Albania Meloni

ALBANIA: Congelato l’accordo Meloni – Rama, storia di un paradosso politico

È presto per dire se i primi ministri italiano e albanese, Giorgia Meloni e Edi Rama, si siano venduti la famigerata pelle prima del tempo. Ma certo la disposizione con cui la Corte costituzionale albanese ha deciso – il 13 dicembre scorso – di congelare la ratifica del protocollo d’intesa italo-albanese sul trasferimento dei migranti è un ostacolo in più sul suo cammino.

Il ricorso delle opposizioni e la decisione della Corte costituzionale

Un atto dovuto da parte della Corte, a fronte di due ricorsi – presentati separatamente dal Partito Democratico albanese guidato da Lulzim Basha e da un gruppo di deputati della medesima compagine, “Rifondazione”, che fa capo all’ex primo ministro Sali Berisha – che ne chiedeva la sospensione richiamando, tra gli altri, l’articolo 121 della Costituzione che sancisce che il protocollo di intesa debba essere preventivamente autorizzato dal Presidente della Repubblica prima della ratifica parlamentare, in quanto concernente questioni di natura territoriale.

Una decisione giunta sul filo di lana, quella della Corte, dato che il voto parlamentare era previsto già per l’indomani; voto che dovrà invece attendere il pronunciamento finale, dovuto entro tre mesi dalla data di presentazione del ricorso, il 6 marzo dell’anno prossimo dunque. È assai probabile, tuttavia, che non si debba aspettare così tanto, visto che la decisione potrebbe giungere già nel corso della prossima riunione plenaria della Corte, programmata per il 18 gennaio venturo, a Tirana.

Il paradosso

Ma a questo punto, l’esito della vicenda appare addirittura ininfluente, per entrambi i protagonisti, Meloni e Rama. Un paradosso solo apparente: il risultato politico, infatti, è già in tasca, quello che con ogni probabilità interessava più di ogni altra cosa, sia all’una che all’altro.

Meloni ha dato un segnale forte al proprio bacino elettorale e, soprattutto, all’interno della sua stessa maggioranza su un tema identitario di importanza centrale da quelle parti. Quand’anche dovesse arrivare lo stop definitivo, potrà sempre rivendicare d’averci quanto meno provato e di fronte alla gran parte dell’opinione pubblica italiana saranno del tutto ininfluenti le dichiarazioni delle opposizioni evocanti la vera o presunta “figuraccia internazionale”: non è così per i suoi elettori, consolidati o potenziali che siano, e questo Meloni lo sa. Non male in vista delle imminenti elezioni europee.

Rama, da par suo, ha potuto accreditarsi come interlocutore affidabile e disponibile a livello internazionale, elemento dirimente nel lungo e faticoso percorso di avvicinamento all’Unione europea, tema tornato centrale proprio in queste settimane con la discussione del “Pacchetto Allargamento Ue 2023”. Una conclusione indirettamente confermata dalle dichiarazioni della presidente della Commissione europea, Ursula Von der Layen, che aveva definito l’accordo italo-albanese come un esempio di “equa condivisione delle responsabilità con i Paesi terzi, in linea con gli obblighi previsti dal diritto internazionale e dell’Ue”. Se non una benedizione, poco ci manca.

E l’aplomb con cui Rama ha preso atto della decisione della Corte costituzionale albanese che ha “il diritto di esaminare un accordo con uno stato estero” sembra dimostrare che – dal canto suo – il più è fatto, anche internamente; col risultato di far apparire l’attivismo delle opposizioni su questo tema al pari di una reazione isterica, aprioristica e – persino – contraria al bene del paese.

Lo strano asse tra Meloni e Rama darà i suoi frutti politici, questo è certo, per entrambi. Ed è in questo contesto che va letta la presenza del primo ministro albanese alla convention di Fratelli d’Italia ad Atreju di sabato scorso, accolto da una vera e propria ovazione. Un Rama indifferente alle critiche piovutegli addosso da chi, a sinistra, è giunto addirittura a chiederne l’espulsione dalla famiglia dei socialisti europei, tanto per restare in tema di isteria. La posta in gioco è un’altra, un altro è l’obbiettivo, il resto non conta nulla.

Il resto è contorno: le leggi internazionali, la carta costituzionale, i diritti delle persone coinvolte, dette in ordine inverso d’importanza. Ciò che dovrebbe essere il cuore della discussione, diventa cornice, sfondo, rumore di fondo irrilevante. Una disumanizzazione e una spersonalizzazione che non è di Meloni o di Rama, ma di questa Europa, di queste società, di questi anni.

(Foto: avvenire.it)

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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