L’11 gennaio a Istanbul i governi di Turchia, Bulgaria e Romania hanno firmato un accordo per la rimozione di mine navali russe dalle acque del Mar Nero. L’operazione rientra nel più ampio progetto di difesa del fianco orientale della NATO, e ci ricorda il ruolo centrale che quest’area ricopre nei rapporti tra Russia e occidente.
Le mine nel Mar Nero
Nelle prime fasi del conflitto russo-ucraino la marina militare russa ha posizionato centinaia di mine navali nelle acque territoriali della Repubblica Ucraina, rendendo difficile la navigazione in buona parte della costa nord-occidentale del Mar Nero. L’obiettivo del Cremlino era, ed è tutt’oggi, quello di ostacolare il commercio navale ucraino limitandone al massimo le esportazioni di grano verso i mercati eurasiatici. Nel giro di pochi mesi, alcune di queste mine sono finite nelle acque territoriali e nelle zone economiche esclusive di altri paesi dell’area – tra i cui quelle di Romania, Bulgaria e Turchia – dando rilevanza globale alla questione e gettando benzina su un fuoco che già non accennava a spegnersi.
Non c’è da sorprendersi quindi se negli ultimi mesi gli incidenti navali nel Mar Nero sono aumentati esponenzialmente, aprendo un tema di sicurezza che è tanto economico quanto politico, e che non riguarda solo Mosca e Kiev ma l’intera comunità internazionale. Ad esempio, come riportato da molte testate internazionali, il 28 dicembre scorso una nave cargo greca avrebbe urtato una di queste mine mentre viaggiava verso il porto ucraino di Izmail, sul Danubio, per ritirare un carico di quel grano che sembra unire i destini dell’Ucraina e dell’occidente. Il Comando Operativo delle Forze Armate ucraine ha subito imputato le responsabilità dell’incidente alla Russia, che invece non ha ritenuto di dover intervenire nella faccenda considerando, come più volte ribadito da Putin, qualsiasi nave in transito nel Mar Nero come un potenziale obiettivo militare.
L’accordo di Istanbul
Alla luce dei recenti avvenimenti, l’11 gennaio scorso alti funzionari della difesa di Turchia, Bulgaria e Romania si sono incontrati a Istanbul per affrontare il tema della sicurezza navale nelle rispettive acque territoriali, e in quelle internazionali, del Mar Nero. I paesi, tutti e tre membri della NATO, hanno trovato un accordo per iniziare la rimozione delle mine navali russe così da garantire il normale transito dei trasporti marittimi e rispettare il principio della libertà di navigazione. Inoltre, tramite un memorandum d’intesa è stato instituito il Mine Countermeasures Naval Group, un organismo sopranazionale che supervisionerà le operazioni di sminamento nei fondali e nelle superfici del Mar Nero.
Come si evince dalle dichiarazioni del ministro della difesa bulgaro Todor Tagarev, l’obiettivo dietro ad una tale operazione non è solamente economico e commerciale, e non riguarda i soli paesi che hanno sottoscritto il memorandum. Parlando al Consiglio Atlantico infatti, Tagarev ha sottolineato l’assoluta necessità di fronteggiare il dinamismo russo nel Mar Nero attraverso iniziative di questo tipo e ha invitato qualsiasi altro paese NATO ad aggiungersi alle operazioni. Le attività che prenderanno piede nei prossimi mesi, dunque, non riguarderanno solo i governi di Turchia, Bulgaria e Romania, ma rientreranno invece nel più ampio processo di deterrenza e difesa del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica.
Il ruolo della NATO nel Mar Nero e gli ultimi sviluppi
Nel 1952, con l’entrata della Turchia nella NATO, l’alleanza formatasi all’indomani della Seconda Guerra Mondiale posizionava le prime basi militari sulle coste del Mar Nero e, più in generale, poneva le basi per un allargamento verso oriente che già ai tempi faceva discutere dentro e fuori gli uffici di Bruxelles. Fino al 1991 tuttavia, grazie alla sua presenza in Georgia e in Ucraina, e all’influenza politica su Romania e Bulgaria, l’Unione Sovietica manteneva un saldo controllo su gran parte delle acque del “Lago russo” (o Lago sovietico), come veniva da alcuni definito all’epoca. Dopo il crollo dell’URSS e negli ultimi anni, con il processo di allargamento dell’Alleanza Atlantica, si è andati verso una condizione di parità strategica che non ha consentito ad alcuna delle potenze dell’area di esercitare un dominio assoluto.
A seguito dell’invasione russa del febbraio 2022, il governo ucraino ha cercato di coinvolgere le cancellerie europee nelle questioni politiche, economiche e militari che riguardano il Mar Nero, per rispondere alle azioni intraprese dalla Marina russa – come l’operazione di rilascio delle mine navali nelle acque ucraine – e limitarne la presenza militare. Questa posizione è stata ben espressa dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba che, senza lasciare spazio ad interpretazioni, ha dichiarato “la necessità di trasformare il Mar Nero in quello che è diventato il Mar Baltico dopo il 1991: un mare della NATO.”
Su questa linea, l’ultimo passo fatto dall’occidente per sostenere l’Ucraina è un accordo sottoscritto dalle forze armate NATO sotto la guida di Gran Bretagna e Norvegia, ufficialmente “Maritime Capability Coalition”, con l’obiettivo di formare una vera e propria marina ucraina sotto il controllo – più o meno diretto – dell’Alleanza Atlantica. Tuttavia, dalle spese militari che richiederebbe, alla legittimità politica che troverebbe nelle opinioni pubbliche occidentali, la realizzazione del progetto appare oggi tutt’altro che scontata.
Insomma, ancora una volta le acque del Mar Nero sembrano essere ben più tormentate di quelle dell’Atlantico, luogo di genesi della NATO, ma costringeranno Washington a navigarvici, svicolando tra una mina vagante e l’altra, per mantenere il timone del sistema internazionale.
Fonte immagine: profilo Twitter del Ministero della Difesa della Turchia