controffensiva ucraina

UCRAINA: Qualche considerazione pessimistica sulla controffensiva e il resto

La controffensiva ucraina è finita, e l’unica cosa che avanza è l’autunno. Le speranze di una svolta decisiva sono svanite da tempo. Addirittura, l’esercito russo ha ripreso l’iniziativa. Fare un consuntivo della campagna militare non è facile e, malgrado i limitati risultati ottenuti in estate, occorre comunque ricordare come la resistenza ucraina abbia fermato l’avanzata russa facendo saltare i piani di conquista del Cremlino. A dispetto delle attese, l’Ucraina  – anche grazie al sostegno occidentale – ha saputo tenere testa a uno degli eserciti più potenti del mondo. Tuttavia, sembra oggi assai meno plausibile che Kiev possa un giorno riprendersi manu militari i territori occupati. L’unica speranza sarebbe una crisi del regime russo che appare al momento lontana.

Kiev aveva lanciato la controffensiva con l’obiettivo di riconquistare il territorio occupato dai russi, soprattutto nel sud. Ma nonostante i notevoli sforzi, i guadagni sono stati marginali e ottenuti a caro prezzo. Le truppe si sono trovate impantanate in un conflitto di attrito, che si svolge lentamente consumando uomini e mezzi ma, soprattutto, logorando il morale. Le forze ucraine hanno combattuto con intelligenza per sfondare le linee difensive che il nemico ha avuto mesi per preparare. Qualche villaggio liberato è stato il massimo premio per questo disumano sforzo.

Nella regione meridionale di Zaporizhzhia, i modesti guadagni ucraini nelle aree rurali sono stati ostacolati dalle difese russe. Le truppe di Mosca hanno fortificato il territorio con campi minati, fossati anticarro, trappole e trincee. Gli ucraini hanno mostrato tenacia, spingendosi avanti lungo le principali linee che conducono verso la Crimea, arrivando ha liberare in agosto il villaggio di Robotyne, un piccolo passo verso i centri nevralgici russi, ma troppo breve per costituire una minaccia. La città di Orikhiv, quindicimila abitanti scarsi, si è trovata sulla linea del fronte, occupata dai russi, ripresa dagli ucraini, e bombardata senza sosta dalle truppe del Cremlino.

A nord, la città di Kupiansk (39mila abitanti) è finita nel mirino di Mosca che ha condotto un’avanzata di alcuni chilometri senza tuttavia arrivare alla città, ideale punto di attraversamento del fiume Oskil. Le autorità ucraine, temendo il peggio, hanno ordinato in agosto l’evacuazione della cittadina dove restano oggi poche migliaia di persone. Qui, più che attaccare, agli ucraini è toccato difendersi.

E poi c’è Bakhmut, su cui le forze ucraina hanno fatto pressione – forse per impegnare truppe nemiche e distrarle da altri fronti, il famoso fissaggio – senza tuttavia conseguire alcun successo. La città, sostanzialmente un cumulo di macerie, non è strategica per nessuno. Diverso il discorso per Avdiivka, in mano ucraina ma obiettivo di una offensiva russa condotta tra il 12 e il 13 ottobre. La città, che si trova nell’oblast’ di Donec’k, ormai rasa al suolo, resta uno snodo importante che impedisce ai russi di ottenere il pieno controllo della regione, fondamentale per la logistica.

La controffensiva ucraina si è sostanzialmente risolta in un nulla di fatto, ma non per incapacità delle forze armate quanto per il limitato sostegno occidentale. Senza supporto aereo diventava impossibile condurre un’avanzata attraverso campi minati verso un’artiglieria nemica mai scarica di colpi. Si aggiunga la tardiva decisione degli Stati Uniti di inviare all’Ucraina un numero limitato di missili ATACMS a lungo raggio, proprio mentre l’offensiva volgeva al termine. Quanto emerge da questa estate di guerra è quindi la volontà occidentale di condurre, in Ucraina, una guerra di difesa. La difesa è il miglior attacco, diceva von Clausewitz, ma fino a quando?

Gli Stati Uniti hanno concesso finanziamenti e forniture a Kiev per un totale di 76,8 miliardi di dollari. Sembrano un sacco di soldi ma si tratta dello 0,33% del PIL americano. Gli Stati Uniti hanno speso cinque volte di più per la guerra in Iraq e addirittura quindici volte di più per quella in Corea.  Lo stesso discorso si può fare per l’Unione Europea che ha speso dieci volte di più per il NextGenerationEU (il fondo per la ripresa dopo la pandemia) e sette volte di più in sussidi energetici per i propri cittadini.  La capacità di spesa di Stati Uniti ed Europa potrebbe essere maggiore, volendo. Ma, appunto: volendo. L’impressione è che non si voglia. E diventa difficile immaginare che si mantengano questi livelli di spesa ancora per anni. Mesi forse, ma anni no.

L’UE deciderà se avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina entro i prossimi dodici mesi. Il governo ucraino ci spera moltissimo, ma non c’è da essere ottimisti poiché è sicuro che Ungheria e, forse, Slovacchia metteranno i bastoni tra le ruote. Un inciampo che farà comodo a quelle cancellerie che l’allargamento verso Kiev non lo vogliono ma preferiscono non dirlo – Italia in testa. Orban farà il lavoro sporco, si troverà il modo di ringraziarlo.

Infine, c’è l’opinione pubblica che qualcosina conterà pure nel “mondo libero”. L’Eurobarometro mostra come nell’insieme gli europei continuino a sostenere la causa ucraina, ma con minore entusiasmo, sia per quanto riguarda l’invio di armi, sia per il sostegno finanziario (qui il report aprile 2022, qui quello agosto 2023). Negli Stati Uniti, l’elettorato repubblicano appare meno entusiasta della guerra in Ucraina e, comunque vadano le elezioni presidenziali americane del 2024, non si può escludere un progressivo disimpegno da parte di Washington che già ha cominciato a spaccare il capello in quattro, lamentando la corruzione delle classi dirigenti ucraine. Alla luce di questo contesto, sarà impossibile per Kiev vincere la guerra e liberare tutti i territori occupati senza un crollo del regime russo e delle sue forze armate.

“L’obiettivo dell’attuale guerra contro l’Ucraina”, ha dichiarato il presidente ucraino Zelens’kyj alle Nazioni Unite lo scorso settembre, “è trasformare la nostra terra, la nostra gente, le nostre vite, le nostre risorse, in un’arma contro di voi, contro l’ordine internazionale”. C’è del vero in queste parole, poiché la minaccia russa potrebbe estendersi. Anzi, avrebbe potuto estendersi. Ma ora, grazie al sangue ucraino, la Russia non sarà più in grado di nuocere per decenni. Ancora qualche sacrificio – ucraino, s’intende – e Mosca finirà in knock out tecnico. Poi si troverà un accomodamento, una tregua, un armistizio. Una toppa peggiore del buco. In attesa della prossima guerra. Ma forse siamo solo dei pessimisti. Speriamo, davvero, che sia così.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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