Discorso di Orban

Ungheria: Il discorso di Orban e l’irriducibile populismo europeo

Sabato 17 febbraio a Budapest si è tenuto il tradizionale discorso di Viktor Orban alla nazione, in un clima talmente teso da vietare l’accesso ai giornalisti. Il Premier ungherese ha colto l’occasione per lanciare progetti di lungo periodo e di ampio respiro, nel segno del populismo europeo. 

I temi del discorso

Un clima di grande tensione politica ha caratterizzato il consueto discorso annuale del Primo Ministro ungherese Viktor Orban. Negli scorsi giorni infatti la grazia concessa all’ex Capo di Stato Katalin Novak –coinvolta in un caso di pedofilia– ha suscitato rabbia e indignazione in tutto il paese, costringendo la polizia ungherese all’adozione di misure straordinarie. Le strade che circondano il Verkert Bazaar -dove si è svolto il discorso- sono state blindate per l’intera giornata di sabato, e per nessun organo di stampa è stato possibile accedere all’evento. Non è un caso quindi che il Premier abbia scelto di esordire affrontando il caso di Katalin Novak, sostenendo da una parte che “anche le brave persone prendono decisioni sbagliate” ma dall’altra che “non ci può essere indulto per i casi di pedofilia” -due pesi e due misure che di certo non calmeranno i malumori dell’opposizione.

Non meno contraddittorie sono sembrate le posizioni di Orban sull’Unione Europea, definita al tempo stesso come “il nostro ambiente naturale” ma anche come un “peso che ci trascina verso il basso” -in riferimento alle politiche economiche di Bruxelles. Propaganda e demagogia si sprecano anche sulla questione ucraina, rispetto alla quale da tempo l’Ungheria si racconta come l’unico paese europeo in cerca di una pace che, stando alle sue parole, andrebbe raggiunta fermando il supporto militare al governo di Kiev. Inoltre, l’apertura al grano proveniente dall’Ucraina -conseguenza della guerra in corso- viene raccontata come una delle cause dei mali che affliggono l’agricoltura europea, creando un sistema di concorrenza sleale che starebbe mettendo in ginocchio gli agricoltori dell’Unione. Rispetto alle incombenti elezioni parlamentari invece, Orban si dice favorevole ad una presidenza ungherese per “fare di nuovo grande l’Europa”, lanciando lo slogan del Make Europe Great Again.

La citazione “trumpiana” non è casuale, conoscendo le attitudini politiche dei sovranisti europei, da sempre vicini al leader repubblicano. Orban non ne fa mistero, dichiarando che “ci piacerebbe molto vedere il Presidente Donald Trump tornare alla Casa Bianca” per “fare pace nella metà orientale dell’Europa”. Il tema delle elezioni americane si lega quindi a quello delle elezioni europee, entrambe raccontate con la retorica del grande cambiamento dal basso e della creazione di un nuovo equilibrio mondiale.

Vecchie abitudini e nuove prospettive

L’attacco ai “burocrati di Bruxelles”, così come il supporto a Trump, ci riportano indietro nel tempo alle origini del populismo europeo. Già dieci anni fa, alla vigilia delle elezioni europee, il Fidesk di Viktor Orban fondava il proprio programma politico su una narrazione euroscettica e anti-sistemica, guadagnando consensi sia in patria che all’estero. Una tale retorica fece di Vladimir Putin un riferimento politico per buona parte della comunità internazionale, che considerava la Federazione Russa come un’alternativa credibile alla globalizzazione statunitense. Nasceva in quel periodo un “internazionale sovranista” che, dagli Stati Uniti all’Europa passando per il Sud America, inaugurò una stagione politica che ancora oggi non si può dire conclusa. La guerra in Ucraina e la rocambolesca -ma temporanea- uscita di scena di Donald Trump, non sembrano infatti aver scalfito la popolarità della destra europea.

Tuttavia, per quanto esagerate e colme di propaganda, le posizioni del leader ungherese hanno sempre trovato un riscontro nell’immobilismo politico di Bruxelles. I meccanismi su cui si fonda il sistema europeo -come quello dell’unanimità nel Consiglio- e le differenze strutturali tra i vari paesi membri, non hanno mai prodotto posizioni politiche in grado di influire davvero sul piano internazionale e mettono costantemente in dubbio la credibilità dell’UE. L’attuale situazione in Ucraina ne è un esempio concreto, come ricordato da Orban all’interno del suo discorso.

Ad ogni modo, oltre ad attaccare lo status quo, la destra europea non è mai stata in grado di creare alternative credibili. I programmi politici sovranisti infatti, sono sempre sembrati incompatibili con qualsiasi posizione europeista. Mettere in primo piano il proprio interesse nazionale e allo stesso tempo lavorare alla creazione di una “grande Europa” non risulta possibile. Il quadro si complica ancora di più allargando lo sguardo oltreoceano, verso gli USA e la NATO. Ad esempio, le recenti dichiarazioni di Donald Trump sul possibile disimpegno americano in Europa aprono prospettive imprevedibili e di certo non lasciano spazio a velleità e ambizioni elettorali.

Le posizioni sostenute da Orban insomma, appaiono a dir poco contraddittorie. C’è un’incompatibilità di fondo tra le politiche sovraniste e la creazione di una “grande Europa”, tra il sostegno alle strategie di Trump e la fine della guerra in Ucraina. Per questo motivo, nei prossimi mesi l’opposizione dovrà alzare la voce e trovare risposte concrete alle insidie che arrivano da Washington e da Mosca. Una tale incoerenza sopravvive solo nel vuoto politico, pronta ad urlare laddove regna il silenzio.

Fonte immagine: sito web CNN

Chi è Livio Maone

Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Roma Tre. Attualmente è studente magistrale all’Università di Bologna.

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