Proteste agricoltori Romania

ROMANIA: La protesta degli agricoltori riguarda anche noi

Le proteste degli agricoltori in Romania non si fermano, e si inseriscono nel più ampio quadro dello scontento agricolo europeo. Nel mirino della contestazione il Green Deal dell’UE e le importazioni di grano dall’Ucraina, due questioni che riguardano anche noi.

Le proteste

Il nuovo anno in Romania è iniziato nel segno della contestazione, con proteste e blocchi stradali che hanno raggiunto dimensioni preoccupanti per il governo di Bucarest. I principali protagonisti della protesta sono agricoltori e camionisti che, spinti dalle precarie condizioni economiche in cui riversano, chiedono di bloccare l’aumento dei prezzi per assicurazioni, carburanti e fertilizzanti.

Attraverso camion e trattori le proteste hanno interdetto il traffico in tutto il paese, concentrandosi soprattutto nelle città e nelle zone di confine. La scelta delle due zone in cui manifestare non è casuale, e ci ricorda la natura e le ragioni della protesta. Da una parte infatti, da sempre le città sono percepite come la controparte naturale delle campagne, come un centro ricco che subordina le periferie. Dall’altra, le zone di confine sono il simbolo di un commercio internazionale al quale, oggi, gli agricoltori romeni imputano l’aumento dei costi delle materie prime e l’instaurazione di un sistema di concorrenza sleale.

Gli agricoltori in Romania poi, trovano manforte nelle azioni portate avanti dai colleghi francesi e tedeschi che per primi hanno occupato strade e città dando inizio a una rivolta che si sta espandendo in tutto il continente. Partito da Parigi e Berlino, il mondo agricolo europeo vuole sfidare il nuovo corso intrapreso da Bruxelles in materia di politiche agricole. Il Green Deal, iniziativa lanciata dalla Commissione nel 2020 e subito definito “ecologia punitiva”, è percepito come un’iniziativa imposta dall’alto che non tiene conto dei reali bisogni dei contadini.

Nel corso della scorsa settimana il governo romeno, comprendendo le ragioni della protesta, ha deciso di tendere la mano ai rivoltosi. Marcel Ciolacu, Primo Ministro e leader dei socialdemocratici, ha messo sul piatto una misura da oltre 200 milioni di euro per sostenere l’agricoltura nazionale e, sulla stessa linea, il sindaco di Bucarest Nicusor Dan ha permesso ai trattoristi romeni di entrare nella capitale senza subire ritorsioni. Tuttavia, l’apertura politica verso le proteste non ha funzionato e – per ora – camionisti e agricoltori non sono tornati a casa.

La questione del grano e i rapporti con l’Ucraina

Potrebbe esserci un elefante nella stanza del governo romeno, una questione così complessa da non poter trovare soluzioni – per lo meno alle condizioni in cui ci troviamo oggi – e per la quale i contadini avrebbero deciso di non interrompere la protesta. Dall’inizio della guerra infatti, le materie prime provenienti dall’Ucraina sono smerciate a prezzi troppo bassi per essere sostenuti dagli agricoltori in Romania, che si sono ritrovati tra le mani prodotti non sufficientemente competitivi per essere venduti ai prezzi del passato. Questa contingenza ha riguardato anche i mercati di altri paesi Europei confinanti con la Repubblica Ucraina: come quelli di Polonia, Ungheria e Slovacchia, scatenando, anche in questi casi, la rabbia degli agricoltori locali.

Proprio per evitare pressioni eccessive sui prezzi l’Unione Europea ha vietato, da aprile a settembre dello scorso anno, le importazioni di grano dall’Ucraina ai quattro paesi dell’Europa Orientale. Ma come era prevedibile, una volta finito il blocco sono ricominciati i problemi che, nel giro di pochi mesi, hanno portato gli agricoltori a scendere in strada. Non è un caso dunque che i valichi di frontiera con l’Ucraina siano tutt’oggi i primi obiettivi nel mirino della contestazione.

Le misure emanate dal governo di Bucarest sembrerebbero quindi voler mettere una toppa su un problema troppo grande per essere ricucito con le sole politiche di economia nazionale. Rifiutare le importazioni di grano ucraino, o negoziare nuove condizioni, metterebbe la Romania in una posizione politicamente non sostenibile; tanto nei riguardi di Kiev quanto nei confronti di Bruxelles. Tuttavia, il PSD – Partito Social Democratico – non potrà restare a guardare, considerato il suo bacino di elettori, sproporzionatamente rurale. Se esacerbato, il malcontento degli agricoltori potrebbe prendere una piega politica e trasformarsi improvvisamente in sentimento anti-ucraino. Questa eventualità favorirebbe senza dubbio l’estrema destra guidata da George Simon e potrebbe condannare il partito di Ciolacu alla sconfitta nelle incombenti tornate elettorali – nel 2024 in Romania si terranno elezioni europee, locali e presidenziali.

Per chi vive ai confini della guerra quindi, le importazioni a basso costo provenienti dall’Ucraina sembrano fare più paura del Patto Verde europeo. Nel caso delle Romania, il legame tra la questione ucraina e il malcontento popolare apre prospettive che vanno ben oltre l’economia agraria e costringerà Bruxelles a volgere lo sguardo oltre i confini della Comunità.

Fonte immagine: Sito web Radio Free Europe

Chi è Livio Maone

Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all’Universitá di Roma Tre. Attualmente è studente magistrale all'Università di Bologna.

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