The Green Border di Agnieszka Holland apre stasera la selezione del concorso del Trieste Film Festival , già vincitore del premio speciale della Giuria alla scorsa Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Un titolo antitetico: il “green border” è il confine lievemente protetto tipico dell’area schengen, ma anche un termine che racchiude un colore, il verde; entrambi elementi che si dissolvono subito, dai titoli di inizio film. Location centrale del nuovo lungometraggio di Agnieszka Holland (che abbiamo intervistato a Venezia) è infatti il confine polacco-bielorusso, rafforzato e di fatto divenuto una zona militare nel 2021, e la scelta della “tavolozza” è il bianco e nero – che rende questo il primo lungometraggio non a colori di Agnieszka Holland a seguito delle sue esperienze alla FAMU come studentessa, anche se spesso ha utilizzato in opere storiche recenti una fotografia molto desaturizzata, come per i recenti In Darkness e L’Ombra di Stalin.
Attraverso tre filoni principali – una famiglia siriana, una psicologa che diventa attivista, una giovane guardia di frontiera – Agnieszka Holland mette in scena a tutto tondo l’effetto universalmente disumanizzante e degradante che hanno avuto le decisioni del governo Morawiecki in politiche di accoglienza migratoria. Un lungometraggio di finzione, certo, ma che si rende semi-documentaristico, attraverso la macchina a spalla, quasi una sfida di Holland al divieto governativo ai civili di entrare nella zona di confine e di riprendere materiale video su ciò che accade. Non potendo documentare direttamente il confine polacco-bielorusso, Agnieszka Holland ne ricostruisce una visione certamente soggettiva, ma basata su ricerche e testimonianze, riuscendo così ad ottenere una verosomiglianza notevole. Al punto che il bianco e nero si rende quasi necessario per cercare di distanziare lo spettatore, perché la drammaticità, la crudezza e la brutalità delle immagini stravolge e coinvolge come nessun altro film di Agnieszka Holland ha fatto, con la stessa forza che aveva Spielberg in Schindler’s List – il bianco e nero infatti pone una certa somiglianza tra la rappresentazione che avviene in The Green Border e l’estetica adoperata dal cinema che inscena l’Olocausto.
Il film di Holland, per quanto è difficile da digerire specialmente nella prima metà, lentamente si apre alla speranza di un futuro più ottimista. The Green Border si scaglia contro il governo al tempo ancora in carica e a ridosso delle elezioni vinte da Tusk, e così alla sua uscita nelle sale in Polonia nei primi di Ottobre faceva appello alla porzione di popolazione polacca delusa dal governo che si sentiva impotente di fronte al processo di de-democratizzazione che stava vivendo lo stato. La vittoria a Venezia è stata vista come una chiara minaccia da parte del governo uscente, i cui esponenti si scagliarono contro il film e contro la persona stessa di Agnieszka Holland – a Settembre, durante la nostra intervista, ci ha comunicato che il ministro della giustizia Zbigniew Ziobro l’aveva appena assurdamente paragonata a Goebbels, in quanto “al soldo dei tedeschi”.
Considerati i risultati delle elezioni in Polonia, si può affermare con certezza che The Green Border rivendica in tutto il potere del cinema come mezzo di militanza politica, una forza travolgente che negli ultimi decenni sembrava venire a meno, e che forse l’ultima volta che ha avuto un’influenza comparabile è stato nel 1988 proprio in Polonia, quando Breve film sull’uccidere di Krzysztof Kieslowski ha portato all’abolizione della pena di morte.
The Green Border verrà proiettato stasera al Trieste Film Festival. Il film verrà distribuito nelle sale italiane da Movies Inspired dall’8 Febbraio 2024.