A venticinque anni dall’omicidio del giornalista Slavko Ćuruvija e nove dall’inizio del processo, i quattro imputati indagati sono stati assolti dal Tribunale d’Appello di Belgrado.
Il 2 febbraio scorso il Tribunale d’Appello di Belgrado ha assolto quattro ex ufficiali dell’intelligence serba condannati per l’omicidio di Slavko Ćuruvija, proprietario e redattore di due giornali indipendenti, e strenuo oppositore del governo dell’epoca di Slobodan Milošević.
Ćuruvija fu freddato a colpi di arma da fuoco davanti al suo appartamento di Belgrado l’11 aprile 1999, ai tempi della campagna aerea della NATO in Kosovo, dopo aver accusato di crimini di guerra il regime di Milošević e della moglie Mira Marković, da molti ritenuta la mandante dell’omicidio. La sua uccisione divenne il simbolo della lotta per la libertà di stampa nella Serbia di Milosević.
I quattro imputati
I quatto imputati sono stati figure rilevanti della Državna bezbednost (DB), l’agenzia di sicurezza del Ministero degli Interni jugoslavo, erede della famigerata UDBA. Nello specifico: l’allora leader Radomir Marković, il capo del dipartimento di Belgrado della stessa agenzia, Milan Radonjić, e due operativi della DB Ratko Romić e Miroslav Kurak.
Il processo nei confronti dei quattro iniziò nel 2015, grazie agli sforzi della Commissione governativa per la verità sugli omicidi dei giornalisti in Serbia, fortemente voluta da Veran Matić, caporedattore di B92 ai tempi di Milošević, per gettar luce sugli omicidi di Slavko Ćuruvija, Dada Vujasinović e Milan Pantić.
Il processo
L’influenza politica degli ex esponenti del regime di Milošević ne inquinarono da subito il regolare svolgimento: il processo infatti non cercò mai di trovare i mandanti dell’omicidio, limitando le indagini ai suoi esecutori materiali. Le udienze inoltre furono caratterizzate da anomalie e incongruenze da parte dei testimoni, come amnesie improvvise o versioni dei fatti ribaltate.
Ad ogni modo nel 2019 fu emessa la sentenza di primo grado, che condannò i quattro imputati ad oltre cento anni di carcere in totale. Nel settembre di quell’anno la sentenza fu tuttavia rovesciata e il Tribunale d’Appello ordinò la ripetizione del processo, avvenuta a partire dall’ottobre 2020 e nel dicembre 2021, che riconfermò la decisione precedente per tutti e quattro gli imputati. Fino allo scorso 2 febbraio, quando la sentenza è stata annullata con l’assoluzione degli imputati. Pare comunque che la procura intenda presentare ricorso alla Corte Suprema – anche se, di fronte alla reiterata non colpevolezza dei quattro, le possibilità di un successo sembrano irrisorie.
I commenti
La sentenza del 2 febbraio ha generato scalpore in Serbia, a partire dalla protesta organizzata dalle associazioni di giornalisti tenutasi lunedì 5 febbraio davanti al Tribunale d’Appello di Belgrado, dove i manifestanti hanno osservato 25 minuti di silenzio a simboleggiare i 25 anni di altrettanto silenzio dall’omicidio Ćuruvija. Perica Gunjić della Fondazione Ćuruvija ha definito la sentenza una “decisione scandalosa”, che rappresenta “una sconfitta non solo per i giornalisti e la libertà di stampa, ma anche per l’indipendenza del sistema giudiziario e per lo stesso processo di democratizzazione”.
Il presidente serbo Aleksandar Vučić – già ministro dell’Informazione durante il regime di Milošević – si è dichiarato “scioccato” dalla decisione, che rappresenta “una grande ingiustizia e un fatto gravissimo per il paese”. La ministra della Giustizia Maja Popović si è detta “profondamente delusa” dalla decisione del Tribunale d’Appello, frutto di un sistema giudiziario che “non ha svolto la sua funzione”. La premier Ana Brnabić ha sottolineato che i procedimenti sono iniziati grazie all’arrivo al potere del presidente Vučić, dichiarandosi al contempo impossibilitata a commentare la decisione del Tribunale in virtù dell’indipendenza del potere giudiziario. Cercherà giustizia in veste di cittadina, ha aggiunto.
Secondo il Dipartimento di Stato americano il fatto che gli assassini di Ćuruvija restino impuniti dopo 25 anni “è scoraggiante”; Teresa Ribeiro, rappresentante dell’OSCE per la libertà di stampa, ha criticato la sentenza della corte, giudicandola “una delusione per l’intera società serba”. Jelena Ćuruvija, figlia di Slavko, ha affermato che l’ultima sentenza “invia un messaggio spaventoso” a giornalisti e cittadini, a riprova che “le forze oscure degli anni ’90 governano ancora la Serbia”.
Il buio mediatico della Serbia
Jelena Ćuruvija parla oggi di forze oscure che non se ne sono mai andate. Era il 2017 quando la Federazione Europea dei Giornalisti (EFJ) decise di inviare in Serbia una missione internazionale per monitorare le condizioni della libertà di stampa.
Simbolicamente, il giorno dopo l’assoluzione nel processo Ćuruvija, sulla televisione filogovernativa Pink, Aleksandar Vulin, ex direttore della BIA, l’agenzia che ha rimpiazzato la DB ed ex membro di spicco del partito di Mira Marković negli anni ‘90, ha dichiarato che il compito della sua generazione è quello di “riunire tutti i serbi ovunque essi vivano“, e che tale processo è già iniziato ed è inarrestabile. Una dichiarazione che sposa perfettamente la politica nazionalista del presidente Vučić e del suo alleato Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba in Bosnia Erzegovina.
All’inizio del processo Ćuruvija, il presidente Vučić aveva garantito che si sarebbe dimesso se i responsabili dell’omicidio non fossero stati trovati. E invece il presidente è ancora lì, che si autoproclama “scioccato”, mentre la sua Serbia, imbavagliata dall’intolleranza del suo leader verso la libertà di stampa, sprofonda sempre di più nel buio mediatico.
Foto: pagina FB della Fondazione Ćuruvija