ebrei iraniani
Cimitero ebreo a Teheran

IRAN: il cammino delle comunità giudeo-persiane (4)

Continuiamo l’ultima parte del cammino degli ebrei iraniani sul suolo iraniano dalla seconda guerra mondiale fino alla rivoluzione del 1979.

L’abdicazione forzata di Reza scià Pahlavi da parte degli Alleati nel 1941 stimolò un maggiore coinvolgimento politico degli ebrei, per la maggior parte gravitante verso i movimenti di sinistra. Se gli intellettuali ebrei iraniani furono respinti dai partiti ultranazionalisti a causa delle evidenti influenze ideologiche naziste e fasciste, furono attratti dal campo di sinistra principalmente per ragioni di classe. Il partito “Tudeh” era un movimento di classe, formatosi subito dopo l’abdicazione di Reza scià, radicato nell’intellighenzia e nella classe operaia industriale, che comprendeva lavoratori ebrei e di altre etnie. Giovani uomini e donne ebrei erano attivi nel partito Tudeh e partecipavano a riunioni e manifestazioni clandestine. Alcuni di loro sono stati arrestati e imprigionati per le loro attività e torturati dalle autorità. Intellettuali ebraico-iraniani si impegnarono sia in attività nazionaliste che sioniste, sostenendo il primo ministro Mosaddeq e il tentativo di nazionalizzare la “Anglo-Iranian Oil Company”. Il partito Tudeh rimase attivo nella politica iraniana fino al colpo di stato orchestrato dalla CIA nel 1953 per rovesciare il primo ministro Mosaddeq, democraticamente eletto dagli iraniani, e per reintegrare lo Scià dopo la sua fuga a Roma.

Dall’altra parte con l’ascesa di Moḥammad Reza Scià Pahlavi (R. 1941-79), un’intera generazione di laureati dell’AIU di formazione francese era pronta a partecipare alla campagna di industrializzazione del Paese, e gli ebrei iraniani trovarono la loro strada praticamente in ogni settore delle nuove o fiorenti arene intellettuali, artistiche, finanziarie e commerciali del Paese. Rabi Moshfeq Hamadani, laureato all’AIU, divenne il direttore del Keyhan (come la più grande casa editrice di giornali e riviste dell’Asia centrale e del nord Africa) nel 1941. Soleyman Haim compilò quello che a tutt’oggi rimane il più popolare dizionario bilingue persiano-francese e persiano-inglese. Alla caduta dello scià, nel 1979, gli ebrei iraniani avevano assistito a un’ascesa senza precedenti nello status sociale e nella prosperità economica, con esempi come quello di Habib Elghanian come principale produttore di plastica e alluminio del Paese “Plasco”; il “Rayco Technique Industrial Group”, “Iran Margo Trading Company” e “Agrifarm Machinery” come maggiori distributori di macchine agricole e pompe petrolifere e industriali dell’Asia centrale e del nord Africa; e la “Kashmiran Corporation” come uno degli unici tre produttori di lana cashmere al mondo.
Si riferisce a quest’epoca come l’epoca d’oro delle relazioni ebraico-iraniane, quando gli ebrei godevano di un’autonomia culturale e religiosa quasi totale, sperimentavano un progresso economico senza precedenti e avevano più o meno gli stessi diritti politici dei loro compatrioti musulmani. Il loro ruolo nella vita economica, scientifica e professionale era sproporzionato rispetto alla loro quota nella società. Potevano benissimo essere stati una delle comunità ebraiche più ricche del mondo. Erano sovrarappresentati tra la popolazione studentesca del paese e nel corpo docente universitario, tra i medici e altri professionisti.

Revoluzione del 1979

Con la crescita dei movimenti rivoluzionari e di protesta, crescevano anche la tensione e il risentimento verso la comunità ebraica, e il cameratismo tra gli intellettuali di sinistra ebrei e musulmani cominciò a dissiparsi. Tra i più convinti sostenitori dell’ideologia rivoluzionaria furono il partito Mojahedin e l’intellettuale iraniano Ali Shariati (il principale ideologo della Rivoluzione iraniana del 1979). Shariati presentava la storia biblica di Caino e Abele come paradigma della società e della lotta di classe, con Caino che rappresentava l’élite oppressiva e Abele le masse oppresse. Dio mandò il profeta a fondare una società giusta e senza classi o come la chiamò Shariati “nezam-e towhidi” (letteralmente ordine monoteistico ovvero la società senza classi). Pertanto, secondo Shariati, il messaggio dei veri Imam sciiti è resistere all’oppressione in ogni tempo e luogo.

Infatuati di Shariati e Khomeini, i giovani attivisti abbandonarono il vecchio nazionalismo liberal-secolare per un atteggiamento più religioso, radicale e antiamericano, e invocarono la lotta armata. I membri fondatori dei Mojahedin, leggevano molti testi, tra cui il Corano e opere marxiste, oltre all’opera di Amar Ouzegane, “Le Meilleur Combat”, che adottarono come manuale principale. Ouzegan sosteneva che “l’Islam è una dottrina socialista-democratica rivoluzionaria e che la religione e la lotta armata sono necessarie per resistere all’imperialismo.” Di conseguenza, il profeta Mohamed e i suoi legittimi successori, i primi leader sciiti, sono stati inviati da Dio per correggere l’oppressione di classe e la disuguaglianza generate dall’evoluzione storica. Pertanto, i martiri sciiti, sono stati reimmaginati come rivoluzionari moderni come Che Guevara.

Di conseguenza, gruppi di estrema sinistra si formavano nei campi palestinesi e avevano una forte presenza nei campus universitari, dove le svastiche erano scarabocchiate sui muri. Gli storici offrono diverse spiegazioni, tra cui l’eredità del sentimento antiebraico in Iran, l’incredibile successo socioeconomico degli ebrei dovuto alle politiche dello Scià, le difficoltà economiche e i classici cliché antisemiti secondo cui gli ebrei sono artefici dell’economia mondiale, e la forte legame della comunità ebraica con Israele. Un altro fattore importante era la natura dogmaticamente islamica dell’ideologia rivoluzionaria.

Dopo la revoluzione

Il 9 maggio 1979, Habib Elghanian divenne il primo privato cittadino ad essere giustiziato dal tribunale rivoluzionario della Repubblica Islamica dell’Iran. Questo evento divenne rapidamente un fattore di ulteriore precipitazione dell’emigrazione della comunità ebraica iraniana, di cui si stima che circa 60.000 membri avrebbero lasciato il Paese negli ultimi 40 anni. Di questi, la percentuale maggiore si è stabilita nel sud della California, mentre un’altra parte consistente si è trasferita a New York. Il segmento successivo più numeroso si trasferì in Israele.

Oggi in Iran vivono circa 25.000 ebrei, che continuano ad avere un rappresentante in Parlamento, e ci sono ancora venticinque sinagoghe funzionanti, in circa quindici città sparse in tutto il Paese, molte delle quali con scuole ebraiche. La stragrande maggioranza di loro vive a Teheran, mentre il numero delle comunità più antiche, come Isfahan e Hamadan, si è ridotto a poche centinaia. Scuole ebraiche, sinagoghe e altre organizzazioni sociali non politiche continuano a funzionare nel Paese, rendendo gli ebrei iraniani la più grande comunità di ebrei dell’Asia Centrale e del nord Africa, al di fuori dello Stato di Israele, ad aver vissuto costantemente sulla stessa terra per gli ultimi due millenni e sette secoli.

 

Foto: www.tabletmag.com

Chi è Emad Kangarani

Nato nel 1985 a Teheran, giornalista e scrittore, nel 2011 si trasferisce a Milano per continuare gli studi presso l'università Cattolica. Al momento è docente d'inglese in una scuola superiore a Milano. Collabora con East Journal dal settembre 2022 dove si occupa dell'Iran

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