Grande manifestazione domenica scorsa di fronte alla Vijećnica, dove una folla enorme si è radunata per esprimere la solidarietà di Sarajevo alla popolazione palestinese dopo gli eventi nella Striscia di Gaza.
La manifestazione
Migliaia di cittadini di Sarajevo – e non solo – si sono dati appuntamento domenica 22 ottobre di fronte alla Vijećnica, la Biblioteca nazionale di Bosnia Erzegovina, per manifestare all’unisono ed esprimere la propria vicinanza alla popolazione palestinese dopo i drammatici sviluppi nella Striscia di Gaza. Erano molte, moltissime le bandiere palestinesi che sventolavano di fronte al palco allestito per l’occasione, dal quale si sono levate le grida di solidarietà del popolo bosniaco ai fratelli palestinesi. Molti anche gli slogan che hanno scandito la manifestazione, organizzata dall’associazione palestinese di Bosnia-Erzegovina; sulla maggior parte dei cartelli e degli striscioni in mano ai manifestanti si leggevano slogan come “fermate il genocidio” o “ieri Srebrenica, oggi Gaza”, riferendosi al massacro del 1995, quando in poche ore le forze serbe eliminarono migliaia di uomini musulmani. Ed è stato proprio il ricordo del genocidio di Srebrenica a rendere l’incontro di domenica ancora più sofferto, e la rabbia dei manifestanti ancora più pungente.
La manifestazione si è conclusa con una preghiera collettiva, come richiesto dall’ambasciatore palestinese in Bosnia-Erzegovina, a cui ha fatto seguito un nuovo tumulto di slogan proclamati a gran voce dalla folla, tra cui: “Siamo antifascisti”, “Palestina libera” e “Sempre con la Palestina”.
I commenti
Secondo gli organizzatori, l’atmosfera dignitosa in cui si è svolta la manifestazione di Sarajevo è lo specchio di un popolo “che sa cosa è la lotta per la libertà, la lotta contro l’aggressione, il terrore e il genocidio”. Anche il sindaco di Sarajevo Benjamina Karić è intervenuta, ringraziando tutti i partecipanti per aver alzato la voce “in nome della giustizia e della verità”, e ricordando ai presenti che i Sarajlije, i Sarajevesi, sanno bene cosa significa restare senza acqua, senza cibo e con i bimbi morti da seppellire. Anche la comunità islamica in Bosnia-Erzegovina ha condannato l’attacco ai civili, affermando che l’ingiustizia subìta dal popolo palestinese non può giustificare in alcun modo il terrorismo. Dalla Republika Srpska, l’entità di Bosnia a maggioranza serba, solo Milorad Dodik ha alzato la propria voce, condannando l’attacco terroristico di Hamas.
In realtà è già da parecchi giorni che per le strade della capitale bosniaca si incontrano persone con addosso i colori della bandiera palestinese, una spilla, una striscia di stoffa, un adesivo. E sono dei giorni scorsi anche le dichiarazioni di altri esponenti politici locali; qualche giorno fa Nihad Uk, consigliere uscente del cantone di Sarajevo, aveva scritto all’ambasciatore palestinese in Bosnia, Rezeq Namoor, offrendo “aiuto simbolico”. E Toni Vukadin, membro del consiglio comunale della capitale bosniaca, aveva annunciato di voler promuovere una “dichiarazione sul conflitto israelo-palestinese” alla prossima riunione del consiglio.
Altre voci balcaniche
Qualche giorno fa, la bandiera palestinese è stata issata anche sul vidikovac – il punto panoramico – più famoso di Mostar, e sullo Stari Most, il Ponte vecchio della città e uno dei ponti simbolo della Bosnia Erzegovina. Lo scorso sabato, il giorno prima della manifestazione ufficiale, anche i tifosi della squadra di calcio Željezničar Sarajevo hanno acceso fumogeni rossi, bianchi e neri, e cantato “Palestina libera” durante la partita allo stadio Grbavica.
La stessa domenica in cui si è sfilato a Sarajevo, sono state organizzate manifestazioni pro-Palestina anche a Belgrado e a Podgorica, alla presenza dei rappresentanti diplomatici dell’autorità palestinese rispettivamente in Serbia e Montenegro. Ma sono numerose le manifestazioni che si sono susseguite in tutti i Balcani, così come in Europa, su quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza. E in molti casi le volontà di governi e piazze non coincidono. Per quanto riguarda la Bosnia, si teme che l’escalation della guerra vada ad alimentare le divisioni tra le forze politiche interne, complicando ulteriormente un sistema già fragilissimo.
Foto: reuters.com