Come previsto, a qualche mese dalle elezioni, la Macedonia del Nord elegge un nuovo governo tecnico guidato dall’albanese Talat Xhaferi.
Il governo della Macedonia del Nord si è dimesso in blocco cento giorni prima delle prossime elezioni legislative, lasciando il posto ad un esecutivo tecnico che guiderà il paese verso le elezioni. Il premier social democratico Dimitar Kovačevski lascia quindi il posto a Talat Xhaferi, finora speaker del parlamento, il primo albanese a guidare il paese. La formazione di un governo tecnico a cento giorni dalle elezioni non è una sorpresa, ma è una pratica originata nel 2015 da un accordo mediato dall’UE per porre fine all’allora crisi politica. Kovachevski aveva infatti già annunciato che avrebbe posto fine al suo governo in anticipo: l’accordo con i partner di coalizione prevedeva infatti che un esponente dell’Unione democratica per l’integrazione (DUI, uno dei partiti della minoranza albanese) avrebbe traghettato il paese verso le elezioni.
Del nuovo governo faranno parte inoltre due ministri dell’opposizione di centro-destra (VMRO-DPMNE). Le maggiori forze politiche del paese hanno inoltre stabilito che la data per le prossime elezioni sarà l’8 maggio, lo stesso giorno del secondo turno delle presidenziali.
La campagna elettorale
Entra nel vivo, dunque, la campagna elettorale che, salvo sorprese, dovrebbe sfociare nella vittoria della destra di VMRO-DPMNE. Il partito è stato al governo dal 2006 al 2017 sotto la guida di Nikola Gruevski. Accusato di avere posto la Macedonia del Nord sulla strada dell’autoritarismo, Gruevski è uscito di scena quando l’allora leader dell’opposizione, il social democratico Zoran Zaev, ha rivelato una serie di pratiche illecite perpetrate dal suo governo, tra cui intercettazioni, controllo dei media e brogli elettorali. Le rivelazioni hanno portato a diffuse manifestazioni popolari. Preso particolarmente di mira è stato “Skopje 2014”, il contestato progetto di “classicizzazione” della capitale macedone. Oltre all’ingente cifra spesa per realizzare trentacinque nuovi edifici e più di cento monumenti e sculture ispirate ad un fervente nazionalismo revisionista, ad essere criticate sono state in particolare le dubbie pratiche relative all’assegnazione e all’attuazione dei vari progetti. Tra le azioni simboliche dei manifestanti, la pittura lanciata contro i nuovi edifici costruiti dal governo VMRO-DPMNE ha diffuso il nome di “Rivoluzione colorata”.
Gruevski è fuggito in Ungheria dopo una serie di condanne per vari reati di natura economica. Accolto a braccia aperte dal premier ungherese Viktor Orbán, Gruevski ha messo in piedi attività commerciali di dubbia natura (nei primi cinque mesi di attività, la sua azienda I.C.I.C. Ltd, registrata in una casa abbandonata e senza segni di reale funzionamento, avrebbe in qualche modo incassato diecimila euro netti).
A mantenere a galla il VMRO-DPMNE, ora guidato da Hristijan Mickoski, e a farlo tornare in vetta ai sondaggi è stata in larga parte la frustrazione dei macedoni nei confronti del processo di integrazione euro-atlantica. Con l’accordo di Prespa, il paese, ricattato dal veto di Atene in vista dell’adesione alla NATO, ha cambiato nome in “Macedonia del Nord”. L’ingresso in UE è stato invece bloccato dalla Bulgaria, che non riconosce esplicitamente l’esistenza di una nazione e di una lingua macedoni. Il governo bulgaro ha infatti richiesto che nella costituzione macedone il gruppo nazionale bulgaro venisse riconosciuto come uno dei fondatori dello Stato macedone. La cosiddetta “proposta francese”, promossa da Emmanuel Macron nel 2022, ha quindi tentato di risolvere la diatriba alimentando forti malumori tra la popolazione, ormai sempre più scettica nei confronti di un’adesione che, malgrado i diversi sacrifici simbolici, è ancora molto lontana dal concretizzarsi.
Dimitar Kovačevski, alla guida dei social democratici – dati al secondo posto nei sondaggi – sta cercando di improntare la campagna elettorale sulla politica estera. Una scelta azzardata, considerata appunto la lentezza dell’integrazione euro-atlantica. “Non è un’elezione dove si hanno partiti (…) di centro-sinistra e partiti (…) di centro-destra. Nel nostro paese, ci saranno elezioni nelle quali i partiti politici filoccidentali si scontreranno con partiti politici che sostengono un chiaro orientamento orientale del paese”, ha dichiarato Kovačevski. Il riferimento è in parte a Levica, partito di estrema sinistra nato proprio dalla Rivoluzione colorata, e che sotto Dimitar Apasiev si è spinto sempre più verso posizioni affini all’estrema destra, in particolare in termini di etno-nazionalismo. Levica è l’unico partito – fatta eccezione per quelli della minoranza albanese (tra cui DUI, l’Alleanza per gli Albanesi, Alternativa e BESA) – che potrebbe avere una rappresentazione non esigua in parlamento oltre i due grandi poli dei socialisti e di VMRO-DPMNE, sempre secondo i sondaggi. Nato con l’intenzione di andare oltre la segregazione etnica dei partiti politici macedoni – puntando dunque a raccogliere i voti anche della numerosa minoranza albanese nel paese –, a seguito della virata a destra, Levica è al momento attrattivo solo per l’elettorato di etnia macedone.
Al momento sembra poco probabile che i social democratici riescano a ribaltare i risultati attesi. In caso contrario, si profilano lunghe trattative per arrivare ad un nuovo governo stabile (che alla Macedonia del Nord manca da qualche anno).
Foto: dal profilo Facebook di Dimitar Kovacevski