Lo scorso 14 febbraio potrebbe essere passato alla storia come il San Valentino della pace definitiva tra Egitto e Turchia. E quale occasione migliore per porre fine a un gelo diplomatico in corso dal 2013? Scherzi a parte, la visita di Erdoğan al Cairo rappresenta un punto di svolta storico per le relazioni tra i due Paesi, che arriva in un momento estremamente delicato, prendendo soprattutto in considerazione l’attuale situazione al Varco di Rafah, che rischia di trasformarsi in una vera e propria catastrofe umanitaria.
Ma come si è arrivati alla fine del gelo diplomatico dopo più di dieci anni? E quali conseguenze può comportare per Gaza la ripresa dei rapporti tra i due Paesi?
Un nuovo inizio
Il primo incontro tra Erdoğan e al-Sisi era avvenuto nel Novembre 2022 a Doha, in occasione della partita inaugurale dei Mondiali. Con l’Emiro al-Thani a fare da testimone, la stretta di mano del 2022 tra i due aveva già rappresentato un enorme punto di svolta. Ma è con la nomina dei rispettivi ambasciatori nei due Paesi nel luglio 2023, a dieci anni precisi dall’espulsione delle rispettive forze diplomatiche, che il Cairo e Ankara hanno messo la parola fine sul gelo diplomatico.
Come già raccontato in precedenza, la fine dei rapporti diplomatici tra i due Paesi non era stata altro che una conseguenza del colpo di Stato del generale al-Sisi nel luglio 2013, che aveva portato alla deposizione e all’arresto dell’allora Presidente Morsi, eletto un anno prima. Quest’ultimo era stato fortemente appoggiato da Erdoğan, in quanto leader del partito Libertà e Giustizia, rappresentanza dei Fratelli Musulmani alle elezioni egiziane del 2012. Da sempre vicini al partito del leader turco, proprio i Fratelli Musulmani da quando al-Sisi è al potere hanno subito la più grande repressione dai tempi di Nasser. Una repressione messa in atto a partire dal 14 agosto 2013, quando le forze egiziane aprirono il fuoco contro i manifestanti pro-Morsi a piazza Rabi’a al-‘Adawiyya, causando 817 morti e più di 4000 feriti. Un evento passato alla storia proprio come il massacro di Rabi’a al-‘Adawiyya, “il peggiore omicidio di massa della storia moderna dell’Egitto” secondo Human Rights Watch.
Nonostante diversi attacchi verbali intercorsi negli anni tra i due presidenti, in particolare con l’accusa dell’omicidio di Morsi da parte di Erdoğan verso al-Sisi, la visita del Rais turco sembra aver tracciato una riga per porre fine agli attriti del passato. Nell’incontro del 14 febbraio diversi sono stati i temi toccati: dalle relazioni economiche tra i due Paesi, mai interrotte nonostante il gelo diplomatico, alle posizioni sui vari conflitti regionali. I due leader hanno enfatizzato ad esempio la necessità di cooperazione in Libia per la ricostruzione, un terreno che in realtà li aveva visti appoggiare gli schieramenti opposti, con l’Egitto dalla parte del generale Haftar e la Turchia con al-Sarraj. Ma della ricostruzione di cui si è parlato maggiormente è stata senza dubbio quella relativa a Gaza. Il presidente turco ha affermato nel corso della conferenza stampa: “Coopereremo con l’Egitto per la ricostruzione di Gaza e ci opponiamo anche noi allo sfollamento dei palestinesi fuori della loro terra” .
Ma i due Paesi riusciranno realmente a collaborare per quanto riguarda la Palestina? A dividere i due Paesi potrebbe esserci proprio uno dei protagonisti dell’attuale conflitto: il Movimento di Resistenza Islamico, noto a tutto il mondo con il nome di Hamas.
I rapporti tra Egitto e Hamas
Nonostante nel corso dei vari conflitti tra Hamas e Israele l’Egitto si sia posto spesso come mediatore tra i due, i rapporti tra il movimento islamista e il governo al-Sisi non sono affatto positivi. Una delle motivazioni per cui al Cairo sono piuttosto restii nell’apertura delle frontiere che permetterebbe l’ingresso a milioni di profughi Gazawi è proprio il rischio di infiltrazioni di Hamas. Il movimento islamista nasce infatti nel 1982 come il braccio palestinese dei Fratelli Musulmani, gli stessi che al-Sisi ha classificato come un gruppo terrorista e perseguita dal 2013. Diverso è il punto di vista di Erdoğan, che considera i membri di Hamas dei combattenti per la libertà. Una posizione estremamente delicata per l’Egitto, che da un lato si trova nei panni quasi imposti del mediatore a causa della propria posizione geografica, dall’altra sogna un ruolo da protagonista nello scacchiere regionale, come la stessa Turchia. Verrebbe da dire “tra i due litiganti il terzo gode” se dovesse spuntarla un’altra volta il solito Qatar nella mediazione tra Hamas e Israele.
Non si sa se la restaurazione dei rapporti tra Egitto e Turchia possa essere d’ausilio nell’attuale situazione a Gaza, l’unica certezza è che bisogna trovare una soluzione per Rafah il prima possibile: un attacco via terra dell’esercito israeliano sull’area più densamente popolata al mondo comporterebbe un disastro umanitario senza precedenti.