Il 2023 in Bosnia ed Erzegovina lascia numerosi nodi politici da sciogliere. Nella Republika Srpska continua la politica secessionista di Milorad Dodik, con la minaccia di frantumare ciò che resta degli Accordi di Dayton. A livello statale la stagnazione politica e l’inflazione rimangono da affrontare, mentre il paese resta in attesa dell’apertura dei negoziati di adesione all’Ue.
La sfida di Dodik all’Alto rappresentante e alle istituzioni statali
Milorad Dodik, presidente dell’entità a maggioranza serba del paese, la Republika Srpska, non ha accennato a placare la sua retorica nazionalista e secessionista (se ne avrà ancora visione nei prossimi giorni per l’annuale e incostituzionale “Giornata della RS” il 9 gennaio). Ulteriori sanzioni di Stati Uniti e Gran Bretagna non sembrano averne intaccato le posizioni. Lo scorso novembre i portali e i siti web istituzionali della RS (registrati da una società americana) sono stati oscurati, per poi esser nuovamente registrati nella vicina Serbia con dominio .rs.
Continua anche il braccio di ferro tra Dodik e l’Alto Rappresentante Christian Schmidt, iniziato due anni fa. Lo scorso luglio, Dodik ha sfidato apertamente Schmidt, rifiutando per decreto di dare seguito alle sue disposizioni nel territorio dell’entità. La Republika Srpska ha anche rifiutato di applicare le sentenze della Corte Costituzionale statale. Il processo contro Dodik, che rischia fino a cinque anni, è stato di nuovo rimandato al 17 gennaio.
Un’atmosfera sempre più cupa nella Republika Srpska
Oltre alla disobbedienza contro Alto Rappresentante e Corte Costituzionale, nell’entità a maggioranza serba il 2023 ha portato leggi di stampo illiberale. La prima, approvata il 20 luglio, reintroduce sanzioni penali per diffamazione e pone in serio pericolo la libertà d’espressione, esponendo giornalisti e media a censura e ripercussioni legali per le opinioni espresse.
La seconda, ancora in discussione, si ispira apertamente a quanto già in vigore in Russia, e costringerebbe le associazioni della società civile che ricevono finanziamenti dall’estero a registrarsi come “agenti stranieri“. L’obiettivo è di rendere sempre più difficile operare a progetti e istanze non allineate politicamente con il governo di Banja Luka.
Intanto, l’aumento del costo della vita dovuto all’inflazione e le difficoltà economiche in cui versa l’entità hanno reso quasi totalmente inefficace il recente aumento del salario minimo, che nel 2024 raggiungerà i 900 marchi (circa 450 euro). Stando ai dati raccolti, la maggior parte dei residenti nella Republika Srpska non percepirà alcun sollievo.
Bosnia e Ue, la rincorsa dei negoziati
A livello statale, Dodik ha continuato a tirare il freno alle riforme. Un pacchetto legislativo è stato adottato la scorsa estate (con emendamenti sull’integrità dei magistrati, la prevenzione della tortura, e l’immigrazione) ma le principali riforme per lo stato di diritto rimangono al palo. A fine anno, Dodik ha fermato l’adozione di una normativa antiriciclaggio, con il rischio che la Bosnia Erzegovina finisca di nuovo tra gli osservati speciali delle istituzioni internazionali (Moneyval e FATF).
Il nodo principale per la politica bosniaca resta l’apertura dei negoziati di adesione all’Ue dopo aver ottenuto lo status di Paese candidato a fine 2022. Nelle conclusioni allargamento dello scorso 12 dicembre, il Consiglio UE ha rimarcato le persistenti carenze strutturali in materia di tutela dei diritti e rispetto delle minoranze.
Al Consiglio europeo del 16 dicembre, mentre i 27 hanno deciso di aprire i negoziati di adesione con Ucraina e Moldavia, per la Bosnia Erzegovina la decisione è stata rimandata al mese di marzo 2024. Ancora una volta, Sarajevo sembra essere rimasta vittima dell’inefficienza e della mancanza di lungimiranza della propria classe politica.
I Balcani nel limbo della politica di allargamento europea
L’apertura dei negoziati con l’Ucraina e la Moldavia ha dimostrato un forte slancio politico dell’UE verso est. Non sembra esserci altrettanto slancio verso i Balcani occidentali, dove l’apertura formale dei negoziati con Macedonia del Nord e Albania non ha ancora portato a una svolta.
Mentre il Montenegro resta invischiato nell’instabilità politica, in Serbia i negoziati di adesione sono condizionati alla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo. Ma dopo l’attacco di Banjska a settembre, il dialogo tra Belgrado e Pristina è nuovamente in salita nonostante la mediazione europea.
Da parte UE persiste la mancanza di una visione chiara su come arrivare al 2030 come data di un possibile allargamento ai Balcani occidentali. Senza una road-map ben definita, il rischio è di aumentare la frustrazione della società civile e favorire al contrario emigrazione e brain drain.
Foto: Fokus.ba