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TURCHIA: La resistenza di Akbelen

La foresta di Akbelen è un rigoglioso polmone verde di 740 ettari che si estende in prossimità del villaggio di İkizköy, nella provincia di Muğla, sulla costa egea del paese. Dal 2019, questo idillico ed incontaminato angolo di Turchia, habitat naturale di specie animali protette, è gradualmente divenuto teatro di un’aspra resistenza condotta dagli abitanti della zona contro i titanici progetti della compagnia elettrica YK Enerji (Yeniköy Kemerköy Enerji), dal 2014 proprietà di IC İçtaş e Limak Holding, colossi attivi nel settore delle costruzioni, dell’energia e del turismo, vicini all’attuale governo. Nell’estate del 2023 la situazione ha subito un ulteriore sviluppo, con l’inizio dei lavori di deforestazione, acquisendo una risonanza mediatica senza precedenti, dovuta alla repressiva risposta del governo, che non ha esitato a schierare mezzi corazzati, ricorrere all’uso di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, arrestando quaranta persone; e alla visita del leader del CHP Kemal Kılıçdaroğlu, contestato dai locali.

Una lunga storia di resistenza 

Gli abitanti della regione di Muğla sono sulle barricate sin dai primi anni Ottanta, quando presso le località di Yatağan, Kemerköy e Yeniköy sono state costruite tre centrali termiche a carbone, legate all’attività di altrettante miniere di proprietà statale. Nel 2014 centrali e miniere sono state privatizzate e i limiti di durata delle installazioni prolungati per 30 anni. Il caso più eclatante è proprio quello della miniera che si estende per 15 km tra Kemerköy e Yeniköy, operativa dal 1987 e ingranditasi sempre di più nel corso dei decenni. İkizköy è la dodicesima area residenziale che sta scomparendo sotto i colpi incessanti di questa espansione. A partire dal 2017 i suoi abitanti hanno cominciato a ricevere delle lettere dalla compagnia mineraria, che ingiungeva loro di vendere i propri immobili, facendo ricorso ad insidiose strategie di pressione, e accordando loro la possibilità di ricostruire in aree adiacenti alla foresta usufruendo di esigue somme di denaro messe a disposizione dalla società stessa. Nel 2019, a seguito della distruzione di 48 villaggi per ingrandire ancora di più la miniera, gli abitanti hanno cominciato ad organizzarsi eleggendo la foresta di Akbelen a ultimo bastione della loro resistenza, in grado di assorbire l’urto dell’espansione e tamponarne i deleteri effetti, tramite la fondazione di un campo di osservazione permanente, composto da abitanti del villaggio e attivisti esterni. Nel 2021, dopo l’ottenimento del permesso per deforestare l’area da parte della compagnia, la cittadinanza di İkizköy ha intentato una causa ai suoi danni sostenendo che l’autorizzazione non avrebbe dovuto essere concessa senza una valutazione di impatto ambientale. La compagnia energetica ha sempre difeso il proprio operato definendo Akbelen, nei suoi comunicati ufficiali, quale “foresta artificiale” con una “funzione economica”, non integrata entro un ecosistema organico, e pienamente inserita nell’area mineraria autorizzata sotto l’egida della YK Enerji, di cui viene sottolineata la rilevanza strategica e sociale per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico del paese e l’alta offerta occupazionale. La deforestazione di Akbelen, consumatasi l’ultima settimana dello scorso luglio, nonostante gli autorevoli pareri di scienziati e biologi circa l’importanza fondamentale degli alberi nel contrasto al cambiamento climatico, ha determinato la distruzione del 60% della foresta, secondo le stime dell’ingegnere ambientale Deniz Gümüşel. Il presidente Erdoğan ha liquidato le proteste definendo pubblicamente gli attivisti ambientalisti dei “marginali”.

Tra neoliberismo, attivismo e partecipazione politica

L’esperienza di Akbelen è assurta, da caso locale, a lezione esemplare per le altre lotte ambientali e sociali in atto nel paese. Questo anche in virtù dell’accentuato protagonismo femminile, declinatosi nella forma di un inedito sodalizio tra donne provenienti da contesti rurali e urbani, di cui il movimento è stato testimone, come rilevato dall’autrice Elif Şafak. Da tempo la crisi ecologica globale si manifesta localmente, a partire da focolai di dissenso e resistenza che diventano segnali di emergenza rivelatori di un pericolo più ampio. In tal senso, è possibile ravvisare una marcata continuità storica dell’eco-resistenza in Turchia: dal Movimento dei contadini di Bergama degli anni Novanta, attivi contro le multinazionali dell’estrazione di oro, alla resistenza di Akbelen, passando per i fatidici giorni dell’occupazione di Gezi Parkı a Istanbul nel 2013. Il filo rosso che unisce questi eterogenei movimenti, espressione della vivace società civile turca, è la battaglia condotta in nome dell’ambientalismo e, contestualmente, della richiesta di maggior partecipazione e visibilità politica entro lo spazio pubblico, in un processo di politicizzazione della questione ambientale, interpretata come piattaforma comune sulla base della quale modificare i rapporti di forza tra stato e società. Elemento centrale nell’immaginario politico della Repubblica, sin dalla sua fondazione, è stato infatti l’incontestabile idea di una modernizzazione condotta attraverso la promozione di una serrata crescita economica, noncurante degli equilibri ambientali e sociali. Ciò ha assunto un’urgenza ancora più impellente negli ultimi venti anni, dopo l’affermazione al potere dell’AKP, convinto promotore di politiche neoliberiste di privatizzazione e deregolamentazione, funzionali alla sua proposta politica incentrata sul mito della Nuova Turchia e di uno sviluppo infrastrutturale onnivoro, dai ritmi insostenibili per l’ecosistema. In linea con ciò, i movimenti ambientalisti turchi hanno da sempre svolto una funzione di catalizzatori di forze sociali disparate, in grado di strutturare forme di resistenza democratica e canali di connessione trasversali tra sensibilità politiche e contesti culturali diversi.

Foto: Kronos Haber

Chi è Vanni Rosini

Nato a Firenze nel 1999, studente magistrale in Storia all’Università degli Studi di Firenze, dove ha approfondito la conoscenza della lingua turca. Si interessa di Medio Oriente, con particolare attenzione verso la Turchia. Nel 2022 ha trascorso un periodo di studio presso la Bilgi Üniversitesi di Istanbul. Scrive anche per Limes Club Firenze.

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