TITOLO: La scomparsa dei Balcani. Il richiamo del nazionalismo, le democrazie fragili, il peso del passato
AUTORE: Francesco Ronchi
EDITORE: Rubbettino
ANNO: 2023
Euro 15
C’erano una volta i Balcani. C’erano soprattutto negli anni novanta, quando l’esplosione della Jugoslavia titoista ed il collasso dell’Albania socialista attirarono l’attenzione – diplomatica, mediatica e financo militare – del mondo. Fu anche il tempo in cui si scoprirono la loro storia e la loro cultura attraverso i film di Kusturica, i racconti di Kiš e di Kadaré, i romanzi della Ugrešić, la musica di Bregović. Dopodiché il silenzio. Certo, la Slovenia nel 2004 e la Croazia nove anni dopo sono entrate nell’Unione Europea, ma per il resto si è steso un sostanziale oblio.
Francesco Ronchi, docente di Politica europea a New York e a Parigi, ci ricorda in questo suo lavoro almeno quattro cose. La prima è che effettivamente per molti versi i Balcani sono scomparsi.
Demograficamente, cioè umanamente. Si stima che a metà secolo la Bosnia avrà perduto quasi un terzo della sua popolazione dell’89, la Serbia come la Croazia quasi un quarto, l’Albania il 18 per cento, il Kosovo l’11. Un misto perverso di denatalità e di emigrazione, soprattutto verso la Germania (in cui si è trasferito un quinto dei medici bosniaci). Con connesso indebolimento economico.
In secondo luogo la regione balcanica, fragile quanto geopoliticamente strategica, è contesa da almeno tre competitor di peso. Si tratta della Russia putiniana, della Cina e della Turchia. Il conflitto in Ucraina ricorda che i Balcani sono ancor più vulnerabili all’influenza russa, ed il mondo serbo (specie la Repubblica serba di Bosnia) ne è il canale da sempre più sensibile, nonostante gli equilibrismi di Belgrado. La Cina punta, massicciamente quanto felpatamente, su investimenti, finanziamenti e cultura (gli istituti Confucio). A cui si aggiungono le ambizioni turche su Kosovo, Bosnia ed Albania, con espliciti richiami neo ottomani.
Terzo punto, i nodi irrisolti rimangono irrisolti. E si incancreniscono. Ad esempio le terre incognite nel nord del Kosovo, terre dalla sovranità incerta fonte di perenni attriti tra Belgrado e Pristina e fabbrica di cripto valute e di riciclaggio. O la Bosnia, una e bina, unico Stato europeo ad essere governato da un trattato internazionale (Dayton, 1995) che ha generato un ircocervo istituzionale labirintico (140 ministeri!) che sembra copiare in complessità la (ultima) Costituzione jugoslava del 1974. Molti confini rimangono contestati: tra Serbia e Kosovo, ma anche tra Serbia e Croazia, tra Serbia e Bosnia, tra Albania e Grecia. A cui vanno aggiunti i narcopoteri e le organizzazioni criminali, le “uniche strutture davvero internazionali della regione”.
Infine l’Europa. Che rischia di perdere i Balcani, pur dopo gli esiti positivi nelle relazioni tra Grecia e Macedonia del Nord. Il discorso non è solo quello dell’allargamento – che langue – ma deve essere più profondo, avverte l’Autore, perché “Se i Balcani sono in parte scomparsi dalla nostra prospettiva, se, per certi versi, si è accettato che parti della loro società fossero lasciate al nazionalismo e alla corruzione, se le forze del cambiamento si sono sentite abbandonate è anche perché abbiamo rinunciato a conoscerli”. Per cui non è in gioco solo la stabilità europea, ma lo spirito stesso dell’Europa, quello del 1989 e perfino del 1789: dimenticando i Balcani, conclude Ronchi, “abbandoneremmo anche noi stessi”.