese, viola il principio fondamentale del non respingimento ai sensi della Convenzione di Ginevra.
L’impatto sulla zona
Le zone designate a Shëngjin e a Gjadër sono aree industriali e portuali, strategicamente posizionate lungo la costa adriatica, in una regione sottoposta da anni a vasti investimenti pubblico-privati che hanno ridisegnato il paesaggio della costa albanese. I soggetti privati che partecipano alla gara d’appalto beneficeranno economicamente dalla costruzione dei centri di detenzione, alimentando la sinergia tra le esigenze di controllo delle frontiere e le sempre maggiori opportunità di business nel settore dell’accoglienza e della sicurezza. L’accordo Rama-Meloni si inspira difatti alla gestione dei CPR Italiani in cui la logica del mercato, spesso, domina su quella dell’accoglienza. Si teme che queste strutture ripropongano spazi dove le tutele e i diritti vengono meno.
In risposta, molti gruppi di attivisti albanesi si sono mobilitati per dichiarare il loro dissenso. Il collettivo ATA ha allestito un campo simbolico nel cuore del comune di Lezhë, portando alla luce la natura disumana e anti-costituzionale delle infrastrutture di detenzione. Le autorità locali hanno rapidamente smantellato le tende e hanno avviato un indagine sulle attività del collettivo. Stando alle dichiarazioni di ATA, la procedura con cui l’accordo si sta materializzando, accusata di essere di tipo “neocoloniale”, troverà resistenza da parte degli abitanti locali, che si troveranno in prossimità di strutture il cui perimetro sarà sorvegliato da forze dell’ordine pubblico italiane.
Questo fenomeno assume un particolare interesse storico in riferimento alle inevitabili connessioni tra la presenza stabile delle forze dell’ordine a Shëngjin e Gjadër e il passato coloniale italiano nella regione. Sotto questa prospettiva, l’accordo bilaterale tra Italia e Albania rischia di riaprire una cicatrice storica con cui il popolo albanese non si è ancora mai confrontato.