Diverse centinaia di persone, nella serata di domenica 29 ottobre, si sono radunate all’aeroporto di Makhachkala, capitale del Daghestan. Qui hanno preso d’assalto la pista di atterraggio e il terminal dell’aeroporto dopo che era stato annunciato l’arrivo di un aereo proveniente da Israele. La folla si è poi scatenata alla ricerca di passeggeri ebrei al grido di Allāhu akbar e sventolando bandiere palestinesi, senza che le autorità locali intervenissero. Non un fatto isolato. Il giorno prima uno stuolo di persone aveva assediato un albergo in cerca di ospiti ebrei mentre il 23 ottobre scorso centinaia di uomini a cavallo, con in mano bandiere della Palestina, hanno occupato Khasavyurt (la città in cui si firmarono gli accordi che misero fine alla prima guerra russo-cecena). In quel caso la polizia è intervenuta per disperdere il corteo, mentre nulla ha fatto nel caso dell’aereo preso d’assalto, se non tardivamente. Secondo l’agenzia di stampa russa RIA, sessanta persone sarebbero state successivamente arrestate. Ma a cosa si deve questa improvvisa caccia all’ebreo e cosa c’entra il Daghestan con il conflitto israelo-palestinese?
Il Dagehstan, in breve
Il Daghestan è una delle ventiquattro entità federali della Federazione Russa, ha diritto a utilizzare la propria lingua a livello ufficiale e si è dotata di una costituzione. Tuttavia, malgrado il nome di “repubblica”, il Daghestan è soggetto direttamente a Mosca e non gode di effettiva sovranità. Benché popolato da numerosi gruppi etnici, tra cui avari, dargini, cumucchi, lesgi – solo per citare i principali – e benché vi si parlino almeno trenta lingue, il Daghestan è caratterizzato da due elementi dominanti: la lingua daghestana (che appartiene al gruppo delle lingue nakh, come il ceceno) e la fede islamica. Negli ultimi anni il Daghestan ha assistito all’emergere di un islamismo sempre più radicale, di matrice salafita, protagonista di numerose azioni terroristiche e votato alla creazione di un emirato caucasico. Si tratta di una delle aree più delicate ed incandescenti della Federazione Russa.
Perché gli ebrei?
L’episodio dell’assalto ai passeggeri è espressione di un antisemitismo radicato nella regione, che trova le sue radici nell’impero russo e in quello sovietico, dove pogrom e persecuzioni, arresti e processi farsa – persino l’accusa di voler uccidere Stalin – costarono agli ebrei indicibili violazioni dei più elementari diritti umani. Vale la pena ricordare che il celeberrimo Protocollo dei Savi di Sion, un falso documento prodotto dalla polizia zarista, è tuttora citato dai cospirazionisti di tutto il mondo come prova della volontà degli ebrei di impadronirsi del mondo. Un simile retaggio insiste ancora sulla società russa e, nel Daghestan, si lega all’islamismo radicale.
L’Islam radicale ha offerto, specialmente alla popolazione maschile, un’identità politica capace di superare le divisioni etniche e unire la società. Una società colpita da vent’anni di precarie condizioni economiche, emarginazione sociale, frustrazione politica. Il Cremlino – almeno da quando c’è Vladimir Putin – ha alimentato gli estremismi con retoriche violente ed espressioni di intolleranza verso le minoranze che hanno fatto il gioco dei fondamentalisti e hanno impedito il formarsi di una società civile. Il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese ha causato l’aumento di episodi di antisemitismo un po’ ovunque, anche nel civilissimo Occidente, figurarsi in Daghestan, periferia dimenticata di un impero in sfacelo.
L’implosione della Russia
Il Daghestan ha livelli di povertà, corruzione, disoccupazione e criminalità tra i più alti di tutta la Federazione Russa. Dal punto di vista economico la regione dipende fortemente da Mosca, in quanto circa l’80% del proprio budget è costituito da sussidi federali. Buona parte di questi fondi, destinati allo sviluppo locale, finisce però per essere spesso oggetto di appropriazione indebita da parte di funzionari locali corrotti. La guerra in Ucraina ha poi ridotto la quantità dei fondi.
La clanizzazione della politica e l’insorgere dell’Islam radicale hanno infine destabilizzato la regione. È in questo contesto che ha agito l’arruolamento forzato di molti giovani, destinati al fronte ucraino. L’arruolamento nell’esercito russo ha sempre rappresentato un importante strumento di mobilitò sociale nella regione, ma un conto è arruolarsi in tempo di pace, un altro finire sotto le armi in tempo di guerra. Il numero dei caduti non è noto, ma è abbastanza da aver mobilitato le madri e le mogli chiedendo che si risparmiassero i figli del Daghestan. D’altronde, in guerra si sono mandate anzitutto le minoranze etniche.
L’implosione della Russia potrebbe partire proprio dalle periferie, specialmente da quelle più riottose del Caucaso settentrionale. Sotto la cenere covano tensioni mai sopite, e sulle montagne sono ancora attivi alcuni gruppi armati salafiti. Il forte malcontento popolare nella regione ha trovato nella crisi israelo-palestinese un modo per emergere, e farsi sentire dal mondo intero, ma non finirà con qualche arresto fuori da un aeroporto. Attribuire quanto accaduto a una destabilizzazione ordita dall’estero, e dall’intelligence ucraina in particolare, appare fantasioso: il Cremlino stesso ha ricevuto nei giorni scorsi una rappresentanza di Hamas, legittimando quindi – almeno implicitamente – le azioni dei manifestanti daghestani. Non è però da escludere che il gioco pericoloso che Mosca conduce con l’estremismo islamico non le si rivolti contro: la destabilizzazione in Russia c’è, ma è stata la guerra del Cremlino a produrla.