Recentemente, l’Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza (Swp) ha inserito per la prima volta il Kazakhstan nel novero delle ‘medie potenze mondiali’. Sin dalla sua indipendenza negli anni Novanta, per il grande stato dell’Asia centrale la principale area di diversificazione è stata la politica economica; l’astuta scelta di puntare sull’economia ha consentito ad Astana di modellare una cooperazione selettiva con le due principali potenze confinanti, Russia e Cina, sulla base di un rapporto sostanzialmente pragmatico. Tuttavia, trent’anni di neoliberismo non sempre hanno fornito i risultati sperati. Sebbene abbia assunto un ruolo sempre più importante come fornitore di energia verso l’Europa, oggi il Kazakhstan è quasi totalmente dipendente dalle esportazioni di materie prime che rappresentano la fonte principale dei proventi nazionali mentre lo sviluppo delle catene del valore e la promozione delle piccole e medie imprese restano sottovalutati. Sul piano regionale, la portata della politica estera kazaka è limitata dalla pressione di forze esterne (Mosca e Pechino) restie a concedere un eccessivo margine di movimento al gigante euroasiatico.
Storicamente e culturalmente legato alla Russia, paese con cui condivide il confine terrestre più lungo al mondo, il Kazakhstan rappresenta una delle tappe obbligate nel lungo tragitto che congiunge l’Europa e l’Asia. Nel corso dei secoli, sulle sue steppe si sono incontrate e mescolate numerose civiltà e religioni: iraniche, turciche, mongole, buddiste, cristiane, musulmane. Ma a rendere speciale l’ex repubblica sovietica è la straordinaria quantità di risorse minerali (metalli e terre rare) e combustili fossili (soprattutto petrolio) che determinano da sempre la traiettoria della politica estera kazaka.
Sin dalla sua indipendenza dall’URSS, dichiarata il 16 dicembre 1991, l’ex repubblica sovietica è riuscita a scalare posizioni importanti nella classifica delle economie emergenti. Recentemente, uno studio dell’Istituto Tedesco per gli Affari internazionali e di sicurezza (Swp), ha inserito per la prima volta il Kazakhstan nel novero delle “medie potenze” mondiali, in compagnia di Turchia, Israele, Egitto, Arabia Saudita, India, Indonesia, Etiopia, Kenya, Sud Africa, Messico e Brasile.
Secondo il rapporto del think tank tedesco i punti di forza del grande stato dell’Asia centrale (posizione geografica, ricchezza culturale, dotazione di risorse minerali e fossili) sono stati al centro di un percorso di riforme sul piano economico e politico che ha permesso ai principi liberali di attecchire nella vita politica ed economica del paese a dispetto di quanto avviene nelle vicine repubbliche dell’Asia centrale (Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Tagikistan). Infatti, per quanto sia una repubblica presidenziale sostanzialmente autoritaria e segnata da una debole separazione dei poteri, in cui una ristretta classe dirigente continua a mantenere una linea di demarcazione piuttosto netta con la società civile, nel complesso il Kazakhstan può vantare una maggiore libertà nell’ambito della tutela dei diritti civili.
Geografia politica e politica estera kazaka
Il destino del Kazakhstan in politica estera è essenzialmente legato alle due principali potenze regionali, Russia e Cina, se non altro per la sua posizione geografica. Durante l’era sovietica, il Cremlino ha letteralmente modellato a sua immagine e somiglianza l’economia e la politica kazaka, chiudendo il paese a qualsiasi contatto con il mondo occidentale. Svuotato della sua popolazione originaria e avviato ad abbracciare la pianificazione centralizzata sovietica, a partire dagli anni Trenta il Kazakhstan è diventato un contenitore demografico pronto ad ospitare i più svariati popoli dell’URSS.
Nel rapporto profondo tra Mosca e le sue periferie asiatiche, sul piano politico il sistema sovietico ha dedicato ampio spazio alla formazione dei quadri nazionali coltivando relazioni personali sempre più strette con l’élite politica kazaka. Questi legami bilaterali con la Russia sono rimasti anche dopo il crollo dell’Unione sovietica e sono stati rafforzati dall’integrazione del Kazakistan nelle organizzazioni regionali dominate da Mosca: l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO, dal 2002), la Comunità Economica Eurasiatica (EAEC, dal 2000) e l’Unione Economica Eurasiatica (UEM, dal 2015).
Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni duemila, per bilanciare la propria dipendenza economica e politica dalla Federazione russa Astana ha trovato nelle relazioni commerciali con l’Occidente e la Cina, il contrappeso ideale.Intenzionato a realizzare il definitivo superamento della pianificazione centralizzata di stampo sovietico in favore di modelli più “aperti” e orientati al mercato, il primo presidente del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, ha varato un programma di riforme economiche all’interno della più ampia strategia “Kazakistan 2050”, con l’ambizioso obiettivo di rendere il Kazakhstan uno dei trenta stati più sviluppati del pianeta entro la metà del secolo.
Sotto la spinta di una trasformazione neoliberale, il paese ha iniziato ad attirare investitori stranieri nel settore degli idrocarburi, e in quello estrattivo grazie alle enormi riserve di uranio e carbone. Nella speranza di realizzare una propria autonomia anche in politica estera attraverso la carta dell’espansione economica, con l’arrivo del nuovo millennio, Astana si è legata sempre più all’altra grande potenza regionale, la Cina che grazie alla creazione del progetto strategico “Belt and Road Initiative” (BRI) ha assunto un ruolo di particolare rilievo nell’economia kazaka divenendo investitore, finanziatore e partner commerciale.
Negli ultimi anni, il grande stato dell’Asia centrale ha rivolto lo sguardo anche a Occidente, complice anche un parziale ridimensionamento dell’influenza del Cremlino nella regione, accelerata dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. I progressi significativi nel campo delle nuove tecnologie hanno portato nel 2018 alla creazione di un polo di innovazione finanziaria e tecnologica, l’Astana International Financial Centre, che punta ad attrarre investimenti da parte di paesi provenienti dall’Asia centrale e dal Caucaso, ma soprattutto dal Medio Oriente e dall’Europa.
Tuttavia, il triangolo di relazioni che coinvolge Astana, Mosca e Pechino non riguarda soltanto la sfera degli accordi economici e commerciali ma include anche partenariati per la sicurezza. Come membro dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), il Kazakistan è particolarmente interessato a contrastare il terrorismo, il separatismo e il fondamentalismo religioso nei paesi dell’Asia centrale. Oltre al Kazakhstan della SCO fanno parte altri paesi della regione, tra cui Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan.
Sebbene il Kazakistan rappresenti da anni una delle principali destinazioni per i lavoratori migranti provenienti dai territori di queste repubbliche e le relazioni bilaterali con gli altri attori siano sostanzialmente prive di conflitti, le iniziative per un coordinamento sistematico in materia di sicurezza tra gli Stati dell’Asia centrale hanno faticato a produrre risultati duraturi. Tra gli ostacoli principali che alimentano questo stallo nella regione ve ne sono due particolarmente rilevanti. Il primo riguarda le tese relazioni bilaterali tra Kirghizistan e Tagikistan con i due paesi che hanno intrapreso una corsa alle armi per farsi trovare pronti nell’eventualità di conflitti futuri. Il secondo, invece, chiama in causa direttamente la Russia e indirettamente la Cina. Dopo la caduta dell’URSS, i tentativi di Astana di rafforzare le politiche di sicurezza in accordo con gli altri partner regionali sono stati ripetutamente boicottati da Mosca – che può vantare ancora una certa influenza in alcune parti della società civile dell’Asia centrale – e mai sostenuti fino in fondo dalla Cina.
Interessi, strategie e possibilità
Durante il “regno” del presidente Nazarbayev, durato quasi tre decenni (1991-2019), la diversificazione economica è stata la principale area d’intervento dello Stato, ma non sempre ha prodotto gli effetti desiderati mentre le storture della modernizzazione neoliberale non hanno tardato a presentarsi.
La scelta di Nazarbayev di costruire la spina dorsale del paese su un sistema neo-patrimoniale ad accesso limitato si è rivelata inadeguata nel tempo. Ancora oggi, le materie prime continuano a rappresentare la maggior parte dei proventi delle esportazioni del paese, alimentando una dinamica di incentivazione tipica delle economie di rendita.. Inoltre, le dinamiche economiche, politiche e sociali alla base della trasformazione del Kazakhstan hanno escluso sistematicamente dal benessere gran parte della popolazione, la cui insoddisfazione si è manifestata ciclicamente nel tempo, fino all’epilogo della grave crisi scoppiata nel gennaio 2022.
La tentazione di puntare tutto sui profitti rapidi derivanti dalle esportazioni di materie prime ha oscurato lo sviluppo delle catene del valore, disincentivando la promozione delle piccole e medie imprese. Soltanto di recente, con le progressive sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e il rinnovato interesse dell’Unione europea – alla ricerca di nuovi partner energetici – per l’Asia centrale, il Kazakhstan ha dato nuovo slancio ai suoi sforzi di diversificazione.
Consapevole che la direzione della propria politica estera è interamente determinata dalla percezione dello spazio conteso tra Cina e Russia, Astana ha cercato di schermare l’influenza di Mosca e Pechino evitando di appiattirsi eccessivamente su posizioni strategiche unilaterali. L’obiettivo dichiarato di questa strategia resta sempre lo stesso: ridurre la dipendenza dalle esportazioni di petrolio greggio e dalle rotte di trasporto che attraversano la Russia, ampliando la ricerca di investitori nel campo delle energie rinnovabili e dell’industria di trasformazione, in particolare nell’estrazione mineraria.
Nel tentativo di dare continuità alle sue ambizioni, il Kazakhstan è entrato nell’orbita del piano d’investimenti lanciato dall’Unione europea, il Global Gateway, concepito come alternativa alla BRI, e per la cui attuazione saranno investiti circa 300 miliardi di euro nella messa in rete dei mercati extraeuropei entro il 2027. Grazie alla sua posizione di crocevia tra Oriente e Occidente, il paese dell’Asia centrale è riuscito a capitalizzare i benefici derivanti dalla rotta di trasporto internazionale transcaspica (TITR), conosciuta con il nome di “corridoio di mezzo”.
La guerra in Ucraina e le sopraggiunte tensioni nel mar Rosso, hanno infatti riacceso l’interesse della comunità internazionale per la rotta transcaspica, che secondo le indicazioni fornite da uno studio della banca Mondiale potrebbe portare a un aumento di tre volte del volume di merci entro il 2030. Nell’attuale momento storico di parziale isolamento internazionale della Russia, il gigante euroasiatico è riuscito ad aumentare anche la capacità di attraversamento dei propri confini con la Cina come dimostra il progetto lanciato nel dicembre 2023 per la realizzazione della linea ferroviaria Bakhty-Ayagoz e finalizzato a potenziare i collegamenti ferroviari tra i due paesi dopo gli ottimi risultati raggiunti nel 2022.
Le sfide per il futuro
Lo studio del Swp evidenzia come nel recente passato, il Kazakhstan sia riuscito ad avere voce in capitolo nella politica internazionale, anche se il proprio ruolo si è fermato alle fasi iniziali e meno complesse. Ciò è accaduto, ad esempio, quando Astana ha assunto la presidenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) nel 2010.
Spostando in avanti la linea degli eventi, nei periodi 2013-2015 e 2022-2024, il Kazakistan è stato eletto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (ONU) mentre dal 2017 al 2018 è stato membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU che ha presieduto per un breve periodo. Nel 2023, Astana ha fatto richiesta per entrare nel Gruppo dei BRICS ma per il momento senza successo. Per il gigante euroasiatico, che occupa uno spazio transcontinentale enorme (2.7171.300 chilometri quadrati), entrare a far parte del raggruppamento delle economie mondiali emergenti significherebbe poter beneficiare maggiormente degli investimenti diretti esteri che transitano tra il continente asiatico e quello europeo, ma soprattutto incrementare notevolmente gli scambi commerciali con l’Africa e l’America latina.
Tuttavia, se da un lato l’ampia partecipazione del Kazakhstan a organizzazioni e alleanze internazionali e regionali dimostra chiaramente la volontà e la capacità del paese di essere parte attiva nella politica internazionale; dall’altro lato, è importante riconoscere che per Astana la formazione di una propria identità, sia in politica interna che estera, sarà sempre più influenzata dalla dimensione regionale di appartenenza in cui potenze come Russia e Cina restano sostanzialmente contrarie a concedere eccessiva autonomia. Ad oggi, le ambizioni del Kazakhstan restano fortemente vincolate agli incentivi economici e alle strategie pedagogico-persuasive di Pechino e Mosca mentre le proposte politiche avanzate dall’Ue e dagli Stati Uniti continuano ad essere interpretate nel contesto delle tensioni geopolitiche tra il blocco sino-russo e quello occidentale.
Il Kazakhstan è il primo produttore al mondo di uranio ma ha sofferto gravissime conseguenze ambientali per le centinaia di test nucleari effettuati dal 1949 al 1991 nella regione di Semey. Le centrali di epoca sovietica sono state dismesse negli anni Novanta e di recente Astana ha annunciato la realizzazione di due nuovi impianti, valutando la partecipazione di aziende provenienti oltre che da Cina e Russia, anche da Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Francia. Ebbene, la sola possibilità di un coinvolgimento di questi paesi occidentali nel nuovo programma per l’energia nucleare civile kazaka ha scatenato l’opposizione dei circoli conservatori della politica e della società, notoriamente vicini a Mosca e Pechino, che interpretano queste collaborazioni come un tentativo di creare una frattura tra l’Asia centrale e i suoi alleati “tradizionali”.
La vera sfida per il Kazakhstan resta, dunque, quella regionale: riconoscere gli stretti legami con le due potenze di riferimento, Russia e Cina, rivendicando contestualmente una propria autonomia in politica estera è un obiettivo che Astana condivide con una miriade di paesi in via di sviluppo anch’essi contesi nello spazio globale. Tuttavia, a differenza di altri attori regionali e no, il Kazakistan ha obiettivamente più possibilità di perseguire partenariati strategici improntati a una maggiore parità non solo con russi e cinesi ma anche con le altre potenze occidentali, in virtù delle sue risorse, della sua estensione e della sua posizione geografica.
D’altronde, se l’Unione europea intende davvero contrastare l’influenza di Russia e Cina in Asia centrale, presentandosi come partner economico e commerciale (e in futuro forse anche politico) alternativo, il Kazakhstan rappresenta la porta d’accesso privilegiata. Ma per riuscire nell’impresa, sarà necessario dimostrare grandi doti di pragmatismo e realtà, prestando attenzione alla fattibilità delle rispettive proposte e formulando aspettative chiare sulla responsabilità condivisa per i progetti comuni.