Se per “noiose” intendiamo le elezioni di cui il risultato è prevedibile e scontato, quelle in Russia saranno le elezioni più noiose dell’anno – e potrebbero essere tra le più noiose della storia del paese. Eppure, ci sono tanti piccoli aspetti da monitorare per avere un quadro più chiaro di ciò che sta avvenendo in Russia, al di là del risultato
Indovina chi vince
Innanzitutto il risultato delle elezioni, le prime presidenziali dall’inizio della guerra su larga scala mossa all’Ucraina: senza scomodare analisti o società di sondaggi, è chiaro che Vladimir Putin sarà rieletto. Ciò sarà possibile a seguito del referendum costituzionale indetto nel 2020, che azzera i mandati del presidente uscente e gli permetterà di rimanere al Cremlino fino al 2036.
Vale la pena notare che le elezioni di questo weekend si terranno in un clima possibilmente più repressivo e controllato di quelle del 2018. Sia a causa della guerra, sia per l’implementazione di una lunga serie di disposizioni che da sei anni a questa parte hanno eroso i diritti elettorali dei cittadini, ridotto le già scarse possibilità di monitoraggio dei voti e impedito la candidatura di politici non necessariamente oppositori del sistema politico del Cremlino, ma le cui ambizioni erano fin troppo evidenti. A tutto ciò si deve aggiungere l’uccisione di Alexei Navalny e la chiusura di svariati media, blog e canali indipendenti.
Gli altri candidati
“Sogno di vincere l’operazione militare speciale [l’invasione dell’Ucraina su larga scala] – ma non sogno di vincere [contro] Putin [alle prossime elezioni]”. Così il candidato per il Partito Liberal-Democratico (LDPR) Leonid Slutsky, volto noto della politica russa. Prende il posto dell’ex leader Zhirinovsky, deceduto due anni fa. La sua campagna non ha scopi che la rendano sostanzialmente differente da quella del presidente uscente.
Nikolay Kharitonov, 75 anni, è il candidato del Partito Comunista. La sua non è una candidatura particolarmente forte, e il Partito rischia di perdere il suo storico secondo posto. Kharitonov – noto soprattutto per il suo secondo posto alle presidenziali del 2004, vinte proprio da Putin – propone maggiori investimenti nel settore agrario e industriale e l’introduzione di una tassazione progressiva.
Vladislav Davankov è considerato “l’outsider” di queste elezioni. Quarantenne, imprenditore self-made, esponente di un partito piuttosto giovane (Nuova Gente, nato nel 2020), nella sua campagna Davankov si è concentrato sulla necessità di aprire dei negoziati con l’Ucraina, di allentare la pressione governativa sui media e di puntare sulla decentralizzazione dell’economia. Se dovesse riuscire a mobilitare anche l’elettorato dell’escluso Nadezhdin, il giovane candidato potrebbe riuscire per lo meno a dare fastidio a Vladimir Putin.
Inoltre, Davankov è stato al centro delle riflessioni dell’opposizione, divisa tra chi ha proposto l’appoggio congiunto al candidato in funzione anti-Putin e chi propone la diserzione totale delle elezioni, considerando il “giovane” parte del sistema.
Affluenza, consenso e dissenso
La partita di Putin, già vinta sul fronte dell’esito finale, si gioca sull’affluenza. Sono uscite alcune indiscrezioni dai media secondo cui il presidente uscente vorrebbe vincere con circa l’80% dei voti – un dato superiore al 77% del 2018. Gregari e scrutatori non avranno alcun problema ad estrarre il numero loro richiesto, ma un consenso così elevato richiede – perfino in Russia – almeno una minima dimostrazione di grande affluenza alle urne. Insomma, Putin vuole dimostrare che la saldatura tra la leadership e il popolo russo non è mai stata così solida.
Foto: The Moscow Times