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SERBIA: In arrivo il gas dall’Azerbaijan, i cerchi concentrici di un accordo strategico

Nel corso di un incontro avvenuto a Baku il 15 novembre scorso, Serbia e Azerbaijan hanno siglato un memorandum d’intesa che prevede, tra l’altro, la fornitura di gas naturale dal paese asiatico. L’accordo è stato firmato dalla ministra serba delle Miniere e dell’Energia, Dubravka Đedović Handanović, e dal ministro dell’Energia azero, Parviz Shahbazov, e annuncia la vendita da parte della compagnia petrolifera azera, Socar, di quattrocento milioni di metri cubi di gas naturale alla società del gas serba, Srbijagas, entro la fine del 2024.

A margine della riunione Đedović Handanović ha esplicitamente parlato di “accordo strategico”, espressione che – nel caso specifico – appare quanto mai pertinente. Come cerchi concentrici, infatti, sono almeno tre le ragioni che configurano l’intesa come tale, non solo per la Serbia ma anche per l’Europa.

Il primo cerchio, la Serbia

Il primo cerchio – il più stretto – attiene, ovviamente, la Serbia. Il paese, infatti, consuma annualmente circa tre miliardi di metri cubi di gas naturale, motivo per cui la prevista fornitura azera costituirà poco meno del 15% del suo fabbisogno complessivo.

Azerbaijan e Serbia hanno, tuttavia, già pianificato un ulteriore incremento per portare il flusso di gas a un miliardo di metri cubi entro il 2026, aumento tanto più necessario in considerazione dell’atteso impulso dei consumi nazionali, calcolato in quattro miliardi di metri cubi l’anno entro il 2030. In pochi anni, quindi, il gas azero soddisferà il 25% della domanda in Serbia.

Il secondo cerchio, la Serbia in prospettiva europea

L’accordo serbo-azero è – come si diceva – strategico, così come strategica è la dipendenza della Serbia dal gas russo. E’ questo il secondo cerchio, quello che si allarga oltre i confini nazionali inquadrando la Serbia in prospettiva europea e contestualizzandola nel suo futuribile ingresso nell’Unione europea. Negli ultimi decenni, infatti, la Serbia ha progressivamente affidato le chiavi della fornitura del proprio gas al colosso energetico russo Gazprom cedendogli, tra l’altro, il 50% delle quote azionarie della Nafta Industrija Srbije (NIS), la compagnia statale dell’Oil and Gas con sede a Novi Sad. Sodalizio peraltro confermato lo scorso anno, quando Belgrado e Mosca hanno sottoscritto un’intesa di lungo termine per la consegna di gas russo suscitando più di un biasimo da parte di Bruxelles.

La firma del 15 novembre scorso, dunque, oltre a configurarsi nell’ambito del “raggiungimento del nostro obiettivo strategico di diversificare le fonti di approvvigionamento” come dichiarato da Đedović Handanović, sembra voler inviare un segnale distensivo all’Europa; una “compensazione” per la mancata adesione della Serbia alle sanzioni internazionali imposte alla Russia dopo l’aggressione all’Ucraina.

Allo stato sembra improbabile prevedere un vero e proprio dietrofront nelle relazioni bilaterali russo-serbe – come peraltro dimostrato dalla recente intesa tra il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e l’omologo serbo, Nikola Selaković, in merito a “consultazioni reciproche” nel campo della politica estera – quanto, piuttosto, il tentativo di trovare un difficile (impossibile?) equilibrio tra le richieste della UE e i rapporti con la Russia di Vladimir Putin. Ciononostante, la mossa di Belgrado in campo energetico lascia preconizzare un possibile incrinamento della partnership, quanto meno nel medio periodo.

Il terzo cerchio, l’Europa

Lo sa bene l’Europa, e siamo al terzo cerchio, quello che si estende a livello continentale e fors’anche oltre; Europa che infatti ha cercato – e tuttora cerca – di incunearsi in queste crepe. Non è ovviamente un caso che il gasdotto di interconnessione Serbia-Bulgaria, ovvero l’infrastruttura necessaria per far confluire il gas azero in Serbia, sia stato finanziato a fondo perduto dall’UE e dalla Banca Europea per gli Investimenti per circa cinquanta milioni di euro, cui si è aggiunto un prestito di altri venticinque.

All’inaugurazione dei lavori per la realizzazione dell’opera, nel febbraio dello scorso anno, avevano tra l’altro partecipato il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e quello bulgaro, Rumen Radev, anche questo un segnale significativo. Lunga oltre centosettanta chilometri, la condotta collega Sofia, in Bulgaria, con Niš, in Serbia e ha una portata nominale di quasi due miliardi di metri cubi l’anno; un ulteriore tassello per l’Europa nella costruzione del complesso puzzle necessario per l’acquisizione di quell’emancipazione energetica che, con ogni evidenza, costituirà una delle partite geopolitiche più importanti degli anni a venire.

A sottolinearlo è stata anche Kadri Simpson, Commissaria europea per l’energia, certa che l’opera “favorirà l’indipendenza e la diversificazione energetica della regione” e quindi di tutto il continente. La Serbia, infatti, potrà fungere da paese di transito, consentendo l’arrivo del gas azero in Montenegro, Albania e Croazia e, più in generale, in tutta l’Europa centrale.

I rischi

Con la Serbia diventano otto gli stati che complessivamente si approvvigionano di gas dall’Azerbaijan, inclusa l’Italia che dai giacimenti sul Caspio ha importato, solo nel 2022, circa dieci miliardi di metri cubi di gas tramite la Trans Adriatic Pipeline (TAP), parte del cosiddetto “corridoio sud”. Una fetta importante della nostra domanda interna, che si aggira intorno ai settanta miliardi di metri cubi.

Nel febbraio scorso il presidente azero, Ilham Aliyev, aveva annunciato che entro il 2027 l’Azerbaijan avrebbe raddoppiato la fornitura complessiva all’Europa, come concordato nel memorandum d’intesa per un partenariato strategico nel campo dell’energia con l’UE, rassicurando in merito al fatto che i giacimenti esistenti potessero garantire un flusso ininterrotto per altri cento anni e che la messa in servizio di altri pozzi era prevista nell’immediato futuro. Non solo gas, peraltro, ma anche energia proveniente da fonti rinnovabili – dai parchi eolici e solari dislocati in Azerbaijan – e trasportata in Europa con collegamenti elettrici anche sotto le acque del Mar Nero.

Il ruolo del paese asiatico, dunque, sembra destinato a diventare sempre più centrale per l’Europa in un futuro che è già iniziato. Dopo quella dalla Russia, tuttavia, l’ipotesi di cadere in una nuova dipendenza energetica rischia di farsi concreta. Rischio tanto maggiore se rapportato alle peculiarità sociopolitiche dell’Azerbaijan e alle incertezze legate alla disputa del Nagorno-Karabakh con la vicina Armenia; fattori che espongono il paese alla possibilità di conflitti e instabilità. Un’eventualità di cui tener conto per non cadere negli stessi errori del passato.

Foto: en.trend.az

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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