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BALCANI: Tra Kosovo e Serbia la fine della guerra delle targhe e quel sottile filo che non si spezza

Con una decisione per certi versi inattesa, il governo serbo ha stabilito che dal primo gennaio di quest’anno le auto con targa kosovara potranno entrare in Serbia senza obbligatoriamente coprire i simboli statali, secondo quanto previsto fin dal 2021. È la fine della “guerra delle targhe”.

Il rispetto del principio di reciprocità

A stretto giro, con una delibera emanata il 4 gennaio scorso, il Kosovo ha formalizzato un’analoga decisione comunicandola con una nota ufficiale in cui si parla di “atto di buon vicinato” facendo soprattutto riferimento a una decisione maturata solo “dopo che la Serbia ha pienamente riconosciuto le targhe del Kosovo”. Il richiamo, evidente, è a quel principio di reciprocità così caro al premier kosovaro, Albin Kurti, al punto da averne fatto un elemento cardine della propria politica verso il vicino serbo.

Non è un caso che nelle stesse ore lo stesso Kurti vi abbia fatto esplicito richiamo, facendo anche maliziosamente riferimento al presunto “rispetto della reciproca sovranità”. Presunto perché il governo serbo nell’annunciare la propria risoluzione aveva anche tenuto a rimarcare che essa non andava inquadrata come implicito riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.

Era stato Petar Petković, capo dell’ufficio governativo serbo per il Kosovo, a sottolineare quest’aspetto configurando la risoluzione del proprio governo come “un’opportunità di natura pratica allo scopo di facilitare la circolazione”. Né più, né meno. Nonostante questa precisazione, è innegabile che il premier kosovaro sia il vero “vincitore” della disputa e che il suo voler insistere sul principio della reciprocità abbia alla fine costretto la Serbia ad addivenire a più miti consigli. Almeno su questo punto.

Breve storia di una disputa grottesca e tragica

Le risoluzioni di questi giorni mettono fine a una disputa che nel suo apparire financo paradossale ha avuto risvolti drammatici. Un braccio di ferro iniziato nell’autunno del 2021 allorquando Pristina, richiamando proprio il principio della reciprocità, impose ai veicoli con contrassegno serbo in arrivo nel Paese di posizionare targhe kosovare provvisorie recanti la dicitura “Repubblica del Kosovo” come condizione per poter entrare in Kosovo.

Una decisione simmetrica a quella intrapresa dal governo serbo all’indomani della nascita del Kosovo indipendente, nel 2008; e una decisione che fin da subito aveva scatenato scontri e tensioni nel nord del paese dove la popolazione di etnia serba ancora possedeva auto immatricolate in Serbia. Uno scontro che coinvolse i massimi livelli istituzionali con la reazione stizzita dal presidente serbo, Aleksandar Vučić, che arrivò a definire la mossa di Pristina una “azione criminale”.

L’apice della crisi si ha però un anno dopo, nel novembre del 2022, quando in segno di protesta per l’imposizione voluta in estate dal governo Kurti di forzare la re-immatricolazione di tutte le auto con targa serba recanti denominazione di città kosovare, i leader della Lista Serba – la principale forza politica dei serbi del Kosovo, legata a doppio filo al governo di Belgrado – annunciarono le dimissioni dei serbi dalle istituzioni politiche, giudiziarie e di polizia del Kosovo; scelta condivisa dai sindaci di quattro municipalità del nord del paese che rimisero contestualmente il proprio mandato.

È il preludio del drammatico evolversi del 2023 in cui gli accordi di Ohrid di febbraio rappresentano l’unico lampo di speranza, tanto ambizioso quanto illusorio. Sono bastate poche settimane, infatti, per capire che quel patto era solo carta straccia, senza una reale volontà di progredire nel percorso virtuoso che esso tracciava. Gli scontri di maggio seguiti alla nomina di quattro sindaci albanesi nei comuni “dimissionari” hanno causato una escalation inarrestabile, culminata con i fatti di Banjska. Si sono rivisti i morti ammazzati per le strade e le truppe lungo i confini, per qualche settimana Kosovo e Serbia sono tornate a danzare sull’orlo – pericolosissimo – di un conflitto vero e proprio. Una crisi faticosamente mediata dalla comunità internazionale e da un’Unione europea sempre più balbettante e marginalizzata.

La guerra delle targhe è stata dunque lo sfondo, il file rouge che ha tenuto insieme tutti gli eventi più drammatici che si sono dipanati negli ultimi anni. La sua conclusione è la prima buona notizia che arriva da quel fronte da un po’ di tempo a questa parte; un filo sottilissimo cui aggrapparsi, sebbene non ci sia da farsi troppe illusioni in merito alla possibile distensione delle relazioni bilaterali nel medio periodo. Tutti i segnali, anche quelli più recenti, dimostrano inequivocabilmente che il percorso di normalizzazione delle relazioni serbo-kosovare sarà ancora lungo e tortuoso. E che, soprattutto, il suo esito è ad oggi tutt’altro che scontato.

Foto: Euronews.com

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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