Nessun referendum e nessuna richiesta di annessione alla Russia, come alcuni avevano ipotizzato qualche giorno fa. La situazione rimane da monitorare.
Il VII Congresso dei Deputati della Repubblica di Transnistria si è riunito stamattina a Tiraspol, la capitale dell’autoproclamato stato, indipendente solo de facto. Nonostante le voci di un possibile referendum per chiedere l’annessione alla Russia (come già era accaduto nel 2006), la risoluzione adottata dal congresso è stata decisamente più moderata.
Dichiarazioni
I 620 deputati riuniti nel Palazzo della Repubblica hanno accusato la vicina Moldavia di aver artificiosamente e volontariamente rallentato i negoziati per la risoluzione dei conflitti, di aver imposto dazi doganali e di discriminare gli abitanti della riva sinistra del Dnestr.
Le dichiarazioni di questa mattinata sono il culmine di un conflitto che si è accentuato negli ultimi mesi. Dal 1° gennaio 2024, infatti, le autorità moldave hanno deciso di estendere la legislazione doganale a tutto il territorio della Transnistria, di fatto tassando le esportazioni. I piccoli passi avanti per l’unificazione economica della regione sono stati percepiti come un affronto da parte di Tiraspol. Settimane di negoziati senza soluzione hanno esacerbato il conflitto. Inoltre, al clima già teso potrebbe contribuire in un futuro molto prossimo la questione del voto: Tiraspol vorrebbe che i suoi cittadini votassero per le presidenziali in Russia, possibilità cui le autorità moldave hanno già opposto un secco rifiuto.
Strategie del Cremlino
Tuttavia, dire che ciò che sta accadendo in Transnistria è uguale a ciò che è accaduto con le Repubbliche del Donbass, se non sostanzialmente errato, è quantomeno fuorviante. Certamente il Cremlino ha da sempre un rapporto privilegiato con l’autoproclamata Repubblica, e niente può essere escluso a priori. Ma la risoluzione adottata dal congresso non sembra particolarmente estrema, anzi.
Innanzitutto perché le accuse, vere o false che siano, hanno, per ora, un preciso movente economico, e le posizioni delle due parti sulla questione non sembrano così drasticamente innegoziabili. In secondo luogo, la stessa formulazione della risoluzione – per quanto, comunque, adotti un linguaggio non particolarmente accomodante, dal retaggio evidentemente sovietico e chieda delle non meglio specificate “misure di protezione” – non richiede l’aiuto militare di nessuno. Oltre che alle due camere del parlamento russo (e non al presidente Putin, gesto che sarebbe stato ben più chiaro dal punto di vista simbolico), si chiede l’intervento del Segretario Generale dell’ONU, del Parlamento Europeo, dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), della Croce Rossa Internazionale.
Insomma, ad oggi nulla, tranne l’imprevedibilità delle trame del Cremlino, sembra far presagire un imminente intervento russo. La situazione rimane da monitorare, soprattutto in vista del discorso che domani il presidente russo terrà al parlamento; tuttavia, l’allarmismo di questi giorni rischia di complicare una soluzione pacifica della questione.
Foto: Account Telegram della Repubblica di Transnistria