Nell’ultimo anno e mezzo la mobilitazione di nuovi soldati voluta da Vladimir Putin per sostenere la sua guerra contro l’Ucraina ha prodotto una vera e propria diaspora russa in Asia centrale. Sono infatti migliaia i renitenti alla leva russa che hanno trovato riparo nelle periferie dell’ex impero sovietico. Questa ondata migratoria di ritorno nei territori un tempo sotto l’influenza del Cremlino ha alimentato tensioni con la popolazione locale come nel caso del Kazakhstan dove lo scontro si è amplificato sul piano della lingua, della memoria storica e dell’identità nazionale, enfatizzando narrazioni fortemente polarizzate da entrambe le parti.
La paura è un sentimento antichissimo e potente perché «è più contagiosa della peste e si comunica in un baleno». Ne era convinto Nikolaj Vasil’evič Gogol’-Janovskij, presago della fuga senza fine che ogni essere vivente intraprende nel mondo, tormentato com’è dall’ansia della morte e della sofferenza. E proprio la paura deve essere stata l’emozione predominante che dal 22 febbraio 2022 ha affollato i pensieri e la mente di migliaia di cittadini russi terrorizzati dalla possibilità di essere richiamati da un giorno all’altro sotto le armi per combattere la nuova guerra di conquista intrapresa da Vladimir Putin in Ucraina.
Parallelamente alla fuga della popolazione ucraina dopo l’invasione delle truppe del Cremlino, la paura della guerra ha spinto anche migliaia di renitenti alla leva russi ad abbandonare la loro madrepatria per evitare di finire al fronte. Nei primi sei mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, i russi che hanno lasciato il proprio paese sono stati più di 400 mila. Due settimane dopo l’annunciata mobilitazione parziale del 21 settembre 2022, il numero di espatriati era salito a quota 700 mila. La meta principale di questo flusso di migranti in cerca di un rifugio sicuro nelle periferie di un ex impero oramai in decadenza è stato il Kazakhstan.
I cittadini russi sono stati in grado di attraversare il confine che la Russia condivide con il gigante centrasiatico – e che rappresenta oggi la più estesa linea di demarcazione terrestre continua fra due stati esistente al mondo – mostrando semplicemente il proprio documento d’identità grazie agli accordi di ingresso stretti fra paesi euroasiatici. Tuttavia, questa massiccia ondata migratoria ha generato notevoli cambiamenti nella società e nell’economia kazaka: dalla variazione dei prezzi delle case e di beni di consumo sino alla competizione sul piano culturale e commerciali che ha riacceso vecchie tensioni tra colonizzatori e colonizzati.
Nei confronti dei migranti provenienti dalla Federazione russa, le popolazioni locali del Kazakistan hanno reagito con una varietà di risposte emotive che contemplano non solo i fisiologici timori legati al fenomeno della migrazione tout court; ma lasciano emergere in modo piuttosto marcato un’intransigenza dal sapore decisamente post-coloniale, alimentata dal timore che i nuovi arrivati potessero presto o tardi disconoscere le conquiste raggiunte dall’ex repubblica sovietica dopo l’indipendenza, aspirando a diventare di nuovo padroni in casa d’altri.
La presenza russa in Kazakhstan tra divergenze e pragmatismo
Incastonato nel cuore dell’Eurasia, il Kazakistan confina per migliaia di chilometri con Russia e Cina, mentre non molto lontano dai suoi confini a sud e a sud-ovest si trovano Turchia e Iran, le cui influenze culturali sono significative, complici anche le affinità religiose (la maggioranza della popolazione kazaka è musulmana sunnita).
Alla caduta dell’Unione Sovietica in Kazakhstan erano presenti in numero paritario – poco meno del 40% della popolazione – etnie d’origine russa ed etnie di origine kazaka che rappresentano ancora oggi i due principali gruppi etnici nel Paese. Dopo il 1991 una buona parte della popolazione kazaka optò per la cittadinanza russa, soprattutto gli individui emigrati durante gli ultimi rantoli del periodo sovietico; questa scelta provocò un conseguente aumento in percentuale delle popolazioni autoctone penalizzando le popolazioni di ultima immigrazione come i russi e gli ucraini. Oggi, la popolazione di etnia kazaka è infatti salita al 70 per cento.
L’attuale composizione etnica del Kazakhstan ha fatto sì che l’ondata di migrazione scaturita dalla mobilitazione ordinata da Mosca, catalizzasse una conversazione a lungo attesa sulla memoria storica del popolo kazako e sulla conseguente percezione dell’estero vicino russo. In particolare, il ricordo di eventi tragici legati al passato sovietico come la carestia del 1930-33 che uccise 1,5 milioni di persone rendendo l’etnia kazaka minoritaria nel Paese (dopo la carestia la popolazione di origine autoctona passò dal 60 per cento al 38 per cento), hanno rinvigorito il fronte dei movimenti decoloniali già critici con il Cremlino per la guerra in Ucraina.
Ma è stata la presenza visibile dei migranti russi in territorio kazako, cagionata indirettamente dall’invasione dell’Ucraina, a scatenare nella popolazione autoctona una crescente indignazione per le reazioni dei russi alla cultura e alle infrastrutture locali. E così l’impulso decoloniale ha portato alla rinascita della lingua kazaka non solo tra i kazaki etnici, ma anche tra i russi etnici che vivono in Kazakistan. Questo atteggiamento ha reso estremamente disomogenea la società kazaka a tal punto che quando i renitenti alla leva russi sono arrivati nel Paese la differenza tra i russi kazaki e i russi della madrepatria è divenuta sorprendentemente chiara.
Il saper parlare kazako è diventato un modo per marcare le differenze e dividere le persone; ad esempio, quando i russi affermano che il Kazakistan è un posto più facile in cui trasferirsi perché lì le persone sanno parlare russo, la popolazione kazaka non condivide affatto simili affermazioni poiché conglie in questo atteggiamento l’ignoranza imperiale di chi continua a non considerare la lingua kazaka come un vettore culturale autonomo e slegato dall’’influenza russa.
Reverse Migration e identità nazionale
L’esodo russo che sta interessando il Kazakhstan e altri territori dell’Asia centrale, oltre a rappresentare una via d’uscita veloce e indolore per coloro che vogliono lasciare la Russia – perché non richiede né un visto né un passaporto con valenza internazionale – pone più interrogativi che certezze sul futuro delle relazioni tra i due Paesi. In particolare, sul versante russo, questo fenomeno di Reverse Migration che ha invertito la classica dinamica migratoria dalla periferia al centro, potrebbe provocare diversi problemi sul piano economico e politico-culturale. Per quanto riguarda il primo aspetto, il fatto stesso che i milioni di abitanti dell’Asia Centrale, i quali solitamente sarebbero emigrati in territorio russo in cerca di lavoro e di possibilità di vita migliori non varcheranno più il confine a causa della guerra, potrebbe generare una scarsità di manodopera in Russia sul lungo periodo.
Sul piano politico, invece, l’insofferenza della popolazione kazaka, unita alla superficiale mentalità imperiale russa, potrebbe sicuramente facilitare la costruzione di narrazioni vòlte a rafforzare un’identità nazionale esclusiva da entrambi le parti. D’altronde, il Kazakhstan da quando è iniziata la guerra in Ucraina ha ampiamente dimostrato una buona dose di determinazione e autonomia nell’assicurare che nessuno dei suoi cittadini in territorio russo, o con doppia cittadinanza, rischiasse di finire fra i riservisti dell’esercito esponendosi particolarmente con Mosca.
La grande ondata migratoria russa in Kazakhstan dimostra chiaramente come l’inevitabilità della geografia spesso non sia di per sé sufficiente a costruire a tavolino affinità culturali unilaterali. Per il gigante centroasiatico, proseguire nel processo di estrazione di un’identità indipendente dall’influenza della Russia, rimanendo consapevoli dei realistici rapporti di forza e rispettivi interessi in gioco tra i due Paesi, significa tutelare la propria indipendenza e sovranità senza cedere a logiche di tipo dicotomico; difatti, la cooperazione nelle relazioni russo-kazake sia a livello bilaterale che multilaterale, non è stata mai messa in discussione. Bisognerà vedere se a Mosca lasceranno che il grande stato dell’Asia centrale giochi con libertà la propria partita nella regione oppure cercheranno di legarlo a sé anche a costo di complicare le relazioni bilaterali.