Una delle conseguenze dell’invasione russa é stata una radicale trasformazione del panorama politico ucraino. Molti dei vecchi politicanti di un tempo, dal presidente uscente, Petro Poroshenko, alla vecchia gloria, Yuliya Tymoshenko, sono usciti dai radar, mentre altre personalità, come la squadra di comando strutturata intorno al presidente Volodymyr Zelensky hanno acquisito potere e popolarità. Tra queste indubbiamente c’è Oleksiy Arestovich, un personaggio dal passato fatto di ombre – come spesso accade in Ucraina – e un presente caratterizzato da quello che in un contesto di pace definiremmo populismo politico.
Arestovich é passato da essere il consigliere per la comunicazione strategica di Zelensky all’inizio dell’invasione, al primo a sfidare la popolarità artificiale che la guerra ha dato in dono al presidente ucraino. Non solo, Arestovich ha lanciato la sua sfida politica da una posizione che apre ai negoziati con la Russia e che promette protezione dei diritti dei russofoni. Ma chi è Arestovich e perché ha reso pubbliche le sue ambizioni politiche proprio ora che le elezioni saranno probabilmente rimandate a causa della guerra?
Chi e’ Arestovich?
Nato in Georgia da padre polacco di Bielorussia e madre russa, Arestovich rappresenta tutta la complessità delle multiple identità dell’Ucraina. Solo di qualche anno più vecchio di Zelensky, negli anni 90 ha lavorato negli apparati dell’intelligence militare dell’Ucraina appena divenuta indipendente. All’attività militare negli anni ha abbinato il teatro, la carriera da attore minore e, pur non avendo un titolo di studio in materia, seminari di psicologia.
Divenuto blogger, con la rivoluzione del 2014 è diventato un personaggio relativamente noto a livello nazionale, presentandosi come esperto militare nelle numerose apparizioni televisive. Con la relativa fama sono venuti anche incarichi a livello governativo, seppur di carattere minore, durante la presidenza Poroshenko. Il vero salto di qualità è arrivato però con l’ascesa di Zelensky. Nel 2020 è diventato consigliere e speaker dalla delegazione ucraina nel gruppo trilaterale di Minsk e successivamente consigliere in materia di comunicazione strategica nel campo della sicurezza e difesa nazionale.
Tra nazionalisti e Dugin
Una pagina piuttosto controversa della sua biografia riguarda la vicinanza ad ambienti di estrema destra e le sue visite a Mosca alla corte di Dugin. Nel 2005, infatti, Arestovich si unisce a Bratstvo (Fratellanza), partito di estrema destra. Il leader è Dmytro Korchynskyi, uno dei personaggi più ambigui all’interno del panorama di estrema destra nazionalista ucraina, che ha preso parte alla prima guerra in Cecenia schierandosi contro l’esercito di Mosca.
La rivoluzione arancione però scombina le carte in tavola e l’estrema destra si trova nella difficile posizione di dover cercare nuovi alleati contro il governo Yushenko, atlantista ed europeista. Bratstvo cerca la protezione dell’oligarca Medvedchuk, molto vicino a Putin e il Cremlino, ma non solo. Per alcuni anni Korchynskyi e i suoi stringono legami formali con il movimento eurasista di Aleksandr Dugin, pensatore di estrema destra, sostenitore delle ambizioni imperiali della Russia e della sua nuova espansione lungo i confini dell’impero sovietico. Proprio una foto di Korchynskyi e Arestovich a Mosca durante uno degli incontri del movimento duginiano è riemersa di recente, generando non pochi dubbi sulla reale posizione di Arestovich.
Il più famoso propagandista di Zelensky
L’inizio dell’invasione russa ha cambiato la vita di milioni di ucraini, e Arestovich non è un’eccezione. Con i carrarmati russi arriva anche la grande visibilità e popolarità. Arestovich infatti è una delle colonne portanti della strategia mediatica dell’amministrazione di Zelensky e diventa uno dei personaggi più seguiti dagli ucraini.
Il compito principale è quello di tenere alto il morale della popolazione, anche se questo significa – come più volte dichiarato dallo stesso Arestovich – fare quello che fa la propaganda, mentire, distorcere la realtà, minimizzare le problematiche e enfatizzare a dismisura i successi.
Un ruolo nel quale Arestovich si è trovato più che a suo agio. Nelle sue dirette quotidiane all’inizio del conflitto Arestovich aveva assicurato gli ucraini che la situazione fosse sotto controllo, che le forze russe stavano per collassare e che la guerra sarebbe finita nel giro di poco con la vittoria del bene sul male.
Il suo successo nel plasmare un messaggio ottimista, nel rassicurare la popolazione era andato di pari passo con la sua personale popolarità. Quando la guerra entrava nella sua prima estate, solo Zelensky aveva un’ approvazione popolare più alta.
La sua ascesa vertiginosa è stata però seguita da un altrettanto precipitosa caduta. Il prolungarsi della guerra ha innacquato il messaggio ottimista dei primi mesi. La sua narrazione è diventata sempre più in contrasto con l’amministrazione presidenziale e la sua ‘difesa’ della lingua russa indigeribile per buona parte dell’opinione pubblica. Infine, sono arrivate le sue dimissioni, nel gennaio 2022.
Il ritorno della politica
Il consolidamento della società e la depoliticizzazione delle differenze linguistiche e regionali, che lo stesso Arestovich ha inizialmente promosso, sono iniziate a deteriorare con il prolungamento della guerra e lo sfumare dell’ottimismo iniziale. La politica a cui eravamo abituati prima dell’invasione sta infatti tornando in scena e con lei anche la lotta per accaparrarsi quella fetta di elettorato che votava i vari partiti filo-russi (o russofoni). Prima della ‘grande guerra’, infatti, quei partiti contavano su un sostegno del 20% della popolazione e la loro abolizione in seguito all’invasione ha creato un vuoto che nuove figure, tra cui Arestovich, stanno ora cercando di colmare.
Nonostante cambiamenti significativi dall’inizio della guerra, l’Ucraina rimane un paese linguisticamente e culturalmente eterogeneo e la questione linguistica, se stimolata dai politici opportunisti di turno, potrebbe diventare di nuovo un tema politico. A sottolinearlo sono i numerosi scandali emersi di recente, come quelli provocati dalla scrittrice Larysa Nitsoi e dalla linguista Iryna Farion che in circostanze diverse si sono scagliate pubblicamente contro i soldati ucraini che parlano russo.
Un nuovo servo del popolo, ma quale?
La questione linguistica e la difesa dei diritti dei russofoni, infatti, è quello su cui punta Arestovich che ha lanciato ufficialmente la sua sfida a Zelensky. La questione però non ha trovato spazio nel suo programma di 14 punti, pubblicato a inizio novembre sul suo seguitissimo canale Telegram. Un misto tra ultra-liberismo economico e populismo personalistico, la nuova piattaforma politica di Arestovich, che è ora impegnato a creare un partito che porterà il suo nome, non rappresenta niente di nuovo nella politica ucraina. La novità infatti, sta solo nella sua critica aperta a Zelensky.
Nelle numerose interviste rilasciate di recente, Arestovich parla ora apertamente delle tendenze autoritarie di Zelensky, dell’accentramento del potere intorno al presidente, della crescente corruzione all’interno dell’amministrazione presidenziale e della soppressione di ogni forma di opposizione. Proprio per questo, a detta sua, lui stesso si trova attualmente all’estero senza una data precisa di ritorno.
Il punto forse ancora più delicato però è la sua critica delle ingerenze e degli errori dell’amministrazione nelle questioni militari e strategiche. Un punto certamente caldo visti gli sviluppi negativi della controffensiva estiva e la crescente stanchezza della guerra la cui fine sembra ancora molto lontana.
L’ufficializzazione delle sue ambizioni politiche arriva non a caso in concomitanza con un calo del sostegno nei confronti di Zelensky nel più ampio contesto della nuova ondata di crescente sfiducia (anche se ancora non ai livelli pre-guerra) nelle istituzioni, dalla presidenza al governo e al parlamento.
Una soluzione senza soluzione
Non sorprende, infatti, che proprio sulla naturale stanchezza della società, afflitta da quasi due anni di guerra, stia ora puntando Arestovich. La fine della guerra, infatti, è forse il tema più difficile da affrontare oggi in Ucraina. E anche se secondo i recenti sondaggi la stragrande maggioranza degli ucraini rimangono contro concessioni territoriali in cambio della fine delle ostilità, una qualche forma di congelamento del conflitto non sembra oggi così impossibile come lo era qualche mese fa.
Arestovich è di fatto l’unico politico che punta direttamente in quella direzione, proponendo un (improbabile) ingresso nella NATO in cambio della temporanea cessione dei territori occupati. La questione territoriale, secondo lui, dovrà poi essere risolta una volta che Putin non risiederà più nel Cremlino. Una soluzione senza soluzione per una campagna elettorale senza elezioni. Per ora.