Tito Pavlović

LIBRI: “Tito. L’artefice della Jugoslavia comunista”, biografia politica scritta da Vojislav Pavlović

di Simone Malavolti

“Gli scrittori di biografie particolari – scriveva Lev Tolstoj in Guerra e pace – intendono la forza che muove i popoli come un potere proprio degli eroi e dei dominatori”.

Chi tra noi non si è mai lasciato affascinare e rapire dalla vita di personaggi storici come Federico II, Napoleone o Garibaldi, attribuendo loro poteri da eroi, supereroi o, al contrario, demoni o pazzi che, come si dice, “fanno la Storia”? Ma chi o che cosa fa la storia? Quante volte tendiamo a ricondurre i grandi fenomeni storici alle azioni di singoli andando a ricercare nei meandri delle loro biografie le spiegazioni di fenomeni storici di ampio respiro? Le biografie di grandi personaggi storici restano però affascinanti perché ci permettono di immedesimarsi o per lo meno sentire la concretezza della storia che, limitata a grandi concetti, rischia di inaridirla o di ridurla a schematismi o meccanicismi altrettanto riduttivi.

Non cade in questo errore Vojislav Pavlović nel suo “Tito. L’artefice della Jugoslavia comunista“, pubblicato nel 2023 in Italia da Rubbettino. Un saggio che ripercorre la vita di un uomo “intrinsecamente legato alla storia jugoslava in quanto simbolo e leader indiscusso della Jugoslavia comunista”. Ed infatti fin dal principio che l’autore, storico della Jugoslavia novecentesca, mette in guardia dalle difficoltà, non di reperire le fonti, ma di “individuare il personaggio in un labirinto di discorsi, documenti diplomatici e interviste” dal momento che la vita di Tito divenne essa stessa “principale sostegno dell’ideologia jugoslava”. Fu infatti un’idea di Tito quella di commissionare nel 1953 al celebre storico Vladimir Dedijer la sua biografia ufficiale (Josip Broz Tito: prispevki za življenjepis, 1953). Un testo considerato da Pavlović, “fonte per una storia di propaganda piuttosto che per la biografia di Josip Broz”. Una vita leggendaria, infatti quella di Tito, divenuta nel tempo oggetto di centinaia di pubblicazioni, dagli anni settanta ad oggi, in diverse lingue e con diverse interpretazioni.

Il saggio, di appena cento pagine e scritto in maniera semplice e diretta, è una lettura utile a chi è interessato ad approfondire il personaggio di Tito, ma anche e soprattutto al rapporto tra lui e la sua principale creazione politica: la Jugoslavia. Come suggerito dal sottotitolo, è infatti questa una biografia politica che, al di là dei brevi incisi sulle relazioni familiari, non lascia particolare spazio alle vicende più intime. L’autore riesce a districarsi nella ricostruzione fattuale sfatando alcuni falsi miti sia dei sostenitori che dei detrattori. La prima parte, quella dedicata alla sua formazione personale e politica fino al conflitto mondiale è certamente la più aderente ad una vera narrazione biografica. Qui, oltre ai cenni sulle umili origini, Pavlović ripercorre la formazione umana e politica che dal sindacato lo porta a Mosca come membro del Partito Comunista Jugoslavo. È qui, ad esempio, che propone una delle questioni più controverse: come sia sopravvissuto alle purghe staliniane diversamente dal suo diretto superiore Milan Gorkić o della moglie Lucie Bauer. Senza dare adito a dietrologie, Pavlović dà una risposta che può deludere i più: “semplicemente, forse, per il fatto che non era a Mosca quando l’epurazione era in pieno svolgimento” [p. 28]. Ma aggiunge un elemento importante, il fatto che non si fosse mai integrato nella società sovietica gli evitò di essere percepito da Stalin come potenziale “quinta colonna” in seno al partito sovietico.

Nel 1940 Tito rientra in patria e vi torna da comunista con una solida formazione leninista-stalinista e con l’idea che la guerra imperialista crea le condizioni per la rivoluzione proletaria, il vero obbiettivo. Un’idea che guiderà lui e il suo entourage almeno fino al 1948. A partire dal conflitto mondiale, la sua biografia si sovrappone, inevitabilmente, a quella del Partito Comunista Jugoslavo e quindi della Jugoslavia socialista. La sua figura, seppur rilevante sia nel conflitto bellico che negli anni successivi, resta al centro ma in una narrazione inevitabilmente corale. Le note biografiche, al di là di brevi cenni al rapporto col figlio Miša e con la celebre moglie Jovanka, quasi scompaiono. Dominano la scena i rapporti con gli altri membri comunisti interni, come Aleksandar Ranković, Milovan Djilas e Edvard Kardelj e quelli diplomatici tra Est e Ovest. Centrale è la descrizione del tentativo di Tito e quindi della Jugoslavia di sopravvivere alla morsa di Stalin e dell’Urss, cercando il sostegno finanziario nell’Occidente attraverso l’immagine di un socialismo diverso e non allineato. Emerge dunque la statura del Tito statista piuttosto che quella intima della persona. Manca, e stupisce, un’analisi della costruzione del culto della personalità che tanto influenza ancora oggi l’immaginario di molti, sia nei paesi ex jugoslavi che al di fuori, e che avrebbe aiutato a comprendere il divario tra la persona e il personaggio, oltre che a comprendere la forza della propaganda (su cui dovremmo riflettere a lungo tutti).

Nelle conclusioni Pavlović “assolve” Tito dalla disgregazione dello Stato jugoslavo e ridimensiona la persona: “Tito è certamente una grande figura storica del XX secolo, ma il suo operato non poteva durare perché le sue basi erano dovute alla particolare configurazione geopolitica dell’Europa del suo tempo. La Jugoslavia, la prima come la seconda, fu creata come il minimo comune denominatore per le nazioni che la componevano. […] La Jugoslavia si è disgregata perché non era più necessaria dopo la scomparsa del pericolo sovietico” [p. 100].

Le conclusioni di Pavlović, che toccano il punto nevralgico di qualsiasi contemporaneo, fanno dunque riflettere sul ruolo dei Grandi nella storia e fanno risuonare ancora una volta le parole di Tolstoj: “finché si scrive la storia di singoli personaggi e non la storia di tutti, di tutti, senza esclusione, gli uomini che hanno partecipato a un dato avvenimento, non v’è possibilità di descrivere il moto dell’umanità senza il concetto d’una forza che obbliga la gente a dirigere la sua attività verso un medesimo scopo. E l’unico concetto del genere noto agli storici è quello di potere”. Un concetto, quello del potere, ben chiaro sia al protagonista di questa biografia che al suo autore.

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