CHP vince elezioni Turchia
Il discorso della vittoria di İmamoğlu davanti agli edifici della Municipalità di Istanbul a Saraçhane, Fatih - foto dell'autore

TURCHIA: Il CHP si riconferma nelle città e diventa primo partito nazionale

Il 31 marzo oltre 61 milioni di elettori turchi si sono recati alle urne nell’ambito delle elezioni municipali per eleggere i sindaci di circa 4000 città del paese e decine di migliaia di rappresentanti politici dei consigli cittadini e provinciali, dai livelli più alti a quelli più bassi, rappresentati dalle figure dei muhtar, anello di congiunzione più diretto tra i cittadini e le istituzioni.

Cinque anni dopo la storica vittoria dell’opposizione ad Istanbul e ad Ankara del 2019, le grandi città, in particolare la megalopoli sul Bosforo, emergono ancora una volta quale campo di battaglia decisivo per il futuro politico della Turchia, un paese nel quale le elezioni locali sono sovente percepite come un’estensione delle elezioni nazionali e un giudizio collettivo sulla figura del presidente in carica, Recep Tayyip Erdoğan, e del ventennale corso politico del suo Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP). In questa tornata elettorale la posta in gioco più alta è stata quella sul futuro di un’opposizione frammentata, incapace di capitalizzare consenso, uscita con le ossa rotte dalla cocente sconfitta alle elezioni presidenziali del maggio 2023 e pronta a scommettere tutto sulla nuova leadership di Özgür Özel e sulla figura dell’attuale sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, per rilanciare la sua compromessa immagine, non solo su scala locale.

Il CHP è riuscito nell’intento, registrando un exploit storico e diventando, per la prima volta dal 1977, il partito più votato nel paese con il 37,7% dei voti, a fronte dei 35,4% dell’AKP (nel 2019 il primo aveva totalizzato il 28,5%, il secondo il 42,7%), vincendo in 14 grandi comuni metropolitani (büyükşehir belediyesi), 21 province (il) e 337 distretti (ilçe). A penalizzare fortemente i partiti di governo hanno contribuito soprattutto il malcontento della popolazione rispetto alla crescente inflazione e alla lenta e debole gestione della ricostruzione post sisma nel sud-est del paese, fondamentalmente interrotta dopo le elezioni nazionali dello scorso anno.

Tutti gli occhi puntati su Istanbul

Nella corsa alla carica di sindaco di Istanbul ha partecipato un totale di 49 candidati, 22 dei quali legati ad una formazione partitica e numerose altre figure indipendenti (bağımsız). I due contendenti principali, protagonisti secondo i sondaggi della vigilia di un convulso testa a testa, sono stati sin da subito Ekrem İmamoğlu, espressione del partito d’opposizione CHP, il quale si è aggiudicato un secondo mandato alla guida delle città con il 51,1% dei voti, e Murat Kurum, il candidato sostenuto dai partiti di governo, AKP e MHP, uniti nella cosiddetta Alleanza della Repubblica (Cumhur İttifakı), fermatosi al 39,5%. Il CHP si è imposto in 26 distretti della città (39 in totale), 9 dei quali in precedenza amministrati dall’AKP. Tra questi, Beyoğlu, guidato per la prima volta nella storia da un esponente del CHP, İnan Güney, e Üsküdar, da decadi roccaforte del partito di Erdoğan, che ha visto la vittoria della sua prima donna presidente, Sinem Dedetaş.

A differenza delle elezioni del 2019, nelle quali l’opposizione si era presentata unita in un fronte compatto, facendo leva proprio su questo elemento per ottenere la vittoria alle urne, sia i nazionalisti del Buon Partito (İYİ Parti) che il pro curdo Partito per l’Uguaglianza Popolare e la Democrazia (DEM Parti) hanno espresso due candidati diversi, rispettivamente Buğra Kavuncu e Meral Danış Beştaş. Considerato da molti il preludio di una possibile frammentazione del voto d’opposizione, ciò non ha impedito al CHP di ottenere il migliore risultato elettorale degli ultimi 50 anni, di gran lunga superiore a quelli delle precedenti tornate nelle quali si era presentato in coalizione con altri partiti. Come suggerito da Berk Esen, docente di Scienze Politiche all’Università Sabancı di Istanbul, İmamoğlu, forte della brillante prestazione registrata nel corso del primo mandato, ha potuto comunque contare sul sostegno degli elettori laici di centrodestra e dei curdi, nonostante i due partiti di riferimento avessero nominato candidati diversi.

Nuove tendenze, criticità e prospettive future

Uno dei dati più significativi di questa tornata elettorale turca è rappresentato dai risultati conseguiti dal Nuovo Partito del Benessere (Yeniden Refah Partisi), espressione dell’Islam politico turco, fondato nel 2018 da Fatih Erbakan, figlio di Necmettin, ex Primo Ministro e “padre politico” di Erdoğan, divenuto il terzo partito politico più votato nel paese dopo CHP e AKP con il 6,1% dei voti e uscito vincitore in due grandi comuni metropolitani in Anatolia centrale e sud-orientale (Yozgat e Şanlıurfa), precedentemente governati dal Partito di Giustizia e Sviluppo. Grandi sconvolgimenti sembrano interessare il Buon Partito (İYİ Parti) che, con il 3,7% dei voti, non è riuscito ad eguagliare la performance elettorale registrata nel 2019 quando, in corsa con il CHP e altri partiti uniti nell’Alleanza della Nazione (Millet İttifakı), incassò il 7,3%. La segretaria Meral Akşener, smentendo le insistenti voci sulle sue possibili dimissioni e riconoscendo la sconfitta, ha annunciato la convocazione di un congresso straordinario per affrontare la delicata situazione post elettorale. Gli esponenti del pro curdo Partito per l’Uguaglianza Popolare e la Democrazia (DEM Parti), successore del Partito Democratico del Popoli (HDP), hanno estensivamente denunciato la presenza di irregolarità durante lo svolgimento delle votazioni, elemento che è andato ancor di più a minare la fiducia degli elettori curdi, già messa a dura prova dall’invio di “elettori mobili”, solitamente soldati e poliziotti, incaricati di votare contro il DEM (46 mila secondo la portavoce Doğan), e dalla pratica pluriennale dello stato turco di sostituire i funzionari eletti nelle regioni a maggioranza curda con amministratori nominati da Ankara.

In questo complesso quadro emerge in modo pressante e chiaro una linea direttrice per l’opposizione turca del CHP, sempre più incline a vedere nella figura del riconfermato sindaco İmamoğlu il candidato naturale alla presidenza della Turchia in occasione delle elezioni del 2028.

Chi è Vanni Rosini

Nato a Firenze nel 1999, studente magistrale in Storia all’Università degli Studi di Firenze, dove ha approfondito la conoscenza della lingua turca. Si interessa di Medio Oriente, con particolare attenzione verso la Turchia. Nel 2022 ha trascorso un periodo di studio presso la Bilgi Üniversitesi di Istanbul. Scrive anche per Limes Club Firenze.

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