“Tutto l’occidente riconosce in Hamas una organizzazione terroristica. L’occidente deve molto a Israele, ma la Turchia non gli deve nulla. Hamas non è un’organizzazione terroristica, ma un gruppo di liberazione che combatte per proteggere la propria terra. Non abbiamo alcun problema con lo stato di Israele, ma non approviamo le sue atrocità, il suo modo di comportarsi sì come un’organizzazione e non come uno stato.”
A tre settimane dall’attacco di Hamas ai kibbutz israeliani e la conseguente escalation di violenza innescata dall’altrettanto cruenta risposta israeliana sulla striscia di Gaza, dopo una reazione relativamente tiepida, il presidente della Repubblica turca Recep Tayyip Erdoğan ha rilasciato una dichiarazione ben più netta lo scorso 25 ottobre durante una conferenza stampa. Dichiarazione che ha infuocato le agenzie di tutto il mondo, ma non lascia di stucco chi conosce i trascorsi della Turchia con Israele e soprattutto il ruolo che la Turchia ricopre (o tenta di ricoprire) come punto di riferimento di tutta la comunità sunnita nel mondo.
Turchia-Israele dal 1949 a oggi
Come riportato in un eccellente excursus dall’agenzia di stampa turca Anadolu Ajansi, le relazioni tra Turchia e Israele sono state caratterizzate da alti e bassi sin da quando la Turchia ha scelto di riconoscere l’esistenza dello stato di Israele il 28 Marzo del 1949. Per tutti gli anni ’60 e fino alla fine degli anni ’80, la Turchia aumenterà e diminuirà a tratti la propria rappresentanza diplomatica sul territorio israeliano, passando dall’avere un incaricato d’affari a un consolato e addirittura un’ambasciata nel 1980 per poi tornare al semplice incaricato d’affari nel 1986. Questa maggiore o minore rappresentanza diplomatica va di pari passo con la crescente repressione del popolo palestinese da parte dello stato di Israele. Quando nella prima intifada del 1967 Israele occupò anche parte di Gerusalemme, la Turchia protestò e così anche tra il 1987 e il 1988 quando riconobbe ufficialmente anche l’esistenza della Palestina. Il periodo peggiore, tuttavia, arrivò tra il 2009 e il 2010 per due eventi chiave: il primo, il litigio tra l’allora primo ministro Erdoğan e l’ex presidente israeliano Shimon Peres alla conferenza annuale del World Economic Forum di Davos. “Presidente Peres, sei vecchio e la tua voce nasconde una coscienza sporca“, gli disse perdendo le staffe durante un panel, “quando si tratta di uccidere, sai molto bene come si fa“. Il secondo, ben più grave, l’incidente della Mavi Marmara: nave turca guidata dall’organizzazione non governativa IHH parte della cosiddetta Freedom Flotilla che tentò di violare il blocco navale imposto a Gaza non solo per portare aiuti alla popolazione, ma soprattutto per sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla causa palestinese. Le forze di difesa israeliane assaltarono la nave uccidendo 9 attivisti turchi: questo incrinò definitivamente i rapporti tra Turchia e Israele fino alle scuse ufficiali del premier Benjamin Netanyahu nel 2013 e al risarcimento di ben 20 milioni di dollari alle famiglie colpite. Si avviò una graduale riapertura dei rapporti con un accordo di riconciliazione fino alla nomina di un nuovo ambasciatore israeliano ad Ankara alla fine del 2016. Nel 2018 l’ambasciatore turco in Israele e quello israeliano in Turchia sono stati rispettivamente espulsi a seguito dello spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme voluto dall’ex presidente americano Donald Trump, tuttavia si è arrivati a una distensione significativa rispetto al passato, tanto che nel 2022 il presidente israeliano Isaac Herzog si è recato in visita in Turchia per la prima volta dopo oltre 10 anni, così come l’ex ministro degli esteri Mevlüt Çavuşoğlu si è recato a Tel Aviv, e la Turchia ha nuovamente designato un ambasciatore in Israele. Durante l’incontro con Herzog, il presidente turco si è dichiarato pronto a rivalutare il vecchio progetto su un eventuale gasdotto che porti gas israeliano in Europa passando per la Turchia, specie a seguito dell’invasione russa in Ucraina. Progetto che coinvolgerebbe anche Cipro e la Grecia, ma questa è un’altra storia.
I turchi stanno con i palestinesi
Nonostante ciò, il presidente Erdoğan non ha mai evitato di apostrofare Israele come “stato di apartheid“ in difesa della popolazione palestinese. Il suo exploit alla conferenza di Davos del 2009 lo fece tornare in patria come un eroe: “siamo fieri di te!” gli urlò la popolazione turca che da sempre supporta la causa palestinese, come hanno dimostrato anche le partecipate manifestazioni di questi giorni a Istanbul e Ankara e la decisione del governo di indire 3 giorni di lutto nazionale dopo il lancio di missili che ha causato centinaia di morti all’ospedale battista di Gaza city. Questa posizione aiuta Erdoğan a consolidare la sua propaganda interna, ma anche un ruolo di spicco dal punto di vista internazionale: non è un segreto che voglia mantenere una certa influenza su quelli che erano i territori dell’impero ottomano in quanto guida e protettore di una cultura comune nonché del credo religioso che li accomuna. Come già notato da Forbes, le sue feroci dichiarazioni sono un modo per affermare una leadership anche in questo contesto, fare la voce grossa che protegge gli oppressi e chi viene ingiustamente e da sempre posto in una condizione di inferiorità. Così, paradossalmente, il leader del primo Paese musulmano della storia a riconoscere lo stato di Israele diventa la voce più influente per rappresentare il mondo arabo. Politico riporta che, prima del recente attacco di Hamas e quindi del re-intensificarsi del conflitto, Erdoğan avesse pensato di recarsi a Gerusalemme e pregare nella moschea di Al Aqsa, uno dei luoghi più sacri dell’islam, per celebrare il centenario della repubblica turca del 29 ottobre. Sfortunatamente, è una posizione che si basa su un’incoerenza di fondo: “Siamo l’unica nazione della storia a non aver perpetrato alcuna forma di razzismo. Gli ebrei lo sanno. Non sono loro che hanno cercato di togliere la voce agli studenti universitari minacciandoli? Voglio ribadire che le porte del nostro Paese sono aperte per accogliere questi studenti“, ha affermato Erdoğan nella stessa conferenza stampa, come se la Turchia non si fosse mai sporcata le mani né fosse in torto marcio quanto a libertà di espressione. Non mancano un altro paio di interrogativi: come gestire un nuovo ruolo di mediazione (dopo quello intentato tra Russia e Ucraina) organizzando addirittura una conferenza di pace tra Israele e Palestina, considerando il conflitto siriano e i rapporti con Hamas i cui leader e militanti hanno da anni trovato rifugio nelle periferie di Istanbul?
foto: EPA Photo, Daily Sabah