Traduciamo una riflessione della scrittrice ebrea tedesco-americana Deborah Feldman, autrice di Unorthodox, apparsa sul Guardian.
Vivo in Germania ormai da quasi un decennio, ma le uniche persone con cui ho potuto discutere del conflitto in Medio Oriente sono israeliani e palestinesi. I tedeschi tendono a troncare ogni tentativo di conversazione costruttiva con la tanto apprezzata frase che l’argomento “è troppo complicato”. Di conseguenza, la comprensione che ho raggiunto sugli sviluppi geopolitici degli ultimi tre decenni è il risultato di conversazioni private, al sicuro dagli occhi critici di una società tedesca desiderosa di predicare come qualsiasi critica a Israele sia antisemita.
Ho anche scoperto che una relazione transazionale definisce la rappresentanza pubblica degli ebrei in Germania – e oscura le opinioni di una maggioranza invisibile di ebrei che non appartengono a comunità sostenute finanziariamente dallo Stato tedesco, e non sottolineano costantemente la singolare importanza della lealtà incondizionata allo Stato di Israele. A causa dell’enorme potere esercitato dalle istituzioni e dalle comunità ufficiali, le voci non affiliate vengono spesso messe a tacere o screditate, sostituite da quelle più forti di tedeschi i cui complessi di colpa per l’Olocausto li portano a feticizzare l’ebraismo fino al punto di incarnarlo in modo ossessivo-compulsivo.
Quando di recente ho pubblicato un libro su questa diffusa sostituzione degli ebrei in Germania da parte di opportunisti determinati, la reazione è stata indicativa: un giornalista che scrive per un giornale ebraico tedesco ha attribuito tutto all’odio verso Israele e al mio presunto stress post-traumatico come donna fuoriuscita dalla comunità ultraortodossa. Lo spettro dell’eredità ebraica viene costantemente sfruttato per ottenere potere, perché l’ebraismo stesso è sacro e intoccabile.
Come la maggior parte degli ebrei laici in Germania, sono abituata all’aggressione diretta contro di noi da parte del “giudaismo ufficiale”, potente entità sostenuta dallo Stato. Gli spettacoli teatrali che ricevono standing ovation a New York e Tel Aviv vengono cancellati in Germania per suo volere, gli autori vengono disinvitati, i premi vengono ritirati o rinviati, i media vengono posti sotto pressione affinché escludano le nostre voci dalle loro piattaforme. Dal 7 ottobre chiunque critichi la risposta tedesca ai terribili attacchi dell’organizzazione terroristica Hamas è soggetto a un’emarginazione ancora maggiore del solito.
Quando ho osservato come i palestinesi, e i musulmani in generale, in Germania fossero ritenuti collettivamente responsabili degli attacchi di Hamas, ho firmato una lettera aperta insieme a più di 100 accademici, scrittori, artisti e pensatori ebrei, in cui chiedevamo ai politici tedeschi di non rimuovere gli ultimi spazi sicuri rimasti in cui le persone possano esprimere il loro dolore e la loro disperazione. Ci fu una reazione immediata da parte della comunità ebraica tedesca ufficiale. Il 1° novembre, proprio mentre stavo per apparire in un talk show televisivo con il vicecancelliere Robert Habeck, mi è stato inviato lo screenshot di un post in cui lo stesso giornalista ebreo tedesco che ha attaccato il mio libro discuteva pubblicamente delle sue fantasie su di me come ostaggio a Gaza. Mi ha gelato il sangue nelle vene.
All’improvviso tutto mi è apparso chiaro. Le stesse persone che avevano chiesto a ogni musulmano in Germania di condannare gli attacchi di Hamas per ottenere il permesso di dire qualsiasi altra cosa erano d’accordo con le morti di civili, purché le vittime fossero persone con opinioni opposte. Il sostegno incondizionato del governo tedesco a Israele non solo gli impedisce di condannare la morte dei civili a Gaza, ma gli consente anche di ignorare il modo in cui gli ebrei dissenzienti in Germania vengono incolpati come capri espiatori, come avviene in Israele.
Le persone che sono state orribilmente assassinate e profanate il 7 ottobre appartenevano al segmento laico e di sinistra della società israeliana; molti di loro erano attivisti per la convivenza pacifica. E’ stata loro negata la protezione militare a favore dei coloni radicali in Cisgiordania, molti dei quali sono militanti fondamentalisti. Per molti israeliani liberali, la promessa di sicurezza da parte dello Stato per tutti gli ebrei si è rivelata selettiva e condizionata. Allo stesso modo in Germania, la protezione degli ebrei è stata interpretata selettivamente in modo da applicarsi esclusivamente a coloro che sono fedeli al governo nazionalista di destra di Israele.
In Israele, gli ostaggi nelle mani di Hamas sono visti da molti come già morti, un sacrificio necessario e importante solo nella misura in cui possono essere utilizzati per giustificare la guerra violenta che la destra religiosa stava aspettando. Per i nazionalisti israeliani, il 7 ottobre è stato il loro personale Giorno X, l’inizio dell’adempimento della profezia escatologica di Gog e Magog, l’arrivo di una guerra per porre fine a tutte le guerre e a tutti i popoli stranieri. Molte delle famiglie delle vittime del 7 ottobre hanno chiesto la fine di questo ciclo di orrore, odio e violenza, e hanno implorato il governo israeliano di non cercare vendetta in loro nome – ma non trovano ascolto in Israele. E poiché la Germania si considera alleata incondizionata di Israele a seguito dell’Olocausto, coloro che detengono potere e influenza nella sua società cercano di stabilire condizioni simili per il suo discorso pubblico in patria.
Alcuni degli ostaggi nelle mani di Hamas hanno cittadinanza tedesca. Quando ho chiesto a un politico della coalizione al potere quale fosse la posizione del governo nei confronti di quelle persone, sono rimasto scioccata. La sua risposta, in privato, è stata: Das sind doch keine reinen Deutschen, ossia quelli non sono tedeschi puri. Non usò altri termini perfettamente accettabili per riferirsi ai tedeschi con doppia cittadinanza, non usò nemmeno aggettivi come richtige o echte per indicare che non erano tedeschi a tutti gli effetti – usò invece il vecchio termine nazista per distinguere tra ariani e non ariani.
Quello stesso politico di centrosinistra strombazza in pubblico la posizione filo-israeliana della Germania nei media in ogni occasione, ma allo stesso tempo sembra fare l’occhiolino all’estrema destra antisemita dipingendo la Germania come impossibilitata se non ad accettare le richieste di Israele, anche se il risultato dei suoi bombardamenti comportano una massiccia perdita di vite civili a Gaza.
C’è da sorprendersi che gli ebrei in Germania temono che l’ossessione del paese per Israele abbia più a che fare con la psiche tedesca che con il loro senso di sicurezza e di appartenenza?
All’inizio di questo mese, Habeck ha registrato un video da statista sull’antisemitismo, in cui assicurava ai tedeschi che riconosceva la primaria importanza della protezione della vita ebraica. Molti lo interpretarono come un tentativo di rafforzare le sue credenziali di leadership; certamente si è trattato di un chiaro tentativo di occupare uno spazio retorico che il cancelliere Olaf Scholz e importanti ministri come Annalena Baerbock hanno vistosamente e preoccupantemente lasciato vuoto.
Non avevo preparato il discorso di 10 minuti che ho rivolto a Habeck durante la mia apparizione televisiva, ma a seguito di quel terribile screenshot è successo qualcosa. Ho messo da parte gli appunti e ho detto tutto, con il cuore che ora batteva così forte che potevo sentirlo nelle orecchie, con il respiro corto e la voce tremante. Ho detto tutto quello che avevo nel cuore e in testa: disperazione per questa guerra infinita e per la nostra impotenza di fronte ai suoi orrori; paura del collasso della nostra civiltà a causa del crescente indebolimento del sistema di valori che la tiene insieme; dolore per la divisione di un discorso che rompe i legami tra amici, famiglia e vicini; frustrazione per la palese ipocrisia usata per mettere a tacere le voci critiche; e sì, la mia delusione nei confronti dello stesso Habeck, che era stato un vero faro di speranza per gli elettori come me nel suo percorso non convenzionale verso il successo politico.
Ho pensato ai sopravvissuti all’Olocausto che mi avevano allevato e alle lezioni che avevo imparato dalla letteratura di sopravvissuti come Primo Levi, Jean Améry, Jorge Semprún e molti altri. Ho implorato il vicecancelliere di capire che l’unica lezione legittima che dobbiamo imparare dagli orrori dell’Olocausto è la difesa incondizionata dei diritti umani per tutti, e che solo applicando i nostri valori in modo selettivo e condizionato li stiamo già delegittimando.
Ad un certo punto gli ho detto: “Dovrai decidere tra Israele e gli ebrei”. Perché queste cose non sono intercambiabili, e talvolta addirittura contraddittorie, poiché molti aspetti della vita ebraica sono minacciati dalla lealtà incondizionata verso uno Stato che vede solo alcuni ebrei come degni di protezione.
Non credo che si aspettasse il mio discorso. Ma ha fatto del suo meglio, rispondendo che, pur comprendendo che la mia prospettiva era di ammirevole chiarezza morale, sentiva che come politico tedesco, nel paese che ha commesso l’Olocausto, non era per lui possibile adottare una tale posizione. E così, siamo arrivati a un punto del discorso tedesco in cui ora riconosciamo apertamente che l’Olocausto viene utilizzato come giustificazione per l’abbandono della chiarezza morale.
Molti tedeschi, me compresa, avevano riposto le loro speranze in Habeck. Lo abbiamo visto come una persona semplice, uno di noi, un sognatore e un narratore, qualcuno che è entrato in politica perché pensava di poterla cambiare – e invece sembra che sia stata la politica a cambiarlo. Sembra che abbia adottato lo stesso approccio transazionale di tutti i politici tedeschi che lo hanno preceduto. E se non ci parlerà lui, chi lo farà?
Mentre partiti di estrema destra come l’AfD in Germania e il Rassemblement National in Francia cercano di mascherare decenni di negazionismo dell’Olocausto e di odio etnico con il conveniente abbraccio incondizionato di Israele (perché d’altronde i nazisti dovrebbero avere problemi con gli ebrei lontani da qua?), possiamo ora notarequanto fossimo tutti degli illusi nel pensare che questo tipo di equivoco morale non fosse arrivato al cuore stesso della società liberale. Le dichiarazioni dell’estrema destra di AfD e del centrosinistra di governo nel dibattito parlamentare la scorsa settimana sulla responsabilità storica della Germania nei confronti degli ebrei erano così simili che non riuscivo a distinguerle.
Deborah Feldman è l’autrice del libro di memorie Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots e, in tedesco, Judenfetisch [il feticcio ebraico]. Ha cittadinanza tedesca e statunitense, e vive a Berlino. Questo articolo è apparso sul Guardian del 13 novembre 2023.
Foto: Amrei-Marie, Wikicommons CC BY-SA