Fonte: Putnik from Wikimedia Commons (marcia in memoria di Boris Nemcov)

RUSSIA: Propaganda docet

Russia: propaganda docet  

Non avere un sistema televisivo libero e indipendente porta a un appiattimento del pensiero critico: questo sembra accadere in Russia, e in particolare nelle aree rurali del Paese, dove ci sono ancora meno possibilità di possedere visioni diverse da quella “madre”, anche solo a causa della mancanza di reperibilità di informazioni. Propaganda docet.  

Perché nelle aree rurali si supporta la guerra

Il Levada Center, organizzazione russa non governativa che compie ricerche sociologiche e che è stata riconosciuta come agente straniero dalla Federazione russa, ha rilevato che una percentuale maggiore di persone sostiene la guerra nelle aree rurali rispetto a Mosca: quasi la metà (40%) è favorevole alla guerra, mentre solo un quarto (26%) dei residenti della metropoli ha espresso il proprio supporto.

La domanda sorge spontanea: perché? Tuttavia, la risposta non è così difficile da indovinare. In parte la possiamo ritrovare nella propaganda e nelle fonti di informazione. Ad oggi, in Russia, si riscontrano non poche difficoltà per visitare i siti internet dei vari media indipendenti, e, nonostante la leggera decrescita della fiducia nella televisione come mezzo di informazione (43% nel gennaio del 2023), questa rimane il bacino principale da cui attingere, perlomeno per chi non ha la possibilità di informarsi in altro modo, che sia per ristrettezze economiche, per divari generazionali, o luoghi di residenza.

Tamara Eidelman, storica russa, ha dichiarato al Moscow Times che “più piccola è una città, più forte è l’influenza delle persone l’una sull’altra e più pericoloso è avere un’altra opinione”. Oltretutto, per rendere più difficile l’accesso alle informazioni da diverse fonti, a metà del 2022 sono sorti problemi di accesso a Internet.

In questo modo è piuttosto evidente che l’esistenza di un’unica modalità di narrazione predomina sullo sviluppo del pensiero critico, poiché non si permette la presenza di voci differenti, e quella che prevale tende a una manipolazione delle informazioni con una strategia piuttosto semplice: tirare acqua al proprio mulino, sempre.

La forza della propaganda

La propaganda, “tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto”, è il fondamento di strategie politiche di vario genere, e diventa senz’altro la base portante dei sistemi antidemocratici, spesso nidi del totalitarismo.

Questo strumento, un’arma a tutti gli effetti, si organizza grazie a immagini, formule fisse, frasi, che alla fine diventano quasi dei mantra, ancora più efficaci se parte di un linguaggio carico di emozioni, emblema della mitizzazione della forza di un paese.

Vladimir Putin ha trovato una modalità di propaganda piuttosto efficace, in quanto “suscita ostilità, presentando l’altra parte come una minaccia”. Putin rievoca il periodo nazista nel definire il governo ucraino come “complice di Hitler”, richiamando così la memoria storica dei russi che si sono schierati contro la Germania nazista. Ma questa non è l’unica analogia storica che adotta, anzi, le principali sono quelle contro gli Stati Uniti e l’Occidente, un Occidente immorale e corrotto che vuole annientare la Russia. E questo tipo di narrazione non è recente: Putin è al potere da più di un ventennio, e in tutto questo tempo non ha fatto altro che “formare” la popolazione alla ricezione di particolari messaggi, con un linguaggio persuasivo ed emotivo molto più efficace di un’oggettiva rappresentazione dei fatti.

Ma nessuna narrazione di successo può durare all’infinito se è priva, anche solo in parte, di realtà.

Allora perché i russi non protestano?

Dopo la sfilza di sanzioni e sentenze per aver manifestato la propria idea, non stupisce che oggi sia drasticamente diminuita la percentuale di russi che si oppone pubblicamente alle politiche del Cremlino. Non può essere diversamente. Il risvolto della medaglia, però, mostra, almeno a un primo sguardo, un’apatia generale, quella che potrebbe essere una sofferenza solitaria, ma che non può diventare comune, e si traduce spesso in un distaccamento dalla realtà. Un’accettazione “passiva” che riguarda molti aspetti, incluso, a livello figurato, la morte della libertà. Non c’è entusiasmo, ma non c’è nemmeno obiezione: ai tempi dell’URSS la resistenza aperta significava la completa esclusione dalla vita sociale, il licenziamento dal lavoro, la persecuzione. Se esprimevi il tuo dissenso diventavi immediatamente un emarginato. Più o meno questo è quello che accade anche adesso.

Ciò che manca è, probabilmente, una coscienza di protesta, la consapevolezza del singolo di poter cambiare molte cose in questo mondo.

Tuttavia, come scrive Oleg Pšeničnyj, giornalista di The Insider, “se “la protesta è soffocata”, chi sono queste ventunomila persone, che nel 2022 sono state arrestate durante le azioni di protesta? Chi ha creato duecentomila pagine internet bloccate? Perché ci sono 370 fascicoli penali solo per dichiarazioni contro la guerra? E quante persone ancora non sono state identificate e prese?”.

Quindi, non è vero che i russi non protestano. Le proteste ci sono, e vanno dalla distribuzione di volantini ai picchetti solitari, all’incendio degli uffici di reclutamento militare.

Ma il retaggio di un passato dispotico (e di un presente altrettanto tirannico) continua a esercitare un potere smisurato sulla società civile russa, portando l’azione di protesta a imbattersi costantemente nella repressione, decennale, del Cremlino. Ed è proprio con questo atteggiamento repressivo che si é riusciti a far dilagare il terrore e a infondere un senso di impotenza generale.

Tutto ciò che ha un inizio, però, ha anche una fine. Arriverà il giorno in cui anche i russi saranno liberi dall’oppressione e potranno esprimere la propria opinione liberamente.

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