Nel luglio 2018, il presidente israeliano Reuven Rivlin e quello serbo Aleksandar Vucic intitolavano una strada del sobborgo belgradese di Zemun a Theodor Herzl, fondatore del sionismo. Si trattava della prima visita di un capo di stato israeliano in Serbia. Ma che legame ha Belgrado con il sionismo? Si tratta di una storia ben poco conosciuta.
Come scrive Ronen Schnidman sul Jerusalem Post, le radici intellettuali del sionismo politico risalgono a un pio rabbino sefardita di Zemun (Semlin), allora città di frontiera tra Ungheria asburgica e Serbia. Fu costui, Judah Ben Shlomo Hai Alkalai, maestro del nonno e del padre di Theodor Herzl, a piantare i semi dello Stato ebraico.
Le rivolte serbe come spunto per il sionismo politico?
Oggi riconosciuto come precursore del movimento sionista, Judah Alkalai resta figura poco nota. Ma le sue idee rivoluzionarie per il ritorno del popolo ebraico nella Terra di Israele hanno probabilmente avuto più influenza su Herzl che non il caso Dreyfus. Le origini di tali idee stanno, secondo Schnidman, nelle rivolte delle nazioni cristiane dei Balcani contro il dominio ottomano, e in particolare nella prima e seconda rivolta serba.
Nato nel 1798 a Sarajevo, Judah Alkalai discende da una famiglia rabbinica sefardita di lingua giudeo-ladina, giunta nella capitale bosniaca da Salonicco. Dopo la formazione rabbinica e gli studi coi cabalisti in Palestina, a 27 anni Alkalai viene nominato rabbino della comunità ebraica di Zemun, dove celebra per sefarditi e ashkenaziti.
Nel 1834 Alkalai pubblica a Belgrado Shema Yisrael (“Ascolta Israele”), in cui offre una radicale reinterpretazione della nota preghiera ebraica come comandamento di riunire in unità tutti i figli di Israele. Alkalai propone una sorta di congresso nazionale che supervisioni il ritorno del popolo ebraico alla terra dei suoi antenati, con la ricostituzione del Sinedrio a Gerusalemme o l’elezione di un leader politico.
L’affare di Damasco del 1840 convince Alkalai che gli ebrei abbiano bisogno di una terra propria per vivere in sicurezza, e che per il successo di tale impresa sia fondamentale il sostegno delle potenze europee e un fronte unito dei notabili ebrei d’Europa.
Lo stesso anno, Alkalai pubblica Minhat Yehuda (“L’offerta di Giuda”), in cui su basi cabalistiche indica per il 1840 l’inizio di un processo secolare di redenzione del popolo ebraico, avvertendo che in sua mancanza i cent’anni successivi sarebbero stati segnati dall’effusione dell’ira divina.
Nella stessa opera Alkalai propone un ritorno alle radici: il ripristino dell’ebraico come lingua nazionale, il recupero della Terra di Israele acquistandola come fece Abramo con la grotta e il campo di Machpelah, e l’agricoltura come base per rinnovato insediamento ebraico. Tali principi furono poi fatti propri dal sionismo politico d’inizio novecento.
Solo l’unità salva gli ebrei?
Nei primi scritti, Alkalai pone enfasi sulla necessaria unità nazionale del popolo ebraico per ottenere il ritorno in Terra d’Israele. “È facile riconciliare due stati, ma [difficile riunire] due ebrei!”, viene citato da Danilo Fogel in una cronaca della comunità ebraica di Zemun. Nonostante la sua opposizione al giudaismo riformato, Alkalai dava primazia al raggiungimento dell’unità nazionale.
Tale attenzione al tema dell’unità nazionale, piuttosto che di origine cabalistica, secondo Schnidman potrebbe derivare dall’influenza delle rivolte serbe contro gli ottomani, che portarono alla fondazione del Principato di Serbia nel 1817 e alla sua successiva indipendenza, con lo slogan nazionalista “Solo l’unità salva i serbi”.
Le rivolte serbe rappresentarono la prima rivolta di successo contro l’Impero Ottomano, che controllava la Terra d’Israele, 50 anni prima dell’emancipazione degli ebrei nei territori asburgici. Si interroga Schnidman: forse Alkalai ha preso spunto dal successo nazionale dei suoi vicini serbi? In effetti, la sua difesa della riunificazione e del ritorno del popolo ebraico nella Terra d’Israele aveva anche un’inclinazione molto pratica.
Il proto-sionismo di Judah Alkalai
“Sebbene basati sui valori dell’ebraismo e della Kabbala, i piani di Alkalai per il futuro del suo popolo in Terra Santa erano molto pratici“, afferma lo storico ebreo serbo Oliver Klajn. “Immaginò l’acquisto di terreni e la creazione di insediamenti composti principalmente da ebrei dell’Impero Ottomano, poiché avrebbero dovuto affrontare meno ostacoli legali rispetto agli ebrei provenienti da altri paesi”. Secondo Klajn, Alkalai fondò addirittura a Zemun una società dedicata al ritorno del popolo ebraico in Terra d’Israele, attiva nelle principali comunità ebraiche della Serbia.
Dal 1850, Alkalai iniziò a girare l’Europa per ottenere il sostegno ai suoi piani di reinsediamento da parte dei notabili ebrei d’Europa occidentale e dei governi europei. Ma le sue idee non trovarono sucesso: altri rabbini consideravano eretica la sua visione che l’azione umana potesse accelerare la venuta del Messia.
Grazie al sostegno dei cristiani sionisti, nel 1852 Alkalai fondò a Londra la Società per l’insediamento di Eretz Israel, di breve durata. Nel 1860 si unisce alla prima organizzazione ebraica per l’insediamento agricolo della Terra d’Israele, la Kolonisations-Verein für Palästina (Associazione per la colonizzazione della Palestina), fondata a Francoforte sull’Oder da Chaim Lorje; la società non raggiunge grandi risultati, e presto si disperde.
Nel 1871 Alkalai visitò Gerusalemme, dove fondò un’altra società di colonizzazione, di breve durata. A 76 anni, nel 1874, vi si trasferì assieme alla moglie. Morì nel 1878, pochi giorni dopo l’occupazione austriaca della sua nativa Sarajevo. E’ sepolto al Monte degli Olivi.
L’influenza di Judah Alkalai sulla famiglia Herzl
Originaria dei Sudeti o dell’Ungheria, la famiglia Herzl si trasferì nella Serbia austriaca dopo il 1718. Benché ashkenaziti, si mescolarono con le famiglie sefardite locali. Simon Leib Herzl, nonno di Theodor Herzl, era un rispettato commerciante e membro della comunità ebraica di Zemun. Il padre di Theodor, Jacob Herzl, crebbe a Zemun prima di trasferirsi a Budapest al tempo delle nozze. Theodor restò in contatto col nonno fino alla sua porte, quando il nipote aveva 19 anni e viveva a Vienna.
Simon e Jacob Herzl conoscevano bene le idee di Judah Alkalai. Il nonno di Theodor Herzl aveva studiato il suo libro Kol Kore (“Una voce che chiama”). che invocava il nazionalismo ebraico nel 1848, anno delle primavere dei popoli nella Mitteleuropa asburgica.
Secondo David Aberbach, professore della McGill University, il libro Der Judenstaat (“Lo stato ebraico”) di Theodor Herzl sarebbe stato influenzato da Goral L’Adonai (“Molto per il Signore”) di Alkalai, volume del 1857 in cui questi delinea un programma politico per unificare la comunità ebraica e ottenere il sostegno delle potenze mondiali a ristabilire una comunità ebraica nella Terra d’Israele. Alkalai suggerisce di fondare una società per azioni, per indurre gli ottomani a cedere la Terra d’Israele agli ebrei come paese tributario, similmente a come erano governati i Principati danubiani.
Come Alkalai, anche Herzl viaggiò attraverso l’Europa per raccogliere il sostegno di eminenti ebrei e non ebrei per la creazione di uno stato ebraico. La differenza è che Herzl riuscì a generare un reale interesse tra l’élite politica non ebraica in Europa e creò una duratura infrastruttura politica sionista all’interno della comunità ebraica.
Il sionismo dimenticato nella Jugoslavia interbellica
Diversi discendenti dei parenti di Theodor Herzl e del rabbino Alkalai che rimasero a Zemun sarebbero diventati membri di spicco del movimento sionista in Jugoslavia nel novecento. David Alkalai rappresentò gli ebrei serbi al Primo Congresso Sionista di Basilea nel 1897, e dal 1924 sarebbe stato presidente dell’Alleanza Sionista della Jugoslavia.
Il movimento sionista trovò terreno fertile nella Jugoslavia interbellica, e del 10% di ebrei jugoslavi sopravvissuti all’Olocausto, molti erano stati membri dei gruppi giovanili sionisti. Ma tale storia resta poco conosciuta.
“Il movimento sionista in Jugoslavia è stato grande e importante, ma sfortunatamente non ne sappiamo molto“, affermava al Jerusalem Post Barbara Panic, curatrice del Museo storico ebraico di Belgrado. Ciò anche per via dell’agenda politica del periodo titoista, che minimizzava il particolarismo comunitario nella lotta contro il nazifascismo.